Amis: invidia, stile elettrico e piacere della pagina

Nel suo capolavoro “L’informazione” lo scrittore inglese racconta uomini e donne che si amano e si odiano, si tradiscono, provano invidia e meditano vendetta. La micidiale e virtuosistica penna dell’autore distorce tutto grossolanamente con effetti comici e stranianti: uno spettacolo

L’informazione, ci viene detto a più riprese dall’autore e in chiusura del romanzo “non è nulla e arriva di notte”, la stessa notte che è citata nel portentoso incipit: “Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono Niente. Non è niente”. Questi uomini, ci dice, piangono “per colpa delle lotte e delle gesta e della maratona delle promozioni, perché vogliono la mamma, perché restano ciechi anche con il passare del tempo, per colpa di tutte le erezioni che devono inventarsi sul più bello dal nulla, per colpa di tutto ciò che gli hanno fatto. Perché non possono più essere felici o tristi – solo sbronzi o pazzi. E perché non sanno che pesci pigliare quando sono svegli. E poi c’è l’informazione, che arriva di notte.”

Il posto dell’uomo nell’universo

Il senso metafisico del romanzo è tutto qua, nel cercare di scoprire cosa veramente sia quest’informazione di cui al titolo di questo prodigioso romanzo di Martin Amis, L’informazione (436 pagine, 12,50 euro) appunto, edito da Einaudi, perché anche di metafisica si parla, anche se scrutando da vicino uomini e donne che si amano e che si odiano, che si tradiscono, che provano soprattutto invidia meditando le più crudeli vendette. Oltre questi umanissimi guasti, distorti grossolanamente con effetti comici e stranianti dalla micidiale e virtuosistica penna dell’autore, la domanda ellittica che l’informazione pone è quale sia il posto stesso dell’uomo in questo universo: “potrebbe essere utile sapere di che cosa siamo fatti, com’è che tiriamo avanti e a che cosa torneremo… potrebbe essere utile sapere tutte queste cose. Potrebbe essere utile averne coscienza. Su una cosa non si discute, L’Universo è Alta classe. E noi che cosa siamo?”

Una lingua esuberante

In tutto il romanzo c’è l’interpolazione costante di passi come questo, dove riflessioni cosmologiche, fino ad abbandonarsi a presagi catastrofisti: “e finalmente il sole si ritira, si restringe, si raggomitola e muore, diventa una nana bianca – cristallina, amareggiata, sepolta come tutte le cose morte” (pag 176)  e filosofiche, accompagnano il plot principale e in fondo banale del romanzo, che non è che la portentosa manovra di accerchiamento (destinata al fallimento) di Richard Tull nei confronti del suo (ex?) amico e scrittore di successo Gwyn Barry, al fine di consumare la vendetta per i propri insuccessi. Queste divagazioni astronomiche-filosofiche danno un più ampio respiro al romanzo che è anche una profonda riflessione sulla condizione umana a partire proprio dai sentimenti più intimi. Lo fa partendo proprio da questa “trama” appena tratteggiata, come se fosse un accidente, con il drappeggio di una lingua esuberante che si posa genialmente su ogni cosa.

Illusioni tradite e suprema ingiustizia

C’è qualcosa di più candido e innocente dell’invidia? (sembra dire Amis). Il tema della creazione artistica, dell’invidia soprattutto, riproponendo le tematiche del Mozart e Salieri di Puskin, lo stesso riproposto in tempi più vicini a noi ne Il soccombente di Thomas Bernhard, magistrale esempio di lotta destinata allo smacco della mediocrità vs genio, nonostante la perseveranza. Questo non può che far pensare alla ricorrenza di questa universale passione, anche e forse soprattutto nell’impalpabile mondo letterario. Cosa c’ è più di universale, di più puro, perché non contaminato da nessun ombra, ma abbacinante e pervasivo, delle illusioni tradite e della suprema ingiustizia che regna su questa terra? Richard Tull, lo scrittore fallito che non sa darsi spiegazione dei successi dell’amico e contemporaneamente dei propri fallimenti, lui che è relegato a lavori di bassa manovalanza letteraria (vedi recensire insostenibili tomi di autori sconosciuti a ritmo forsennato), cosa per il quale è sottopagato, umiliato e vilipeso.

Una lunga sonata della dissonanza

I due protagonisti tracciano due linee parallele che non sembrano mai destinate a incontrarsi e sono essi stessi due figure speculari: il vincente e lo sconfitto, il trionfatore e il reietto. Qualcosa di più universale? L‘informazione racconta anche il lato oggettivo di queste due rette parallele e lo fa suscitando nel lettore delle risa amare, ghignanti e furbesche che gli fanno dire, ma quello, non sono proprio io? Amis tratta tutto quanto con la sublime posa del grande umorista. Lo fa in modo, irriverente, chiassoso, contorto, distorto e metafisico allo stesso tempo (si passi il termine), una lunga sonata della dissonanza. Lo stile prima di tutto. Al di là infatti di una trama che in sé non è poi niente di eclatante, non ci si aspetti il classico e progressivo aumento di tensione che tiene il lettore incollato alla pagina o un finale thrilling, infatti tutto ruota intorno alla malefica manovra di accerchiamento di cui sopra, qui si parla di letteratura pura, fuori da ogni genere, perché non c’è genere, c’è il linguaggio, c’è lo stile prima di tutto, quello che Saul Bellow in quarta di copertina definisce elettrico.

I romanzi creano un vuoto non un mondo

Forse non ha senso domandarsi riguardo a L’informazione quale ne sia il senso al di fuori di questa sua “elettricità” stilistica, del suo linguaggio, perché per dirla con Blanchot l’opera è esclusivamente ciò che dice, non esiste altro al di fuori di essa. Questo è “Lo spazio letterario”. La solitudine dell’opera la definisce il critico francese e allo stesso tempo la sua “fascinazione”. L’apertura opaca e vuota su ciò che è quando non c’è più mondo, quando non c’è ancora mondo. I romanzi creano un vuoto anziché un mondo e forse non ha senso cercarne un senso corrispettivo nel mondo, nell’autore, nel lettore e non per questo condannandoli all’incomunicabilità, perché quello che dice l’opera, si fa nel suo rapporto con il suo stesso mondo, il suo stile, il dato oggettivo delle sue mute parole (“la cosa più insignificante di questo mondo”), lette e interpretate.

Un risiko di parole vicino alla poesia

La sfida di un romanzo come quello di Martin Amis, è proprio questa e allora forse vale solo la pena leggerlo, evitando di costruirsi mondi, significati e significanti, contenuti che pure ci sono. È in questo stile che si dice, che sta tutta la differenza fra un romanzo “escatologico”, narrativo, di contenuto e una cosa come L’informazione, che fa più pensare a uno smisurato risiko di parole, in alcuni casi senza referenti e senza costrutto, qualcosa di vicino al linguaggio poetico. Provare a leggere una pagina a caso per credere. Puro piacere e aggiungo divertimento. Si può chiedere di più alla letteratura? È quello che Amis definisce come “l’eccentrico”, in una sorta di confessione estetica fra le righe parlando dell’universo e della sua trasformazione da “da geocentrico a eliocentrico a galattocentrico a semplicemente eccentrico” (pag. 385). Ecco forse una confessione stilistica per dire quello che è diventata la letteratura stessa, contestualizzandola finanche storicamente poco prima (pag. 384): “la letteratura aveva detto Richard descrive una parabola discendente. Prima gli dei, poi i semidei. Poi l’epica diventa tragedia. Re falliti, eroi falliti. Poi la piccola nobiltà. Poi la borghesia e i suoi sogni mercantili, Poi voi, Gina Gilda: il realismo sociale. Poi loro, i bassifondi. La malavita. L’età dell’ironia”.

Andamento ondivago e disarmonico

Ne deriva una scoppiettante scrittura rapsodica, qualcosa che in alcuni casi lo fa assomigliare a un mero esercizio di stile. Ecco l’uso digressivo della narrazione, dove con noncuranza può saltare a parlarci dell’universo e dei tempi di rotazione delle galassie o di una bizzarra lezione di scuola guida, di pornografia, dei bassifondi di Londra e della sua manovalanza criminale a buon mercato (al soldo di Richard). Gli episodi sono slegati, non seguono una rigida scansione temporale, ci sono continue digressioni fra i singoli paragrafi, un avanti e indietro nel tempo della trama verticale con uno stile cinematografico dove in alcuni casi si perde il quadro di fondo del quale è pur bello cercare di decifrare i contorni. Smessa la fatica del dover digerire le lunghe pagine di ingorgo di periodi, decostruzione sintattica, vale la pena porre riposo alla lettura, eppur dopo, riprendendo da dove si era lasciata ritrovarla e godersela ancora appieno, magari per lo spazio limitato di una pagina o due, prima che ci accorgiamo che la fluidità non fluisce, perché si scontra con un testo dirompente, dissonante e infuocato, atonale ed episodico, sempre dilazionato nel suo dischiudersi, eppure sublime proprio in questo suo andamento ondivago e disarmonico. Non so se si può definire questa letteratura pura, ma sicuramente è il piacere della pagina alla quale abbandonarsi. “L’informazione” è il piacere della lettura, senza scopo, senza trama, è quello che è o dovrebbe essere la letteratura, piacere fine a sé stesso, anche nel dolore e nella riflessione e da queste pagine ne scaturisce a piene mani.

Certo ci sono anche i contenuti, c’è lo sfondo che è proprio quello di cui ci parlava all’inizio, l’informazione che viene di notte, quella massa gelatinosa che ci avvolge fatta di sogni, aspirazioni, di tutti noi, stelle lontane in cerca di ascoltatori, i reietti, i puniti dal destino baro come Richard Tull, l’invidioso. Il grande disegno metafisico esistenziale applicato alla letteratura tanto da far dire alla voce narrante che in fondo “Shakespeare rappresenta l’universale. In altre parole se la cava abbastanza bene in questo universo, fatto di sodio cesio ed elio. Ma come verrebbe accolto in tutti gli altri?” (pag. 221), un altro modo di dire che da qui all’infinito ognuno di noi sarà miliardario in quanto destinatario del biglietto vincente della lotteria e che Richard stesso in una stringa del tempo sarà lo scrittore di successo che ha sempre invidiato nel suo amico Gwyn.

Editoria, rivalità e dissuasione di aspiranti scrittori

Il romanzo è anche un grandioso libello sul mondo dell’editoria e nelle terre britanniche ha destato a suo tempo le debite polemiche, svelandone alcune delle meschine e subdole dinamiche, salvo realizzare che lo stesso Amis ha percepito un corposo anticipo per questa sua opera (ma non tutti sono Richard Tull). Altra polemica destata in terra patria all’uscita del volume è nata dalla speculazione sui protagonisti del romanzo nell’opposizione Richard Tull/Gwyn Barry, come quella nel mondo delle lettere britanniche fra l’autore stesso e Julian Barnes. E ancora, come non vedere nel tutto un grandioso vademecum di dissuasione a tutti gli aspiranti scrittori, i tanti Richard Tull. Forse la “mistica” informazione è anche questo, oltre al candido e violento istinto primordiale di ognuno di comunicare ed essere apprezzati: “Ci hai meditato su e preferisci vivere per sempre” chiede Richard a Gwyn e lui che risponde: “Non è forse per questo che imbrattiamo fogli?” (pag. 95), o semplicemente lo smascheramento della letteratura stessa, come di ogni umana attività come un centro di potere: “territorio disse Terry. Tutto si riduce sempre a questo. Ogni uomo vuole essere il gallo della checca. Ogni indiano essere Toro Seduto, tutto si riduce sempre a questo: territorio” (pag. 165). Questa è la carnalità nel romanzo che si esprime inoltre nel saltare dei protagonisti e delle loro mogli o compagne da un letto a un altro come in un romanzo di Updike, tanto per dirci, se ce ne fosse bisogno, che in fondo anche tutti gli abitanti del sottobosco letterario non hanno il sesso degli angeli e riportandoli prepotentemente, se ce ne fosse bisogno, sulla terra.

Trex?

Domandarsi infine leggendo L’informazione di Martin Amis se questo debba essere catalogato come puro “trex”, per dirla con l’autore, un suo neologismo come ce ne sono parecchi in questo portentoso romanzo, in questo caso chiara derivazione dall’inglese “trash”, cioè domandarsi se esso stesso non sia da considerarsi un romanzo spazzatura. È un libro che parla di letteratura e di scrittori, di scrittori che scrivono di scrittori, in modo ipertrofico, distorto, cattivo perché scrivere è mentire, una specie di romanzo nel romanzo del romanzo, con tutte le micidiali e terrifiche dinamiche che ineriscono al mondo degli scribacchini e degli umani in genere e lo fa parlando della vita, quella vera, pulsante e del suo sentimento più puro e senza sovrastrutture: l’invidia. Mediterò ancora e ancora questa stessa ultima informazione, promettendomi anche io di decidermi un giorno se questo di Martin Amis debba essere considerato un capolavoro o puro trex, con tutta l’irrisoria differenza che questa valutazione può comportare.

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