C’è del sacro in… Stefano Benni

Il dissacrante scrittore emiliano è un’anima che grida forte, cavalcando l’onda sonora di qualche risata, risata che costringe al pensiero. Benni rivela il suo sacro nel muoversi furtivo dentro il senso delle parole, nel suo intento di rendere meno scontata la vita, e più sorprendente ed eroica la nostra immaginazione 

Almeno tre generazioni di lettori hanno sognato di fermarsi per un caffè al famoso Bar Sport, e lì perdere (anzi guadagnare) qualche prezioso minuto di mistica contemplazione dinanzi alla “decana delle paste”, la Luisona.
L’intoccabile ed immangiabile pasta (di fatto poi trangugiata da uno sprovveduto avventore…), essa stessa simbolo di qualcosa di sacro che non dev’essere violato, è diventata l’occasione per avventurarsi tra le pagine di uno scrittore che, per anni, ha dato alla nostra letteratura un contributo di spessore, riuscendo a fare del suo stile assolutamente unico un riconoscibilissimo punto di forza. E se all’inizio a noi tutti sembrava solo uno scrittore “umoristico”, con il tempo abbiamo imparato che anche lui, nonostante la reiterazione di un apparente no-sense portato all’estremo e mai abbandonato, riusciva perfettamente a comunicare temi di una certa portata.

In certi casi una risata è già una lacrima

Del resto, lo sappiamo bene… Pensare che una risata non possa essere il veicolo di un indigesto singhiozzo, magari rimasto appeso all’anima, è un pregiudizio bell’e buono… Diversamente, se una cosa abbiamo imparato da un volenteroso contatto con il tragicomico, è proprio che in certi casi una risata è già una lacrima. Anzi, a proposito di no-sense e temi di una certa portata, insospettabili estremi del medesimo segmento, pare proprio che accendendo il televisore e sintonizzandosi su un qualsiasi telegiornale… Vabbè, ci siamo capiti.
Ora, questo non fa di Stefano Benni – necessariamente – né uno scrittore “al contrario”, dove automaticamente tutte le cose divertenti sono in realtà drammatiche, né – per carità! – uno scrittore “impegnato”, dove magari uno se lo immagina tutto serio, a confezionare qualche pagina che possa diventare manifesto… No di certo. Non ci sta con un tipo così…
Dico, ci vuole tanto ad immaginare una persona “qualunque”, già così invischiata nelle contraddizioni di una vita normale da essere già abbastanza “al contrario” per conto suo, come tante volte noi, e cioè arrancanti dietro l’idea di un noi stessi che prima o poi vorremmo raggiungere? Ci vuole così tanta immaginazione a figurarsi un uomo “come tutti gli altri”, già così pieno di quotidiane rotture di balle, come tutti noi, da essere già abbastanza “impegnato” anche solo per il fatto che debba terminare di scrivere il suo libro? L’impegno più serio di uno scrittore non potrebbe già essere quello di dover finire un maledetto capitolo, e non trovare il tempo di comprare le uova? Vabbè…

Tantissimo da comunicare

Però, in qualche modo, chi lo ha letto con una certa decennale fedeltà, ha notato senz’altro qualcosa.
Eh, per forza! Ci ha regalato pagine intere di spensierata allegria, ovviamente. E chi non ha, tra gli scaffali della propria memoria, il ricordo di un Benni (qui una sua intervista) letto sulla spiaggia, o su una comoda sdraio, o insomma in un qualunque luogo consacrato al “riposo”, dove “sorriso” diventava l’assonanza perfetta? Ma siamo sempre lì… Quando ci si accorge che quel sorriso non diventa più solo l’occasione di un momento, ma assurge al ruolo di genere letterario, allora bisogna tenersi pronti a saper riconoscere, dietro di esso, qualunque altra cosa uno spirito voglia e possa comunicare. E lui ha sempre avuto tantissimo da comunicare.
Ma chi è Stefano Benni, e perché trova spazio all’interno di una rubrica sul “sacro”, lui che è così notoriamente dissacrante? Beh, se potessimo intervistare qualche fariseo di un paio di millenni fa, magari ci sentiremmo rispondere che anche un noto falegname cresciuto a Nazareth risultò parecchio dissacrante… E forse talvolta, senza dissacrare giusto un pochino, ciò che è veramente sacro rimane seppellito sotto gli stereotipi, le convenzioni, i pregiudizi, i luoghi comuni e le etichette…

Fuori dal coro, il riflesso di un’anima

Quindi, altro che Luisona… Su certe cose Benni è proprio difficile da mandare giù, anche senza dover per forza inventare arditi paragoni tra lui e Gesù. E proprio per questo, quando riesci a deglutirlo, ne senti tutto il sapore (ma solo se hai voluto masticarlo per bene; solo se l’hai tenuto in bocca come un buon vino, per sentirne ogni retrogusto…). E capisci che il suo stile, il suo essere così fuori dal coro, non è un mero artificio da “snobberia” letteraria, ma proprio il riflesso di un’anima che grida forte, se necessario anche cavalcando l’onda sonora di qualche risata. La causa diventa effetto, e l’effetto ritorna causa! La risata non è il fine ma il motore “mobilissimo” di uno scopo preciso: costringere al pensiero!
Di lui, che sembra uno dei suoi personaggi (e non è un caso), si sa che definirlo “scrittore” è quantomeno riduttivo. Benni è un classico scrittore “per necessità”, più che per scelta. Scrive perché la parola orale non gli è bastata più, e la parola scritta ha potuto in qualche modo “mettere ordine” al flusso dei suoi pensieri. E chi l’avrebbe mai detto?! Lui, che come Rimbaud finì col trovare sacro il disordine del suo spirito? Un flusso disordinato ma cosmico, dunque, come un fiume in piena ma pur sempre fiume, che ha attraversato le anse di molte circostanze letterarie e non: dal giornalismo alla drammaturgia, dalla poesia alle sceneggiature, per poi acquisire una posizione universalmente riconosciuta lì dove la maggior parte dei suoi lettori lo ha incontrato, e cioè nella narrativa. Ma pochi sanno (ed io l’ho saputo giusto da pochissimo, pensate…) che tanto, tanto tempo fa, in un’era insospettabile scriveva persino le battute per i monologhi di un Beppe Grillo pre-astronomico.
Il suo rosso diavoletto custode, Sfeltrinello, è sempre pronto a raccontare, dietro gli altari delle librerie, tutte le sue evoluzioni paralinguistiche, e i passaggi iconici che l’hanno consacrato fino a farne un mito plurigenerazionale. Diavoletto che, peraltro, è stato tentato dal suo stesso assistito, e che da lui è stato obbligato ad una tentazione editoriale di tutto rispetto: accogliere Daniel Pennac nel suo catalogo! E Sfeltrinello, vedendo che il frutto era bello alla vista e buono da mangiare, ha ceduto… Felice colpa!

Lo stupore attraverso il sorriso sghembo

Ma ritorniamo a Benni, l’uomo che descrive lo stupore attraverso il fenomeno del “sorriso sghembo”, e cioè un quasi riflesso condizionato partito da una parte di te, che ha colto qualcosa nell’aria attorno (stupore o scandalo?!), ed è ritornato a sbattere dentro una coscienza non ancora del tutto pronta a questa o quell’altra sorpresa… Un sorriso che non ti aspettavi, ma è venuto fuori all’improvviso, quando magari sei scivolato sui suoi neologismi che ricordano tanto la poetica di Fosco Maraini, o su quelle immagini ironiche e amare che sono come quei bitter mandati giù tutti d’un fiato, che qualcuno ti ha messo davanti invece della solita acqua, quando avevi molta sete.

I suoi libri guardati, i moli da cui pesca

Allo stesso modo, leggi un suo libro, segui il filo della storia, partecipi alle azioni dei personaggi e poi, così, all’improvviso, accade l’impensabile. Ecco. Lui l’ha pensato. E l’ha scritto. E tu l’hai mandato giù, come la Luisona appunto. Ovvio che poi ti è venuto il mal di pancia… I suoi libri non vanno letti, ma guardati: prima di raccontarti una storia ti presentano una scenografia precisa, e un proscenio su cui si danno il cambio degli “alibi umani”, delle controfigure di umanità che solo in parte recitano; dei personaggi che lì, dalla ribalta della pagina, smitragliano una raffica di battute mordaci, destabilizzanti e ogni tanto persino oltraggiose, e tu cominci a cercare per vedere se quei personaggi stanno improvvisando o c’è un suggeritore nascosto da qualche parte… E quando ti accorgi che i suggeritori sono proprio loro, e l’attore sei tu che leggi, è già troppo tardi.
Società, ecologia, metafisica, esistenzialismo, sono alcuni contesti ideali su cui è possibile incontrare Benni. Potremmo dire così… sono dei possibili moli su cui lo si vede pescare, silenzioso… in attesa del pesce giusto. Uno gli si avvicina e gli chiede: “Quanti pesci hai pescato oggi?”, e lui risponde: “Con te, uno in più!”.

Prelibatissime esche

Beh, in qualche modo quelle sue battute, quei suoi raggiri di senso e quelle sue spirali linguistiche non sono altro che prelibatissime esche… Ma dietro c’è un amo: un ferretto acuminato girato verso se stesso, proprio come la coscienza. Ed è così che, quando meno te lo aspetti, un libro di Benni può forse aiutarti a “ripescare te stesso”… Le più conturbanti crisi (dove “crisi” è opportunità di scelta) sono venute fuori da un qualche sorriso buttato qua e là, da una persona che ti stava accanto, e che ti ha risposto con uno sguardo, con un’espressione eloquente, con un ammiccamento fatale.
Ricordo ancora quando, tutto entusiasta, me ne tornai a casa con il mio nuovo libro di Benni. Da profano, avevo giusto cominciato da poco ad appassionarmi a questo Autore, e avevo fatto la “prima comunione” e la “cresima” con Bar Sport e Terra!, mangiando l’uno e lasciandomi consacrare dall’altro, letti tutti d’un fiato. Poi, serissimo, cominciai a programmare una sorta di disciplina bibliografica, e mi decisi a comprare i suoi libri in ordine di pubblicazione… Seee, vabbè… Fallace proponimento, consegnato poco dopo alla vanga di Zeno, perché lo seppellisse nel suo cimitero dei buoni propositi… Giunto in libreria, infatti, vidi quella copertina (di Achille piè veloce, ndr), quell’omino dietro la tastiera di un computer, seduto su una poltrona le cui estremità, in prospettiva, sembravano essere due accennate e promettenti cornicchia… Insomma, non seppi resistere.

Un dramma atroce, indescrivibile

Abbandonai il bon ton del lettore diligente che vorrebbe seguire un ordine (modello decadente), e afferrai il fischio del lettore indisciplinato, quello che non rispetta tempi e parametri, e legge convulsamente ciò da cui si sente attirato (lettore forse un po’ più vero del precedente). E così, complice anche il titolo che mi richiamava a mitologiche suggestioni, lo comprai senza indugio. Arrivai a casa, mi sedetti sul divano, e cominciai a leggere. E dopo qualche pagina, dopo i soliti vapori balsamici fatti di immagini falsamente irreali, ecco che… beh, sì… ci rimasi un po’ male. Altro che libro umoristico… Parlava di un dramma atroce, indescrivibile (eppure descritto)! Mizzica, Benni era capace anche di questo? Ma perché? Perché?!! Mi sentii fregato, derubato di una banale aspettativa letteraria, spogliato di un’attesa emotiva che ora deragliava furiosamente su altri sentimenti!
E poi capii… mi ritornò in mente quell’adagio leopardiano che ancora mi risuona con tutta la forza di un dogma: “Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova se munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire”.

La vita molesta e il desiderio di raccontare

Benni, mentre mi costringeva a sentire la furiosa risata del male, del male se la rideva! A modo suo, certo, organizzando una battaglia tra l’ironia e la malattia, tra un uomo e il suo limite, dove alla fine non si capiva bene chi risultasse il vincitore. E certo, perché Benni non stava dando delle risposte, né presentando schemi morali; stava solo descrivendo, nel più carnascialesco verismo, una realtà tremenda. Così com’era, e punto. Senza attardarsi su angeliche risoluzioni di bene, e senza neanche lasciarsi vincere dai violenti morsi del male. Benni descriveva, e basta. Descriveva il dramma di un uomo, e la sua scelta. Senza annunciare se fosse giusta o sbagliata. Gli bastava che quella descrizione fosse abbastanza drammatica da risuscitare qualche sensazione molesta, così da farci sentire umanamente coinvolti. La vita è sempre molesta, come una zanzara. Ti affligge con il continuo ronzio dei suoi perché, e ti succhia il sangue finché non riaccendi la luce e non decidi di averne ragione.
Da allora, le mie scorribande in libreria divennero più caute… Vedevo tutti i suoi libri e pensavo, attardandomi ora su l’uno ora sull’altro: “Chissà quale diabolico pagliaccio a molla uscirà fuori da questa innocua copertina, da questo fuorviante titolo”, e poi però, un po’ per volta, cedevo e compravo. E Benni rivelava il suo “sacro”, il suo muoversi furtivo dentro il senso delle parole, dentro le mille occasioni divertenti inventate per far pensare forse un po’ di più…
Sì, c’è del sacro in Stefano Benni, senza dubbio. Per questo suo intento di rendere meno scontata la vita, e più sorprendente ed eroica la nostra immaginazione. E poi, semplicemente, per quel suo incontenibile desiderio di raccontare.
Il “desiderio di raccontare”… E cioè la pulsione spirituale che ci spinge ad allargare gli orizzonti comprensivi di coloro con cui siamo in relazione! L’indomabile eros che ci spinge a consegnarci senza riguardi, con tutta la verità di noi stessi, sotto le mentite spoglie dei nostri voli onirici! Il desiderio di raccontare… questa cosa così sacra! E se fosse questo desiderio la nostra immagine e somiglianza di Dio?

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