Iervolino e quel gesto silenzioso contro il razzismo

Il leggendario podio dei 200 ai Giochi del 1968 è al centro di “Trentacinque secondi ancora” di Lorenzo Iervolino. Tre uomini ebbero il coraggio di agire con il linguaggio più rivoluzionario, quello del corpo. La narrazione si regge su un meccanismo di sovrapposizioni, dove tutto muove da e verso il momento topico della premiazione. Da allora niente è stato più come prima

Ci sono immagini che non si accontentano di impressionare la retina e vanno oltre, fino a squarciarla, come fosse una tela di Fontana. Quella del podio dei 200 metri a Città del Messico 1968 è certamente una di queste.

Un gesto silenzioso per parlare al mondo

Quel pomeriggio dei Giochi, due campioni stellari, di colore, decisero che era giunto il momento di dire tutto; l’altro, il bianco di un altro emisfero, li appoggiò senza riserve ed insieme scelsero un inedito “gesto silenzioso”, unico come la firma del Caravaggio sulla Decollazione del Battista, non più rinviabile come l’aria dopo una lunga apnea.
Così, mentre le bandiere vengono alzate al vento, due di loro hanno un braccio alzato e una mano guantata di nero, tengono la testa bassa, sono scalzi. Tutti e tre hanno al petto, oltre alla medaglia, la spilla del Progetto olimpico dei diritti umani: da quel momento, il mondo era cortesemente invitato a documentarsi sulle orribili vicende della segregazione razziale negli Usa, passando dalla porta d’ingresso, austera e solenne, dei Giochi Olimpici.

Tra finzione e ricerca

Trentacinque secondi ancora (283 pagine, 23 euro) di Lorenzo Iervolino (66thand2nd) torna su quella vicenda a distanza di 50 anni, mantenendosi sempre in perfetto equilibrio tra la finzione letteraria e un attento e cospicuo lavoro di ricerca, con l’obiettivo di legare quel momento al mondo della frustrazione e della rabbia degli afroamericani.
Mettersi, con questo libro, alle calcagna (si fa per dire, ovviamente) di Smith, Carlos e Norman significa incontrare Harry Edwards, Alfonso De Alba, Malcom X e tutti gli uomini (e le donne) che ogni giorno lottarono, anche con piccoli gesti, per il riscatto della gente di colore e che quel giorno poterono, finalmente, fare sentire la propria presenza al mondo.

Più di mille conferenze

In un attimo l’obiettivo catturò quell’immagine che fece e continua a fare anche oggi il giro del mondo, diventando tra le più famose di sempre, perché il suo “suono del silenzio”, fulmineo, diretto, arrivò dove non doveva arrivare. Fu per questo che, chi capì, pensò (male) di cacciare i due americani e ostracizzare a vita l’australiano. Perdendo ancora una volta, perché ormai il Rubicone in versione Mississippi era stato attraversato e lanciato era stato il dado d’ordinanza: niente sarebbe stato più come prima.

Peter Norman

Per questo suo lavoro, Lorenzo Iervolino ha scelto un efficace meccanismo di sovrapposizioni, dove tutto viene narrato muovendo da e verso quel momento topico della premiazione. È un continuo andirivieni di fatti, personaggi e testimonianze a porre al centro di tutto proprio quel 16 ottobre nel quale Tommie, Peter e John lasciarono tutti alle loro spalle, e non solo su quel nuovo, sorprendente, materiale chiamato tartan.
Uno dopo l’altro al filo di lana e insieme sul podio. Sì, perché in quella foto c’è anche lui, Peter Norman, l’australiano più veloce di sempre che, privo di obblighi e men che meno di recriminazioni, avrebbe potuto sfilarsi e godersi il momento e tutto il resto. E l’avrebbe fatto, se non fosse stato quell’uomo coerente e maledettamente onesto che era e che rimase per tutta la vita:  «I stood by their side», rimasi nè avanti, nè dietro a loro, ma con loro, dalla loro parte, ebbe a dire, senza piegarsi mai ad un Paese (il suo) che lo punì senza riserve.
«Ebbero il coraggio di agire. L’intuizione di saper creare una visione, utilizzando il linguaggio più rivoluzionario che avevano a disposizione: quello del corpo» scrive l’autore che ha anche il merito di smentirti, caro John Carlos. Adesso non potrai più dire «Fanno sempre vedere la foto, ma non raccontano mai la storia».

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