Il gentile che sogna d’essere ebreo e il caustico Jacobson

“L’enigma di Finkler” è stato il romanzo della consacrazione per Howard Jacobson – non un semplice epigono di Roth e Allen – una sgangherata tragicommedia, tra sarcasmo e riflessione, in stile yiddish. Protagonisti l’ebreo Sam Finkler e Julian Tresolve, che ebreo non è, ma vorrebbe esserlo…

Quei corsari dell’Ancora del Mediterraneo, casa editrice napoletana che non esiste più, avevano messo le mani su Howard Jacobson ben prima del clamore del Booker Prize. E con Jacobson – ebreo, mancuniano, filoisraeliano, inglesissimo, settantasei primavere – la collana Cargo della sigla partenopea aveva spiccato definitivamente il volo. Lungimirante è stata poi Elisabetta Sgarbi che si è accaparrata l’autore britannico prima per la Bompiani e, infine, per la Nave di Teseo. Ed è giunto il momento di recuperare la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra de L’enigma di Finkler (479 pagine, 19 euro), quintessenza di un’ironia crudele e disarmante, anche anglosassone, talvolta politicamente scorretta, libro della consacrazione per l’autore inglese, che non merita di essere incasellato ed etichettato come semplice epigono di Roth o Allen.

Il filosofo pop e il sosia dei vip

C’è Sam Finkler, ebreo, famoso e facoltoso, un filosofo pop che fa comparsate in tv, e c’è Julian Tresolve, molto più di un coprotagonista, introverso, inconcludente, carico di delusioni, che lavora come sosia di vip ai party e vorrebbe essere come l’altro, suo vecchio compagno di scuola, e che è ossessionato da tutto ciò che è ebraico. Amici rivali, il cui interscambio fatto di conversazioni e azioni gira, causticamente, attorno all’identità ebraica, nel profondo e in superficie, a cominciare dai vezzi e stereotipi che i gentili, almeno quelli di una “tollerante” Londra, accostano per lo più con effetto caricaturale agli ebrei, i finkler come direbbe lo spaurito Julian: più furbi e intelligenti, con il senso degli affari, essi stessi i loro peggiori nemici, addirittura che si vergognano di Israele, come Finkler e i componenti di uno strano club antisionista di Soho intitolato a Groucho Marx. Ai due Jacobson affianca l’anziano Libor Sevik, vecchio professore di entrambi, vedovo che non riesce a dimenticare la sua stupenda e aristocratica Malkie…

Dall’amore al paradosso

Il romanzo di Jacobson è una sgangherata commedia colma di malinconie, tra sarcasmo e riflessione, in tipico stile yiddish. Tra le sue pagine chi non appartiene al mondo ebraico ne è affascinato e vorrebbe in qualche modo integrarsi, gli ebrei vorrebbero sfuggire a ciò che sono (perfino provando, in modo improbabile, ad annullare gli effetti della circoncisione, a far tornare il prepuzio alle dimensioni originali. Fascino e disgusto, con tante occasioni per ridere in modo incontenibile (ci sarà un motivo perché i libri di Jacobson sono bestseller in patria e fuori dai confini), ma anche per meditare, perché siamo dinanzi a una tragicommedia. E c’è un ingrediente che non manca mai nelle tragicommedie: l’amore. Anche nei sentimenti Sam e Julian sono piuttosto… distanti. Il primo alle prese con un buon matrimonio a cui non fa mancare qualche tradimento, il secondo è pressoché solo, nonostante donne (che lo abbandonano) e figli, o almeno è solo fin quando non incontra Hephzibah («Senti, per quanto mi riguarda sei perfetto così come sei, Io amo le tue perplessità»), bellezza esuberante e materna, promotrice di un museo sulla cultura anglo-ebraica, virtuosa di prelibatezze della cucina ashkenazita. Una donna che per Julian è la vera porta d’accesso all’ebraismo, con tanto di fraintendimenti e paradossi: l’ossessione lo porta ad avvertire minacce e complotti antisemiti ai suoi danni…

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