“Il compimento del rito”, un racconto di Su Tong

Da lunedì sarà in libreria “Racconti fantastici” (121 pagine, 14,50 euro) di Su Tong, un’antologia del decennio 1989/1999, pubblicata dalle edizioni Elliot. Per gentile concessione dell’editore anticipiamo la copertina del libro e il primo racconto, “Il compimento del rito”. Prefazione, traduzione e cura del volume sono di Rosa Lombardi

Racconti fantastici

Lo studioso di folclore era arrivato al villaggio di Otto Pini l’inverno dell’anno scorso. Saltato giù dalla corriera con una borsa da viaggio rettangolare in mano, si era incamminato verso nord-ovest. Sulla strada si posavano leggeri fiocchi di neve, che in lontananza parevano azzurri, le linee serpeggianti dei fili dell’alta tensione e dei piloni tagliavano la strada in riquadri eguali; di tanto in tanto, d’improvviso e con regolarità, stormi di uccelli volavano rasente alle teste dei viandanti. Lo studioso si diresse verso il villaggio di Otto Pini e, nei miei ricordi, anche lui diventa una parte del paesaggio.

Il vecchio che riparava giare era seduto all’entrata del villaggio davanti a un grande orcio di ceramica, il suo bilanciere era poggiato sul fianco del vaso, una nuvola porpora di minute scintille fuoriusciva dal saldatore e un odore di stagno fuso riempiva l’aria divenuta frizzante dopo la nevicata. Il vecchio prese con le pinze una graffetta di stagno e, mentre si accovacciava per cercare le crepe sulla giara, udì un calpestio nella neve. Girò il capo e vide uno straniero che si avvicinava al villaggio di Otto Pini, ma non gli prestò attenzione. Sputò sulla crepa e, premendo con forza, inserì la graffa distagno che per un istante si attaccò al vaso, ricadendo subito dopo. Il vecchio aggrottò le sopracciglia, si accorse che lo straniero era alle sue spalle e fissava interessato l’enorme giara.

«Ora che è calda si è ammorbidita e non si infila» disse il vecchio.

«Di che epoca è?» chiese lo studioso

«Cosa?».

«La giara». Lo studioso tamburellò la parete del vaso con l’indice a martello, dall’interno giunse un’eco chiara e melodiosa.

Dovrebbe essere una Drago e Fenici di epoca Qing.

Il vecchio stagnaio afferrò una seconda graffa, riuscendo questa volta a fissarla sulla crepa. Poi disse sorridendo: Riparo giare da cinquant’anni e giro da cinquant’anni da queste parti. E tu, da dove vieni?

Dal capoluogo. È questo il villaggio di Otto Pini?

Più o meno. Che sei venuto a fare?

Raccolgo storie popolari, rispose quello dopo una breve esitazione, immaginando che il vecchio non avrebbe capito il significato della parola folclore.

Le storie devono essere raccontate da qualcuno, chi pensavi di cercare?

Non so. Non conosco nessuno.

Allora cerca Wu Lin. Il vecchio sorrise, poi chinatosi soffiò sul fuoco e ripeté: CercaWu Lin. È quello che conosce più storie.

Lo studioso di folclore, la mano posata sulla giara, osservò il villaggio di Otto Pini in quella giornata invernale. Un sole pallido illuminava debolmente le risaie mezze asciutte. I radi alberi sparsi negli avvallamenti e sui pendii avevano perso tutte le foglie, non somigliavano più ai pini che conosciamo.

Il suo sguardo cadde sui solitari spaventapasseri nelle risaie, già tutti neri, i loro cappelli di paglia mostravano dei buchi sulle falde, beccati chissà da quali uccelli impudenti.

Si racconta che lo studioso avesse preso alloggio in un’aula della scuola elementare del villaggio. A Otto Pini non c’erano locande e i viandanti venivano sistemati per la notte sui banchi della scuola, non pagavano ma dovevano allontanarsi prima che suonasse la campanella d’inizio delle lezioni. In quelle terse mattinate lo studioso usciva con la borsa in spalla, si avvicinava al villaggio, entrava nelle case e poi ne riusciva. Il suo volto pallido, la peluria ben rasata sulle labbra, la giacca a vento avana e la borsa da viaggio rigonfia si impressero nella memoria della gente.

Molti vecchi del villaggio gli raccontarono le antiche usanze che ancora sopravvivevano nella zona, mentre lui prendeva nota di ogni cosa su un taccuino. Sedevano nelle osterie davanti ai bracieri, lo studioso offriva loro da bere e da mangiare, e ogni incontro si rivelava sempre fruttuoso. Un giorno gli tornò in mente d’improvviso il vecchio stagnaio incontrato all’ingresso del villaggio e il nome di Wu Lin: Chi è Wu Lin?, chiese. Strano a dirsi ma nessuno dei vecchi sapeva chi fosse. Poi uno di loro gridò spaventato: Ora ricordo, Wu Lin, Wu Lin è un demone, è morto una sessantina d’anni fa, era stato scelto per impersonare l’Uomo Demone!

Lo studioso venne così a conoscenza dell’antica usanza del villaggio di Otto Pini di estrarre a sorte tra gli abitanti un Uomo Demone e intuì che quella sarebbe stata la parte più interessante della sua ricerca. Pregò allora il vecchio di parlare lentamente ma quello, che era ultraottantenne, biascicava le parole, e lui poté appuntare solo alcune frasi slegate.

Promemoria

L’usanza di estrarre a sorte un Uomo Demone si è tramandata nel villaggio di Otto Pini dall’antichità sino al tredicesimo anno della Repubblica. L’Uomo Demone era sorteggiato tra gli abitanti del villaggio e offerto allo spirito degli antenati. Il rito si compiva ogni tre anni, nel giorno stabilito tutti gli abitanti del villaggio si riunivano nel tempio degli antenati. Sull’altare delle offerte ognuno prendeva un biglietto di carta argentata e lo apriva davanti al capo del villaggio, soltanto su uno era tracciato il simbolo magico del demone, colui che lo estraeva diventava l’Uomo Demone. Veniva allora avvolto in un drappo bianco, posto all’interno di un’enorme giara Draghi e Fenici e battuto a morte a colpi di bastone.

Lo studioso non era del tutto soddisfatto degli appunti presi, da quando faceva il ricercatore era la prima volta che s’imbatteva in un’usanza tanto raccapricciante. Col corpo surriscaldato dai bracieri i suoi pensieri correvano veloci.

Pensò che il modo migliore per descrivere l’usanza era di rivivere la scena del sorteggio così come si svolgeva un tempo. Afferrando le mani del vecchio gli chiese: Ricordi ancora come avveniva il sorteggio dell’Uomo Demone? Lo ricordo perfettamente, rispose il vecchio canuto, non potrei mai dimenticarlo. D’accordo allora, disse lo studioso, facciamolo ancora una volta, giusto per provare. Il vecchio scoppiò a ridere forte: Non è possibile, ora non è più permesso. Lo studioso comprò allora altre bottiglie di vino e piatti di carne e mettendoli davanti ai vecchi disse: Non importa, facciamolo per gioco, fatemi questo favore.

Si racconta che gli anziani di Otto Pini cedettero presto alle sue richieste. Si decise di tenere la cerimonia del sorteggio nella scuola elementare il giorno del solstizio d’inverno. Era la volontà dei vecchi di Otto Pini, dissero che un tempo il sorteggio si teneva in quel giorno, e che la scuola elementare era stata costruita sul vecchio altare degli antenati. I giorni che precedettero il solstizio furono umidi e freddi, per terra la neve sottile era divenuta fango, il villaggio di Otto Pini aveva riacquistato l’aspetto d’un tempo: dopo la nevicata i contadini si recavano nelle risaie a piedi nudi, raccoglievano le piantine di riso seccatesi durante l’autunno e ritornavano a casa. Gli spaventapasseri erano sempre lì a tener d’occhio la sconfinata distesa di terra gelata.

Lo studioso rivide la grande giara all’ingresso del villaggio, era leggermente inclinata, all’interno si era raccolta un po’ d’acqua. Pensò che doveva essere neve disciolta. Si chinò per toccare il motivo a rilievo dei draghi e delle fenici, percosse la giara dicendo tra sé: Deve essere questa la giara. Poi notò che tutte le crepe erano state riparate, le graffette di stagno mordevano come denti le fenditure del vaso. Toccando le graffette si scottò le dita, si guardò intorno e vide il vecchio stagnaio col bilanciere sulle spalle superare la collina e scomparire lentamente.

Wu Lin. Pensando a Wu Lin, l’Uomo Demone di sessanta anni prima, non poté trattenere un sorriso. Girò ancora intorno alla giara con la sensazione di compiere un viaggio nel passato del villaggio di Otto Pini, la giara in cui venivano sepolti i morti sembrava ruotare ai suoi piedi seguendo il suo movimento, era eccitato all’idea del misterioso rituale del villaggio.

Wu Lin. Allungò la mano all’interno della giara ed ebbe la sensazione di toccare il teschio immaginario di Wu Lin, una massa informe di carne e sangue che, come una medusa, affiorava in superficie. Agitò la mano incontrando solo l’aria, nella giara non c’era altro che un palmo di neve disciolta e, sul fondo, uno strato di muschio marrone scuro. Nient’altro. Non era stata neanche un’allucinazione. Si domandò perché mai il vecchio stagnaio gli avesse detto di cercare un morto per raccontargli delle storie, era stato uno scherzo inutile e cattivo. Lo studioso si guardò di nuovo la mano che aveva calato poco prima nella giara, non c’era niente, solo le dita erano bianche ed esangui a causa del tempo e dell’anemia.

Il giorno del solstizio d’inverno nel villaggio di Otto Pini si celebrò ancora una volta il rito del sorteggio dell’Uomo Demone. Tra i partecipanti c’erano vecchi venuti di propria iniziativa e molti altri abitanti invitati dal comitato del villaggio, lo studioso aveva richiesto che la cerimonia fosse verosimile, e che si svolgesse come sessant’anni prima. L’altare delle offerte, ottenuto unendo i banchi della scuola in una lunga fila, era stato collocato nello spiazzo, sopra erano state disposte numerose candele accese e offerte di carne, pesce e frutta secca. La cosa fastidiosa fu preparare i biglietti di carta argentata. Il villaggio di Otto Pini contava più di trecento abitanti, quindi sui banchi dovevano esserci più di trecento biglietti, nel giorno del solstizio lo studioso aiutò gli anziani a prepararli. Poi su un biglietto tracciò con l’inchiostro rosso il simbolo magico del demone e lo porse all’anziano dai capelli bianchi più rispettato nel villaggio. Guardò il vecchio ripiegare il biglietto come gli altri e gettarlo nel mucchio. Subito dopo quattro uomini cominciarono a mescolare quel mucchio di carta lucente. Vide infine i trecento biglietti allineati in fila a guisa di drago che si snodava da un’estremità all’altra dell’altare delle offerte, come in un confronto solenne con la folla.

Anche la coda di persone venute per il sorteggio sembrava un drago che avanzava lentamente verso l’altare, ognuno prendeva un biglietto e lo consegnava al vecchio dai capelli bianchi. Il vecchio lo spiegava e lo mostrava a tutti tenendolo aperto nel palmo della mano, la cerimonia procedeva in modo lento e solenne. Gli abitanti di Otto Pini osservavano il vecchio, aspettando che sollevasse in alto il biglietto dicendo: Il demone, il demone è qui.

Lo studioso di folclore era in coda alla fila, avanzava verso l’altare delle offerte seguendo la folla e osservando ciò che accadeva davanti a lui. Gli abitanti di Otto Pini passarono uno dopo l’altro davanti al vecchio, l’Uomo Demone tardava a manifestarsi. In quel momento gli balenò in mente un’idea ma pensò anche che era troppo melodrammatica come finale. Scuotendo il capo si avvicinò lentamente al tavolo e, come tutti gli abitanti di Otto Pini, estrasse un biglietto di carta argentata. Non ne restavano molti ma lui doveva sceglierne uno. Avanzò verso il vecchio dai capelli bianchi, gli sembrò che anche la sua lunga barba emanasse un pallido bagliore. Il vecchio gli tese la mano, anche quella mano emanava una luce argentea. Lo studioso fu scosso da un brivido, gli porse il biglietto pensando che non era possibile, che era una ridicola farsa. Vide la stessa luce apparire negli occhi del vecchio. Dopo aver spiegato il biglietto, il vecchio lo sollevò lentamente in alto, subito dopo udì chiaramente la sua voce, una voce carica di febbrile euforia.

Il Demone.

Il Demone è qui.

Lo studioso rise, la testa gli girava leggermente, ma pensò che non ce ne fosse motivo, allora ridendo si rivolse alla folla vociante e disse: Questa sì che è bella, sono io il Demone.

In quel momento da dietro le spalle del vecchio spuntarono fuori quattro uomini che corsero verso di lui trascinando un enorme drappo bianco con cui lo avvolsero dalla testa ai piedi. Poi lo sollevarono e cominciarono a correre allontanandosi dallo spiazzo. Avvolto completamente in quel drappo bianco, lo studioso da principio partecipò senza scomporsi, ma quando fu sollevato in alto e udì le grida isteriche degli abitanti di Otto Pini ebbe paura e cominciò a gridare come un ossesso: Dove andate? Dove mi portate?

Alla giara Draghi e Fenici, l’hai dimenticato? Sei stato tu a chiedercelo.

Lo studioso si calmò di nuovo, attraverso il drappo bianco intravedeva la moltitudine scura e compatta che lo seguiva correndo all’impazzata. Qualcuno gridava: Il Demone! Il Demone! Lo studioso volava nel cielo di Otto Pini trasportato da quegli uomini, d’improvviso gli tornò in mente il vecchio stagnaio e il nome di Wu Lin, e il suo cuore per un attimo sembrò fermarsi. I portatori accelerarono ancora il passo, dirigendosi veloci alla giara Draghi e Fenici. Come in trance lo studioso vide l’enorme giara, le crepe e le graffette di stagno, il palmo di neve sciolta e il muschio scuro. D’un tratto gridò: No! Lasciatemi, lasciatemi subito!

Infine la folla che seguiva il Demone si fermò, lo posarono a terra e sciolsero le bende bianche che lo avvolgevano. Spuntò fuori il suo viso spaventosamente pallido. Si alzò in piedi e allontanò il mucchio di bende con un calcio, poi con entrambe le mani si toccò i vestiti, i pantaloni e i capelli. Questa è una finzione, non è realtà, disse rivolto al vecchio dai capelli bianchi. Io sono uno studioso di tradizioni popolari, non un Demone.

È ovvio che è una finzione, rispose il vecchio, la cerimonia vera non era così, e non sarebbe certo finita qui.

Mi sento soffocare, non riesco a respirare.

Il rito non è concluso, disse il vecchio canuto. Dovresti farti mettere nella giara, e ogni abitante di Otto Pini dovrebbe darti una bastonata, moriresti sotto i colpi dei loro bastoni.

Basta così, è già abbastanza verosimile.

Lo studioso tirò un respiro, seduto sulla giara osservava imbambolato gli abitanti di Otto Pini. La folla a poco a poco si disperse e lui ora si sentiva molto debole, restò seduto sino a quando la luna spuntò in lontananza sui comignoli. La folla si era allontanata, nelle risaie rimasero solo gli spaventapasseri che frusciavano al soffio del vento, non avevano più quei cappelli cenciosi in testa, nella confusione qualcuno li aveva portati via.

Cosa gli succedeva? Lo studioso si toccò la gola, da quando l’avevano avvolto in quel drappo bianco gli si era chiusa, respirava a fatica. Toccò le pareti della giara, poi si rialzò. Anche se era stato sfortunato e gli era toccato fare la parte del demone, quella ricerca al villaggio di Otto Pini era senza dubbio la migliore della sua vita.

Si dice che la disgrazia fosse avvenuta il giorno in cui lo studioso partì da Otto Pini.

Lasciò la scuola con la sua borsa in spalla, quando passò per i vicoli del villaggio molti abitanti lo salutarono dalle loro case umide e buie. Udiva a malapena le loro voci ma sapeva che lo stavano salutando. Provava un vago senso di insoddisfazione. Seguendo la sterrata coperta di un sottile strato di ghiaccio si diresse verso la strada principale. Quel giorno soffiava un vento forte, si tirò su il bavero della giacca e avanzò offrendo il fianco al vento. Quando passò davanti all’entrata del villaggio notò che, durante la notte, l’acqua sul fondo dell’enorme giara Draghi e Fenici si era ghiacciata prendendo un colore azzurrino. Fu allora che sentì nell’aria l’odore dello stagno fuso, si era come addensato intorno a quella enorme giara avviluppandogli il viso e il bagaglio. Alzò gli occhi guardandosi intorno e in lontananza vide il vecchio stagnaio.

Il vecchio camminava sulla strada principale del villaggio, il bilanciere ondeggiava con luccichii di fiammella, sembrava una lucciola. Alla vista del vecchio stagnaio, lo studioso pensò a quella misteriosa sequenza di eventi. Voleva raggiungere il vecchio. Voleva capirne il senso. Accelerò il passo e presto si ritrovò sulla strada lastricata del villaggio. A occhio il vecchio non distava più di trecento metri, con quel passo e a quella velocità l’avrebbe raggiunto in cinque minuti.

Lo studioso procedeva veloce, ma presto si rese conto che la distanza tra lui e il vecchio non si accorciava, restava identica, era sempre a trecento metri da lui. Come era possibile? Correva, correva e cominciò a sudare e a sentire le gambe molli. In preda al dubbio e all’agitazione, correva disperatamente come un vecchio cavallo. Allora sentì echeggiare sulla strada un debole richiamo, che si propagava indistinto da un luogo che non riusciva a individuare:

Wu Lin Wu Lin Wu Lin

Si fermò e guardò tutt’intorno lungo la strada, ad eccezione del luccichio del vecchio davanti a lui c’erano soltanto i campi incolti dell’inverno e il villaggio completamente deserto. Cominciò ad agitarsi, d’un tratto si girò e urlò al cielo: Wu Lin! Udì il grido rimbombare e riecheggiare nel villaggio. Subito dopo sentì dietro di sé la pressione di un forte spostamento d’aria che immediatamente si trasformò in un grosso oggetto dalle forme arrotondate che lo investì e lo fece volare in aria per un breve tratto, scaraventandolo infine a terra. A guidare la corriera c’era un giovane autista. Il giovane ricordava di aver cominciato a suonare il clacson da lontano, ma l’uomo aveva continuato a restare impalato sulla strada senza muoversi, l’autista aveva pensato che volesse un passaggio e, non volendo darglielo, aveva tirato diritto, di solito gli autostoppisti si fanno da parte. Ma in quello c’era qualcosa che non andava, il muso della corriera l’aveva investito in pieno, facendolo volare in aria come un grosso uccello che si alza in volo impaurito. Il giovane autista, benché molto spaventato, non si era fermato, anzi aveva dato gas scappando dopo l’incidente. Quando però si era ritrovato nella confusione rumorosa dell’affollata cittadina di contea, il senso di colpa l’aveva sopraffatto. Aveva parcheggiato la corriera davanti all’ingresso della questura e, sceso con un salto dalla cabina, si era precipitato dentro.

La gente accorsa sul luogo della disgrazia procedeva a capo chino lungo la strada principale del villaggio al seguito dell’autista, alla ricerca di tracce di sangue. Cominciava a farsi buio, le pietre del selciato diffondevano una luce bianca, non c’erano tracce di sangue e neppure del cadavere. È proprio strano, disse l’autista ai poliziotti, sono sicuro di averlo investito in questo tratto di strada, dove sarà finito? Qualcuno disse che forse l’avevano portato via quelli del villaggio e di andare lì a dare un’occhiata.

Presero un viottolo sterrato, incamminandosi verso il villaggio di Otto Pini. Quando giunsero all’ingresso, l’autista tutto d’un tratto si mise a gridare: La borsa, la sua borsa è lì. Videro una borsa marrone rettangolare poggiata accanto a un’enorme giara, si avvicinarono e scorsero un paio di piedi che sporgevano dall’enorme imboccatura del vaso. All’interno giaceva il morto tutto raggomitolato.

Aveva gli occhi sbarrati, dagli abiti e dall’aspetto si capiva che era uno studioso, il suo viso era bianco e gelido come un pezzo di ghiaccio, con un’espressione di sconcerto negli occhi.

È nella giara?, disse l’autista. Come ha fatto a finire lì?

I poliziotti aprirono la borsa da viaggio del morto, oltre ai vestiti, all’asciugamano, allo spazzolino, al dentifricio e a una tazza per il tè trovarono un taccuino con la copertina di plastica pieno zeppo di fitte annotazioni, ma quello che li colpì più di tutto fu un foglietto di carta argentata che cadde dal taccuino. Dell’argentatura erano ormai rimaste solo delle chiazze, sul retro era tracciato il simbolo magico del demone e con l’inchiostro rosso c’era scritta in grande la parola

“Demone”.

Demone?, disse l’autista. Era un demone? Io conoscevo quello studioso di folclore. Per me la sua morte è avvolta nel mistero. Al suo funerale sentii un altro specialista di folclore mormorare tra sé: È stato solo il compimento del rito.

(1989)

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