Scrivere da sé la propria storia, Ferrante tra romanzo e tv

Libro e fiction di Elena Ferrante tra realismo e quinta teatrale. Il rione selvaggio e grigio, dall’aria infestata, e due bimbe che iniziano a lottare per la propria realizzazione, fuori da un mondo soffocante e ignorante. Il sud del dopoguerra, fra sopraffazione e violenza. I motivi dell’opera dalla carta allo schermo

Da qualche mese L’amica geniale (400 pagine, 18 euro), primo volume della fortunata tetralogia di Elena Ferrante pubblicata dalle edizioni e/o, è diventato anche una serie tv, che dato il successo internazionale dell’opera da cui deriva è stata trasmessa sia su Rai 1 che sul celebre emittente televisivo americano HBO quasi in contemporanea. La storia ripercorre l’infanzia e l’adolescenza di Elena, detta Lenù, e Lila, due bambine cresciute negli anni ’50 in un rione povero di Napoli.

La testa è un secchio di parole

Il quartiere polveroso è il terzo protagonista della narrazione, forse potremmo considerarlo l’antagonista, dal momento che rappresenta una gabbia da cui si vuole scappare al più presto. Restarvi dentro, infatti, significa vivere un’esistenza che è la stessa dei propri genitori, adattarsi a un mondo ignorante, stretto, soffocante, che non lascia spazio ai desideri individuali ma sembra seguire un destino già scritto. Una narrazione senza possibilità di colpi di scena e che si ripete all’infinito, cambiando i suoi protagonisti, le generazioni che si susseguono, ma non la storia che racconta. Lila e Lenù invece la loro storia vogliono crearsela da sole.

L’amica geniale dunque è un libro anche su Napoli e insieme alla città partenopea descrive tutti quei quartieri poveri dell’Italia del dopoguerra, in cui regnavano i pettegolezzi, la violenza e un ambiente retrogrado. Gli abitanti del rione si portano addosso l’odore forte e acre del posto in cui vivono, non a caso i loro vestiti dai colori smorti e fumosi si contrappongono a quelli pastello indossati dall’elegante gente del centro.

Ma se le vesti grigie fanno confondere anche Lenù e Lila con il paesaggio circostante e le sue atmosfere plumbee, in realtà il loro essere entrambe bambine geniali le porterà, anche se in modi differenti, ad emergere rispetto a quel mondo in cui tutto è fermo in un’immobilità atavica.

A salvare le due protagonista dal rione, che come un orco cattivo delle fiabe sembra volerle inghiottire, emerge come primo elemento la cultura e in particolare la lettura del celebre romanzo della Alcott, Piccole donne, che comincia a far nascere nella giovani menti di Elena e Lila sogni, ambizioni e l’idea che sia possibile fuggire da quel destino. La scuola diventa un modo per dimostrare il proprio talento e innalzarsi rispetto alla mediocrità della misera realtà circostante, perché, come dice Lila, la testa è un secchio di parole, in cui abbiamo tutto ciò che serve. Questo significa che ognuno con quelle parole può costruirsi la realtà che desidera e così cercheranno di fare entrambe le bambine.

Competizione e assonanza

La loro amicizia viene dunque suggellata dalle pagine sbrindellate di quel libro letto e riletto, ma che, nonostante il continuo sfogliarlo per recitarne con forte accento napoletano i passi preferiti, continua a rimanere integro. Proprio come il legame tra le due, il quale benché sia spesso messo a dura prova resiste negli anni.

Il rapporto tra Lenù e Lila, infatti, è fatto di piccole o grandi gelosie, ma soprattutto di una continua rivalità. Già dalla prima scena di quel lungo flashback che costituisce la narrazione viene messa ben in evidenza la presenza di una competizione. Lila è orgogliosa, determinata, testarda e Lenù vede in lei un modello da seguire e con cui confrontarsi. Così comincia a nutrirsi dei pensieri dell’amica e delle sue stesse parole, come quanto in un tema in classe riporta una sua frase facendola passare per propria e ricevendo le lodi dell’insegnante.

Gli atteggiamenti tra le due sono talvolta ambigui, nascondendo una volontà di supremazia dell’una sull’altra. Non a caso i loro nomi si somigliano e tale assonanza rispecchia quella delle loro anime, unite dalla volontà di differenziarsi dagli altri del rione, pur presentano molti aspetti diversi a partire da quello estetico.

Lenù infatti ha un viso e dei lineamenti rotondi mentre Lila ha naso, occhi e zigomi più affilati. Proprio come il suo carattere, il corpo di Lila è pieno di spigoli. Anche i colori della due bambine sono agli antipodi, la pelle bianca, gli occhi chiari e i capelli color del grano di Elena si contrappongono alla carnagione olivastra, allo sguardo scuro e profondo, e alla capigliatura corvina dell’amica. Dal punto di vista caratteriale, inoltre, se Lenù è una bambina diligente e buona, o almeno si comporta così, come lei stessa confessa, quando la maestra la guarda, Lila invece non ha paura di mostrarsi per quella che è, con i suoi improvvisi scatti di cattiveria e i suoi atteggiamenti dispettosi. Eppure è lei la più intelligente della classe, quella che sa già leggere e scrivere senza che nessuna gliel’abbia mai insegnato.

Il passo velocissimo e il corso naturale delle cose

Lila è una bambina geniale, pronta a gridare a tutti quelli che le fanno del male “non mi hai fatto niente”, ripetendolo ad ogni colpo o ferita che le infliggono, e a farsi strappare la lingua piuttosto che a non dire ciò che pensa, affrontando chiunque. Lei vuole guardare dritto in faccia la realtà, conoscere ogni cosa e per questo forse si diverte a mettere alla prova Elena, sfidandola ad andare dal temibile Don Achille per riprendersi le bambole che lei stessa aveva fatto cadere nella sua cantina. Lila possiede una fantasia portentosa ed emana una sorta di fluido che ammalia coloro che le stanno intorno, tanto che molti nelle sue mani appaiono come marionette, corpi di pezza a cui alla fine riesce a far fare ciò che vuole.

Così mentre i maschi la desiderano, le femmine ne sono invidiose. Elena invece ne è attratta poiché sente di condividere con lei la diversità dall’ambiente che le circonda. Per questo motivo decide di seguire il passo velocissimo di Lila, per non lasciarsi trascinare indietro da quello claudicante della madre e con lei dell’intera famiglia e del rione.

A tal proposito sembra che i genitori di queste ragazze siano quasi indispettiti dal fatto che le figlie siano così diverse, quasi non volessero per loro una vita migliore. In particolare la madre di Elena non ha mai una parola gentile per lei, soltanto il padre si dimostra dolce e orgoglioso di una figlia così studiosa. Mentre al contrario in casa Cerullo è il padre padrone a opporsi alle idee di “rinnovamento” di Lila e di suo fratello. Regna la convinzione che vi sia un corso naturale delle cose e che tutti siano costretti a seguirlo. Forti con i deboli e sottomessi con i potenti, gli adulti conoscono principalmente il linguaggio della sopraffazione e della violenza, Lila al contrario affronta chiunque senza paura. Il suo comportamento è spesso ambiguo e non si riesce mai bene a capire quali pensieri elabori nella sua mente, quali storie crei decisa poi a trasformarle in realtà.

In tv veridicità e messinscena

La serie tv diretta da Saverio Costanzo segue fedelmente il romanzo, forse anche un po’ troppo. Ciò non toglie che il risultato sia di grande livello sia visivamente che dal punto di vista narrativo, grazie alla prova attoriale della coppia di giovani attrici che interpretano Elena e Lila durante l’infanzia e l’adolescenza.

Unica importante differenza è la lingua, dal momento che se nel libro la Ferrante utilizza l’italiano, nonostante l’ambientazione, nella trasposizione televisiva replicare una simile scelta avrebbe reso il tutto troppo artificioso, per cui si è preferito l’uso del dialetto napoletano che domina nella maggior parte dei dialoghi. La lingua italiana però resta in sottofondo, adoperata dalla voce over di Elena che così come nei libri è la narratrice della storia.

A tal proposito si può notare un contrasto all’interno della serie tv tra la brutale veridicità del racconto, supportato dalla bravura degli attori che riescono a conferire al tutto un tono autentico grazie anche al napoletano appunto, e la scenografia che invece dà la sensazione di un’enorme messa in scena, un palcoscenico ricostruito. Le signore che parlano tra loro da un balcone all’altro, scambiandosi pettegolezzi, infatti, sembrano parte di uno spettacolo teatrale. In un tale scenario è Lila a indirizzare le mosse di molti personaggi al suo interno, cercando di scrivere la propria storia con le sue mani e non permettere a nessuno di dirle come comportarsi. Nonostante in certe situazioni ne esca sconfitta, in realtà elabora sempre un piano per riscattarsi, anche se, come dice lei stessa con un certa malinconia, «i sogni della testa sono finiti sotto i piedi» in riferimento al progetto delle scarpe da lei disegnate e poi diventate realtà.

Quella de L’amica geniale è una Napoli selvaggia in cui emergono queste due anime femminili pronte a lottare per la propria realizzazione personale. Non a caso Elena diventa più bella durante il suo soggiorno a Ischia, i brufoli del viso spariscono e la pelle si abbronza donandole un sano incarnato dorato, ma soprattutto il suo umore ne risente positivamente. Il fatto di essersi allontanata dai fumi grigi del suo quartiere le giova in modo evidente, poiché è come se nel rione l’aria fosse infestata, ingrigendo l’aspetto e l’anima. Ciò è dovuto probabilmente a quel legame tra la gente e i luoghi, di cui parla Lila, vale a dire è vero che se manca l’amore non soltanto le persone ma anche le città inaridiscono.

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