Malaguti e la pioggia che lascia crepe negli uomini

“Dopo il diluvio” è un debutto lontano dai canoni che vanno per la maggiore. L’ha scritto il giovane bolognese Leonardo Malaguti, che ha concepito l’epopea di un piccolo universo senza luogo e tempo in cui una calamità naturale cambia volto, in peggio, alla comunità. Fra nemici inesistenti, egoismi e paure…

Una fiaba nera, cinematografica e corale, con un’ironia surreale di fondo, e con un’indefinitezza riguardo al luogo e al tempo. Il romanzo di esordio del bolognese Leonardo Malaguti, classe 1993, sorprende per la voce sfrontata e moderna applicata a una vicenda di un certo passato (ma che ha riferimenti, metafore, inquietudini che conducono all’oggi),  per la lontananza da temi e canoni che vanno per la maggiore. E lascia il segno con una storia che sembra somigliare qua e là a qualcos’altro, non necessariamente di letterario, anzi più che altro cinematografico (e ci sta, l’autore è anche regista), che prende strade personalissime. Le casa editrice Exorma ha rilanciato un romanzo che si era messo in luce al premio nazionale Neri Pozza, senza vincere ma arrivando in una finale molto combattuta. E si è portata a casa un gioiello.

L’acqua sommerge e allaga

Bisogna immaginarsi un centro dell’Europa del nord o della Mitteleuropa, forse agli inizi del ventesimo secolo, qualche indizio c’è, ma senza pensare troppo alle coordinate spazio-temporali. Si annuncia un temporale, ma non per modo di dire, viene giù tanta di quell’acqua che il paesino, che si trova in una conca («valle-scatola, chiusa su ogni lato da massicci montuosi»), viene sommerso. Solo incidentalmente Dopo il diluvio (210 pagine, 14,90 euro), questo il titolo del romanzo di Malaguti, diventa un’inchiesta sulla morte violenta del paffuto sindaco del paesino, condotta dal commissario Van Loot, avvenimento che ha a che fare con l’allagamento generale, con l’ostruzione del canale di scolo.

Una realtà nuova, a galla umanità e disumanità

In realtà dall’abbondante pioggia riemerge una realtà nuova. L’umidità «sta aprendo crepe impercettibili che è facile diventino voragini». Sono crepe che si fanno strada fra scialli e palandrane, nei comportamenti degli individui (decine e decine i personaggi, alcuni presenti anche solo per poche righe), scemano le ipocrisie, volano le maschere, emergono vigliaccherie e meschinità, la civiltà sembra implodere, l’umanità e la disumanità vengono a galla in tutte le loro sfumature e contraddizioni. Tutti si rivelano per ciò che sono, qualcosa di diverso da quello che sembrano, prevalgono egoismi e irrazionalità: per esempio il pastore Thulin finisce al bordello, il mansueto Keller si rivela uno stupratore, una bimba aggredisce un senzatetto, la folla assale un bordello…

Nemici, tensione e ironia

C’è da ridere e da aver paura nei rivoli di storie febbrili che racconta Malaguti. Il timore principale per gli abitanti del villaggio è l’arrivo annunciato di un nemico (e di nemici inesistenti, ma strombazzati, la presenza viva e costante, accendendo la tv, si percepisce), che sembra non concretizzarsi mai. E nell’attesa la società si disgrega, ciascuno si isola, non pochi sembrano perdere il senno. La tensione è però mitigata, temperata dall’ironia. È in questo mix che il lettore avvertito sguazza, pensa, si diverte.

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