D’Urbano fugge dalle periferie e insegue un violino

In “Isola di neve” la scrittrice romana si discosta dall’ambientazione metropolitana della maggior parte delle sue prove. Immagina due isole tirreniche e due storie lontane mezzo secolo che s’intrecciano. Fra personaggi femminili forti e maschili tormentati

Niente periferie, stavolta. Niente spaccati metropolitani, la specialità dell’autrice, ma la natura incontaminata di un’isola tirrenica (l’immaginaria Novembre) negli anni Cinquanta, e poi oltre, con un salto temporale che porta la scena a mezzo secolo dopo. Due storie in cui amore, musica e ossessioni s’intrecciano e in cui la prolifica Valentina D’Urbano mostra di muoversi con disinvoltura. Isola di neve (512 pagine, 19,90 euro) è l’ultima creatura della romana D’Urbano, che non sfigura al cospetto delle sue più felici, anzi dimostra che può percorrere altre strade rispetto a certi schemi consolidati.

Due coppie nel tempo

Due coppie sono protagoniste del romanzo. Ai primi degli anni Cinquanta Neve e Andreas. Neve – bionda, diversa da tutti – è una ragazza affascinante e incompresa, che fatica in mare come gli uomini, pur di contribuire al sostentamento della sua famiglia numerosa. Andreas, reduce dai bombardamenti di Dresda, è un violinista tedesco rinchiuso nel carcere dell’isolotto di Santa Brigida, “gemello” di Novembre. Nel 2004 Manuel che ha lasciato per Roma, per ritrovare le origini nell’isola dei nonni Livia e Libero, e sfuggire a certi demoni (l’alcol), ed Edith, altra musicista, carica di piercing, che vuol mettersi sulle tracce del mistero di Andreas von Berger, giovane detenuto decenni prima a Santa Brigida, a caccia di una sua partitura e di uno strumento prezioso che gli sarebbe appartenuto. Errori da pagare, dolori con cui fare i conti, il passato di ognuno non farà sconti. Con qualche atmosfera gotica che, nella produzione di Valentina D’Urbano, va rintracciata in precedenza nel romanzo Acquanera.

Un gran finale

L’intreccio di presente e passato, il mistero da svelare, la figura di Neve, splendida e selvaggia, vittima del padre manesco, e poi amante segreta del prigioniero colto e sensibile, sono le pietanze più saporite del menu di Valentina D’Urbano, che mostra di scrivere con grande naturalezza, con la sua prosa senza orpelli, con un’orchestrazione abile delle pagine e dei salti temporali, con una sapiente immedesimazione in personaggi che oscillano fra infelicità e imperfezione e sono resi nelle loro sfumature più recondite, nei loro contrasti più accesi. Come per altri suoi romanzi, D’Urbano sa come trascinare via con sé chi legge e, stavolta, complici le verità a lungo taciute e le storie antiche di cui il romanzo è colmo, lo mette anche di fronte a un gran finale, in cui convergono i destini di Neve, Andreas, Edith e Manuel. A loro modo, memorabili e romantici, come gli scorci insulari inesistenti, che non si possono rintracciare in nessuna mappa, eppure vivono e rivivono.

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