Un bestiario straordinario di sovrani sfortunati

“Gli animali che amiamo” di Antoine Volodine è l’ennesimo capitolo della sua epopea post-esotista, fra onirico e grottesco. Protagonisti fallimento, decadenza e disfacimento di un mondo dolente e grigio, quello che verrà

L’Italia ha un’altra occasione per accostarsi ad Antoine Volodine, scrittore francese che sta lasciando il segno nella letteratura d’oggi, percorrendo una strada personalissima, cioè unica, al massimo condivisa con qualche altro pseudonimo… dello stesso autore. Tornano distopia e apocalittico mondo post-umano anche nella sua più recente opera tradotta (da Anna D’Elia, che giocoforza sforna neologismi anche in italiano per rendere la prosa di Volodine), ovvero Gli animali che amiamo (177 pagine, 15 euro), opera pubblicata da 66thand2nd, che ha in catalogo altri due suoi titoli e ne annuncia un quarto, Songes de Mevlido.

Intracarne e shaggås

Storie allegoriche e fiabesche – non semplicemente bizzarre – costituiscono l’ossatura de Gli animali che amiamo, un bestiario fuori dall’ordinario, con creature tutt’altro che amabili. Si tratta di una raccolta di forme narrative teorizzate altrove dallo stesso Volodine, ovvero cinque intracarne (due incentrati su Wang, un elefante parlante che vaga nella giungla del sud-est asiatico, tre imperniati su Balbuziar, un re un po’ insetto un po’ crostaceo) e due shaggås (e saltano fuori anche delle sirene…), che quasi non prevedono elementi antropomorfi, se non una donna, sporca, disperata, vestita di stracci, che si vede rifiutata dal pachiderma Wang, per nulla intenzionato ad accoppiarsi con un essere maleodorante, che sogna di avere un figlio.

Sirene e crostacei

Una bolla di onirico e grottesco caratterizza queste ultime storie di Volodine, i cui protagonisti sono spesso sovrani sfortunati, come sette sirene regine accusate di insurrezione e perseguitate nel regno dei Balbuziar, e gli stessi Balbuziar, re (come Balbuziar CCCXV) con la corazza incollata a uno scoglio che tentano invano di liberarsi, che sognano harem e possono (quanto è assurdo e crudele, il potere) governare solo da… fermi. Il lettore può smarrirsi e disorientarsi in un libro ardito, lirico e colmo di virtuosismi come questo: un sentimento che riflette lo smarrimento e il disorientamento, il fallimento, la decadenza e il disfacimento nel mondo dolente e grigio che verrà, immaginato dall’autore, sempre più senza padri e senza figli letterari, la cui razionalità sembra essere l’incoerenza.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *