Quando da soli non ci si salva, Mari “scopre” la povertà

Chi ha amato “Troppa umana speranza” non faticherà a entrare nel nuovo mondo di Alessandro Mari, “Gli alberi hanno il tuo nome”, due storie parallele con protagonisti San Francesco d’Assisi e Rachele, una donna d’oggi, psicologa in un centro per anziani…

Ciò che descrive, lo lascia dentro gli occhi e anche più in profondità. Lo scrittore lombardo Alessandro Mari – classe 1980, robusta formazione culturale e curriculum di traduzioni che spazia dalla letteratura per ragazzi a una recente biografia di Foster Wallace – non si smentisce. Dopo la parentesi digitale di Banduna (romanzo a puntate pubblicato per Zoom, collana di Feltrinelli, tutt’altro che un esperimento, e che meriterebbe presto una versione cartacea, magari in edizione tascabile), Mari è subito approdato alla terza opera, Gli alberi hanno il tuo nome (344 pagine, 17 euro).

Due destini che si uniscono…

E pur non dando seguito a qualcuno dei mille rivoli sospesi di Troppa umana speranza, folgorante esordio di un paio d’anni fa, è riuscito a intrecciare una storia affascinante, come la prima. Non quattro i destini legati, come nel romanzo di debutto, ma due, con un’incursione nel contemporaneo – lontanissima dall’Italia risorgimentale e dalle atmosfere di “Banduna” – davvero felice. Chi ha letto Troppa umana speranza (meritatissimo premio Viareggio) non faticherà a entrare nel nuovo mondo di Mari, nonostante facciano presto capolino sigarette elettroniche, asfalto, telegiornali…

Vocazione all’essenzialità e alla povertà

Rachele, una giovane donna d’oggi che lavora a Milano, come psicologa in un centro per anziani, e Cesco, figlio d’un ricco mercante, ovvero il futuro poverello d’Assisi – immortalato con una banda di coetanei tra frizzi, lazzi e spacconate di gioventù, e qualche vaga aspirazione guerriera e idee di ventura – sono i poli della narrazione di Mari. Entrambi riconosceranno che quello che hanno fatto fino a un certo momento non basta più, non ha senso: la ricostruzione di una nuova vita, in una diversa cornice di coordinate e priorità, è a tutti gli effetti una conversione (non necessariamente religiosa), con esiti diversi. E la loro lenta evoluzione, in direzione di una diversa “vocazione” all’essenzialità e alla povertà (nel senso più ampio del termine, che abbraccia in particolare ogni forma di emarginazione sociale), è il tratto più inconfondibile e riuscito della scrittura di Mari, tra le più robuste realtà della narrativa d’oggi, apprezzato anche all’estero, con traduzioni in più di un continente.

Incontri decisivi

Entrambi, Rachele e Cesco, sono scossi dal torpore delle proprie esistenze – e cominciano a volgere lo sguardo da se stessi agli altri – dall’incontro con due figure, solitarie e ai margini: Dante, vedovo e cieco cuoco in pensione e in depressione, di cui si occupa Rachele, e la Gobba, derelitta mendicante malata di lebbra, incontrata da Cesco in una notte buia e che da lui riceverà una moneta. Tra il passato e il presente, tra la Assisi del tredicesimo secolo e la Milano attuale, però, c’è una differenza sostanziale, probabilmente: anche chi – come Ilario, compagno di Rachele – si occupa di no profit e degli altri più deboli finisce per fare business. Proprio Ilario sarà denunciato per appropriazione indebita e sarà solo una delle prove, anche più di quelle di Cesco, che l’irrequieta Rachele dovrà affrontare per la sua “conversione”, con epilogo radicale. Anche la “spoliazione” dei due protagonisti è diversa: il santo d’Assisi trova sodali per la sua impresa così lontana dalle gesta di rampollo di un mercante, una rete e una comunità che, invece, mancano alla psicologa, la quale percorre la nuova strada in solitudine. Da soli non ci si salva, sembra volere lasciare intendere, questo tomo. Ed è così che le strade parallele di Cesco e Rachele non continuano fino in fondo…

Immaginifico e documentatissimo, squarcia certezze

È una conferma di valore quella di Alessandro Mari, che può già considerarsi un punto di riferimento per chi scrive romanzi. Gestione equilibrata dei diversi piani temporali, la sua, e solita scioltezza e ricchezza lessicale, con un linguaggio che s’adegua al periodo storico, alle atmosfere e a personaggi, di volta in volta, d’altri tempi e dei nostri. Anche stavolta immaginifico, eppure documentatissimo, sui luoghi francescani, su un periodo storico vecchio di secoli e su una storia, come quella di San Francesco, con cui si sono confrontati già storici, teologi, registi e scrittori. In parte Mari, senza venir mai meno a uno stile, è riuscito a raccontare una storia vecchissima, senza che apparisse tale, una storia che tiene compagnia e che squarcia qualcuna delle certezze di chi legge. Anche questi, adesso, sono tra i compiti della letteratura.

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