Nel fiordo groenlandese con Leine, tra spirito e istinti

Sono sorprendenti gli esiti del romanzo di Kim Leine, con un chierico del XIX secolo come protagonista. Una storia dal ritmo incessante, ambiziosa, classica eppure modernissima

Negli ultimi anni l’editore Guanda ha svolto un lavoro eccellente, che è sotto gli occhi di tutti: battendo strade inedite, via via consolidate – magari riprese e imitate da altre sigle editoriali – illuminando periferie geografiche e poetiche, venute a galla e impostesi, valorizzando autori, specie stranieri, divenuti di culto; ha anche tentato a più riprese di lanciare storie maestose, capaci di restituire un’epoca e un mondo, inclassificabili e di difficile collocazione nella stantia logica dei generi, e su questo fronte – forse – non ha ancora lasciato il segno, come avrebbe potuto e meritato. Un’eccezione è probabilmente La fuga del britannico Adam Thirlwell, di cui Guanda ha altri titoli in catalogo.

Isole misconosciute nell’oceano editoriale

Ma in precedenza, qualche anno prima, romanzi bellissimi come Sette tipi di ambiguità dell’australiano Elliot Perlman o I cospiratori dell’austriaco, ma statunitense adottivo, Michael A. Bernstein sono rimaste isolette misconosciute nell’oceano editoriale. Non merita una diffusione ristretta, né tantomeno l’oblio, una delle più recenti novità del catalogo Guanda, un’opera che emerge fra quelle pubblicate in questi primi mesi del 2013, offrendo ai lettori un’esperienza totalizzante, capace di rapire e sorprendere. È Il fiordo dell’eternità (581 pagine, 20 euro) scritto da Kim Leine, norvegese naturalizzato danese, reso da Ingrid Basso in una fluida traduzione.

Una Copenaghen brulicante di vita e peccatori

Leine, mai pubblicato prima d’ora in Italia, racconta rutilanti vicende tra Danimarca e Groenlandia, più o meno contemporanee alla Rivoluzione Francese, tra la fine del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo. Sceglie un protagonista colto per l’epoca, un giovane, Morten Pedersen Falck – ossessionato da Rousseau e da una delle sue più note asserzioni, «L’uomo è nato libero e ovunque è in catena» – votato, suo malgrado e per imposizione paterna, alla carriera ecclesiastica, inizio di una discesa agli inferi. Magister Falck si muove inizialmente in una Copenaghen brulicante di vita, peccati e peccatori – come una qualunque capitale del Mediterraneo – e poi negli spazi immensi della Groenlandia, la colonia dei ghiacci perenni e delle notti lunghe, da missionario tra pochi battezzati e tanti pagani da convertire.

Tra contemplazione e materialità

Come non pochi eroi letterari prima di lui, il sacerdote di Leine ha un cuore e un corpo contesi tra spirito e natura, ideali e materialità, contemplazione e avventura. Probabilmente un’allegoria della biografia turbolenta dell’autore (egli stesso – norvegese trapiantato in Danimarca, che ha vissuto a lungo in Greonalndia, come Morten – ha raccontato in più di un’intervista tutto quello che ha vissuto), ma non soltanto. Più che di formazione è un romanzo di perdizione, di gran fantasia, innestata su fatti storici e figure realmente vissute (come Habakuk e Maria Magdalena, “profeti” del Fiordo dell’Eternità), con storie di mare alla Melville in un paio di capitoli, e deliri amorosi, odissee di degradazioni e allucinazioni, dubbi teologici, violenza e brutalità, stupri e aborti, spedizioni punitive e umiliazioni.
Il chierico Falck, a Copenaghen, sembra avviato a una placida vita familiare, vicino al matrimonio con la figlia di un tipografo, Abelone Schulz, poi l’incontro con un giovane indovino ermafrodito cambia in lui prospettive e desideri. E il lettore lo ritrova imbarcato, assieme a una mucca, Roselil, su una nave che punta la Groenlandia, dove sogna di curare anime, anche la sua.

Razionalismo e fede s’arrendono all’eterodossia

Lo aspetta una vita tra cristianesimo e paganesimo, in bilico tra civiltà e natura, spirito e istinti, dove intreccia drammatiche relazioni amorose, amicizie, rivalità, cade e si rialza, a fatica; il suo razionalismo e la sua fede s’arrendono ai colpi dell’eterodossia degli eretici inuit, quella predicata dai “profeti” Habakuk e Maria Magdalena. In uno scenario di conversioni forzate (da parte di colonizzatori senza scrupoli) dei cosiddetti selvaggi, i nativi eschimesi – con capitoli scanditi dai dieci comandamenti – i sogni fiammeggianti e l’idealismo di chi è chiamato a convertire affondano tra desolazione, alcol, dubbi e freddo, soprattutto freddo dell’anima. Gli esiti sono sorprendenti. L’ipertrofico romanzo-mondo di Leine va a segno, col suo linguaggio diretto e i suoi dettagli storico-naturalistici, con un ritmo incessante e rari passaggi prolissi, rare cadute di tensioni. Ambiziosa, lontana dalle convenzioni letterarie attuali, la storia raccontata ne “Il fiordo dell’eternità”, è una storia di storie, pur essendo una storia d’idee, a suo modo classica, eppure modernissima. Un sasso sorprendente negli stagni delle nostre librerie.

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