Vidal: “Quanta poca carità e compassione nel mondo…”

Intervista a Nara Vidal, scrittrice brasiliana, autrice di “Sorte”, che vive a Londra. “Osservo il Brasile da lontano, in modo critico, ma non smetto di promuoverne la letteratura. Le società decidono di accogliere solo individui convenzionali. Gli immigrati siriani di oggi, le persone che arrivano attraversando l’Africa portano in sé il peso del rifiuto del paese verso il quale sono diretti. Rispetto al passato la storia dell’oppressione femminile non è cambiata molto”

Lo avevo promesso, ed eccoci qui a parlare insieme a Nara Vidal del suo nuovo romanzo Sorte (ne abbiamo scritto qui), libro premiato al Brazilian International Press Awards. In questo scambio di email Nara ci parla della ricerca storica alla base del suo romanzo, delle donne protagoniste della storia, della loro fuga obbligata, della loro saudade, della loro oppressione ma soprattutto della loro forza e resilienza. Buona lettura!

Grazie Nara Vidal, per aver deciso di rispondere a queste domande e partecipare al progetto Lusoteca. Anche tu hai tra le mani dei progetti per diffondere la letteratura brasiliana in Europa, adesso che vivi a Londra. Ce ne vuole parlare?

«Ho lavorato sempre di più nel tentativo di promuovere e divulgare la letteratura brasiliana contemporanea qui in Europa. Quando penso alle ragioni che mi hanno spinto a fare questa scelta non posso non pensare al fatto che adesso, rimanendo distante dal Brasile, osservando il mio paese dall’esterno pur appartenendogli, ho un’opportunità per osservarlo in forma critica. Scrivo in modo duro sul governo brasiliano attuale che secondo me è la maggiore contraddizione nella nostra politica attuale, considerando che abbiamo una storia crudele di censura e di dittatura e una forma di democrazia molto recente. Da un altro punto di vista invece sento la grande necessità di avvicinarmi di più al mio paese attraverso ciò che ha di migliore, ovvero l’arte. La letteratura brasiliana merita di essere divulgata, esiste un piccolo gruppo di editori la cui attività è toccante e allo stesso tempo entusiasmante. Editori e autori che pur non disponendo di grossi investimenti finanziari riescono a pubblicare lavori di grande qualità. Molti di questi hanno ottenuto riconoscimento grazie a premiazioni e traduzioni. La mia libreria online Capitolina Books nasce proprio con questo intento. Da alcuni anni ho creato un festival di letteratura infantile, con un’edizione a Londra e a Parigi. È difficile lavorare in questo campo, c’è molta competizione e questo può compromettere le nostre buone intenzioni. La mia ultima pazzia è un club di traduzione portoghese/inglese che vede la partecipazione del dipartimento di lingua spagnola, portoghese e studi latino americani dell’University College di Londra. Traduciamo un racconto di un autore brasiliano contemporaneo al mese: il progetto finale sarà la pubblicazione di un’antologia di racconti bilingue. Ho l’assoluta convinzione che se abitassi ancora in Brasile non proporrei nemmeno metà delle attività che ho intrapreso per diffondere la letteratura brasiliana e questo impegno mi serve per rimanere in
contatto con la lingua, la cultura e il settore letterario. Ma è anche una salvezza a livello personale: non è mai facile adottare come patria un paese diverso dal tuo, anche se in Inghilterra mi trovo molto bene».

Parliamo di Sorte che è il suo primo romanzo, preceduto da una raccolta di racconti intitolata A loucura dos outros (La pazzia degli altri). Un romanzo che sta andando molto bene, recentemente ha vinto un premio molto importante in Inghilterra, il Brazilian International Press Awards. Si aspettava questo successo? Da dove ha preso ispirazione? Dalla lettura si percepisce la ricerca storica approfondita che ha svolto…

«In tutto ho impiegato sei anni per scrivere Sorte. Il mio libro precedente A loucura dos outros è nato mentre già stavo scrivendo Sorte, lentamente, passo dopo passo. All’epoca facevo volontariato in un ospizio, il mio compito era leggere per chi ormai non aveva più vista sufficiente per leggere. Qui ho conosciuto Margareth, una donna piuttosto anziana che mi raccontò di aver avuto un figlio ma che non aveva mai potuto essere madre. Da questa nostra prima conversazione ho capito che avevo di fronte una delle donne di cui avevo sentito parlare molto, quelle donne che sono state costrette a consegnare i propri figli ad un convento affinché fossero dati in adozione, essendo rimaste incinte da nubili. Di queste donne dicevano che si portavano la vergogna nella pancia. C’era già molto materiale che approfondiva la tematica, film e libri, ma avere la possibilità di ascoltare la testimonianza esclusiva e insperata direttamente da una di quelle donne mi ha emozionato moltissimo. Sono rimasta molto impressionata e ho iniziato a buttare giù qualche idea per il romanzo. Conoscevo la storia di una delle navi irlandesi che sbarcarono a Rio de Janeiro nel XIX secolo, epoca in cui la schiavitù era ancora praticata in Brasile. È qui che inserisco il personaggio fondamentale di Mariava, anche lei oppressa e vittima di molti pregiudizi, gli stessi che affliggevano anche Margareth. Sorte è un romanzo sull’allontanamento delle proprie origini, sulle difficoltà di vivere in un paese sconosciuto, sulla schiavitù disumana».

Qual è la posizione del Brasile dell’epoca e quella del Brasile di oggi? Nella dedica iniziale del libro scrive un monito molto importante: ricordiamoci sempre di chi non ha avuto voce per parlare…

«È allarmante constatare come la storia dell’oppressione/repressione femminile non sia cambiata molto. Margareth rappresenta la prigione e il controllo cattolico, i mezzi che giustificano i fini. Quante donne in nome di Dio, della morale e dei buoni costumi sono state private dei propri figli affinché la famiglia e la comunità non subissero vergogna. In molti contesti in Brasile è ancora oggi così: ovviamente il mio libro è una fiction, non ha un tono di ricerca, ma allo stesso tempo suggerisce ipotesi che sono e furono molto probabili. Il personaggio di Mariava incarna la tematica del razzismo, rappresenta una donna abusata e sfruttata da tutti i membri di una famiglia portoghese, e i cui familiari sono stati sequestrati e costretti ad imbarcarsi dall’Angola verso il nuovo mondo. Il modo in cui la Storia ufficiale è raccontata e tramandata necessita urgentemente di essere rivista e proposta in una nuova forma critica. Mi hanno insegnato, e così ancora insegnano ai bambini oggi, che furono i portoghesi a scoprire il Brasile. Con questo tipo di approccio non meraviglia che il popolo indigeno sia privato di tutto il proprio valore, della sua cultura, lingua, eredità e tradizione. Le due donne protagoniste, e dopo di loro i loro figli, che affrontano questa sensazione di appartenere ad un paese che li rifiuta e li svilisce, rappresentano esattamente la difficoltà di integrarsi. Sono quattro personaggi non lineari, e sono pieni di vita. Per questo sono rifiutati da una società che decide di accogliere solamente individui convenzionali. Gli immigrati siriani di oggi, le persone che arrivano attraversando l’Africa, tutte queste persone portano in sé il peso del rifiuto del paese verso il quale sono diretti. C’è gran poca carità e compassione nel mondo, e questo non è solo una caratteristica dei nostri tempi purtroppo».

Il personaggio di Mariava è una donna forte, un personaggio indimenticabile: è lei che ci introduce in un mondo dove il sogno, la forza della natura e la fede in sé stessi accompagnano il lettore al di là del mondo reale. In questi passaggi del libro, il passato, il presente e il futuro diventano un tempo di attese e di speranze. Questi caratteri indigeni hanno subito una repressione molto dura in Brasile. Ai giorni nostri ci sono ancora tracce di queste leggende di cui ci parli all’interno del libro?

«Mariana rappresenta una donna povera dello stato di Minas Gerais, lo stato da dove anche io provengo. Qui ci sono persone di razze diverse, ricche di credenze, superstizioni e soprattutto piene di fede e resilienza. Una delle caratteristiche più forti di Mariava è la sua autosufficienza: lei aiuterà Margareth, sequestrando il suo bambino dal convento, e vivrà per molti anni con i suoi due ragazzi, suo figlio e il figlio di Margareth, uno bianco e uno nero. Deciderà di fermarsi stabilmente a Minas Gerais, tra gli indios che già si erano insediati: la sua sensibilità e il fatto di essere cieca, resa tale dalla moglie dell’uomo bianco che abusava di lei, la rendono una persona strana, persino leggendaria. Immagino che sarà stata una donna che portava il panico nelle famiglie: cantava litanie strane e praticava la macumba. Tutto questo la rende un’emarginata, nessuno la voleva nemmeno come schiava perché era ritenuta una pazza. Mariava mi fa ricordare quei pazzi che camminavano per le strade della mia cittadina, quelle persone che non sai mai da dove vengano ma che sono mentalmente compromesse e seminano il panico tra i bambini, e non riescono a svolgere nessun lavoro perché sono difficili da governare. Ecco perché diventano mendicanti, senza una casa, una famiglia, vivendo ai margini. Mariava è una di loro».

Sorte, destino. Che cosa ci può dire, sopratutto in relazione alle condizioni della donna. Possiamo scegliere?

«Esatto, Sorte come destino, come la vita che prende forma indipendentemente dalla nostra volontà. In Brasile si parla molto di meritocrazia. Continuo a pensare alle opportunità che donne come Mariava e Margareth avrebbero di ottenere un riconoscimento intellettuale e professionale. Non he hanno proprio! Ci sono persone che sono sfortunate e che continueranno ad esserlo perché la loro fortuna potrebbe ferire il sistema. La società non accetta facilmente la mobilità tra le classi sociali».

Nara Vidal, un’ultima domanda per chi come noi, apprezza la letteratura di lingua portoghese. Quali sono gli autori di lingua portoghese a cui si ispira?

«Domanda difficilissima ma è impossibile fare un elenco senza commettere qualche ingiustizia! Nella mia lista ci sono Clarice Lispector, mi piacciono sopratutto i suoi racconti, la poesia di Adelia Prado e Drummond (entrambi di Minas Gerais, miei conterranei), Herberto Hélder, José Saramago per l’originalità e la complessità della narrativa, Guimarães Rosa, Dalton Trevisan, Raduna Nassar, Rubem Fonseca. Mi affascina Ana Plácido, autrice portoghese molto discussa per la sua relazione con il famosissimo scrittore Camilo Castelo Branco, la cui opera è eccellente e molto avvincente, scritta mentre era in prigione per adulterio. Conosco poco la letteratura africana di lingua portoghese e mi dispiace moltissimo. Qualche anno fa ho scoperto Paulina Chiziane e Mbate Pedro ma è necessario approfondire questo scambio letterario tra Brasile e Africa, anche in festival letterari e sopratutto nei programmi scolastici e universitari».

(se volete leggere altri articoli dedicati alla letteratura lusofona, cliccate su Lusoteca)

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