Epica ingloriosa e ricerca perpetua, il bracconiere di Magliani

Un virtuoso della botanica e un bimbo diventato adulto che non l’ha dimenticato. Una storia che oscilla fra la Liguria di Ponente, quella della speculazione edilizia, e l’Argentina dei desaparecidos. Una partenza improvvisa e una ricerca che sembra un viaggio nell’ignoto. Ecco cosa è “Prima che te lo dicano altri”, ultimo romanzo di Magliani

Tre tempi: un presente che ogni tre passi pesca nel passato, anche se siamo in un immaginario futuro – nel 2024 –, un viaggio atteso e necessario per avviare il motore umano e narrativo, l’epilogo con un ritorno, e un nuovo presente che, forse senza più guardare indietro, darà una chiusura alla storia. In questi tre atti si compie Prima che te lo dicano altri (336 pagine, 17,50 euro), l’ultima prova narrativa di Marino Magliani edita da Chiarelettere. Una nuova immersione in un mondo antico, intessuto di ritmi, odori e voci della Liguria di Ponente, di cui tanto ama raccontare l’autore, ma anche una sponda di un ponte che, dall’altra parte, collega il piccolo mondo della Val Prino all’Argentina.
Leo Vialetti è il protagonista di questa storia: lo incontriamo adulto, bracconiere. Ha appena venduto un appezzamento di terra a Sorba, il suo paesino nell’entroterra di Imperia dove è cresciuto con la madre, senza padre, e senza mai spostarsi. Ha bisogno di quei soldi per acquistare all’asta un rudere, una casa abbandonata da anni. Eppure, lui non vuole che diventi cosa d’altri: è la casa di Raul Porti.

Ricordi di bambino

Misterioso personaggio, questo scrittore-imprenditore appare come sfuocato nei ricordi di Leo bambino che, bocciato a scuola, nella casa isolata del professore andava a fare ripetizioni. Ma non sempre si studiava, anzi: con Raul Porti Leo faceva ginnastica, andava alla spiaggia, in vespa, e scopriva il misterioso e magico mondo degli innesti, arte botanica di cui il professore faceva tesoro, con tanti esperimenti più o meno riusciti. È sulla grande metafora della terra, e sull’operazione di innesto tra piante differenti, che la storia intera si scoprirà essere fondata. Chi è infatti, davvero, Raul Porti? Perché da un giorno all’altro ha salutato tutti, Leo ancora bambino, ed è partito per l’Argentina senza più farsi vivo né tornare? La mancanza di questa figura non abbandonerà Leo che, già grande, in una storia di formazione lenta e a tinte oscure, continuerà a cercarlo, rovello di una vita, radice di un innesto di cui capire l’esito.

Microcosmo ligure

Non si può non cogliere, ancora e ancora, tra le parole di Magliani (del suo L’esilio dei moscerini danzanti abbiamo scritto qui), il riferimento a piene mani al paesaggio ligure, alla sua centralità nel formare l’immaginario. E con lo scenario, fedele alla tradizione ligure, c’è il ritorno alle abitudini della campagna: le olive, l’orto, il succedersi delle stagioni. Leo cresce negli anni Sessanta della speculazione edilizia, la stessa della Liguria di Calvino, e vede la sua terra di confine cambiare volto, i suoi abitanti arrendersi al cemento. Ma lui resiste: le mani nella terra, il fiuto teso alla caccia. Leo conosce ogni angolo e piega di casa sua, del luogo dove mantiene le sue radici insieme agli ulivi, alle piante di pomodoro, ai rovi che scavalca nei suoi appostamenti notturni in cerca di cinghiali.

Nella pampa

E poi c’è un biglietto aereo per l’Argentina, un viaggio dall’altre parte del piccolo universo di Sorba, un’immersione nel mondo e nella storia dei desaparecidos, tra i quali sembrerebbe esserci anche Raul Porti. Leo attraversa l’oceano determinato a capire cosa ne è stato del personaggio che tanto gli era caro da bambino, vuole capire, desidera una redenzione, una spiegazione. È un viaggio nell’ignoto, in cui si destreggia come un adolescente alla prova di formazione più dura, rude e spietata. Non mancherà infatti una efferata violenza nella parentesi argentina della vicenda, il peso che sbilancerà l’intera situazione. Parallelamente, noi lettori torniamo alla storia tragica del Novecento argentino, riattraversandone una piega dolorosa che si aggiunge alla storia del boom speculativo in Liguria.

Figlio di un innesto

«Uno è il posto dove nasce», pensa Leo, che alla sua terra è legato da radici profonde. Ma può essere che poi venga innestato: come è capitato a lui. Ripercorrere le orme di Raul Porti, tra il ricordo, il passato sconosciuto di anni e anni di silenzio, e lo scenario che solo l’Argentina saprà restituirgli, non gli garantisce probabilmente la pace e l’affetto tanto agognati, ma gli offre la sagoma accennata di uno schema non per forza dotato di un senso pieno, non per forza bello,  armonioso come un albero tutto intero, solidamente radicato in un luogo di cui respira ogni giorno il cielo. È un’epica non gloriosa, non trionfante, quella di Leo Vialetti: una ricerca incessante e che, per il suo agognare a una risposta, si articola con questo romanzo fino alle sue pagine più lancinanti, gonfie di malinconia.

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