I “sette libri per l’inverno” di… Gianfranco Di Fiore

L’inverno sta per concludersi ma Gianfranco Di Fiore (nella foto di Mario Biglietto), autore di “Quando sarai nel vento” per 66thand2nd, propone suggerimenti ottimi per tutte le stagioni. Scelte speciali: dai primi del Novecento ai giorni nostri, dall’Italia alla Russia, dalla Francia all’America Latina, passando per gli Usa

“Dentro” di Sandro Bonvissuto (Einaudi)

Ci sono romanzi destinati a una vita senza tempo, unici, che trascendono qualsiasi possibilità di codificazione; sono libri che donano speranza, mentre raccontano una piccola parte di mondo (interiore), dissipata in spazi minimi. Quando lessi Dentro per la prima volta capii che in Italia si poteva ancora leggere per imparare, e non solo a scrivere ma a guardare alle cose, e alla letteratura, con un impegno diverso. Leggete Bonvissuto non se avete bisogno di una storia, a tenervi compagnia, ma per capire l’importanza di poterne ancora raccontare una, diversa, oggi. L’esperienza disumanizzante del carcere, l’amore fragile dentro l’amicizia giovane, l’affetto di un padre che scorre dentro i pedali di una piccola bicicletta: la poesia, in questo libro, è nascosta in ogni dove.

bonvissuto

“La valigia” di Sergej Dovlatov (Sellerio)

Spesso si pensa che la vicinanza, l’essere prossimi al dolore, alla violenza, alla fine di ogni possibilità (di esistenza) siano necessari per raccontare e rappresentare con fedeltà quelle dinamiche di sofferenza o mala-vita che sono fonti di ispirazione per certi scrittori che, come Dovlatov, attingono alla propria triste biografia per creare letteratura. Questo romanzo ci dimostra come in alcuni casi l’andare via, rompere con il passato e allontanarsi dal proprio paese, e dalla sua tragica storia , sia invece la condizione migliore per fare i conti con la propria epica, per capire davvero in quale inferno sia transitata la vita individuale. Giornalista dissidente, carceriere nei gulag, contrabbandiere, Dovlatov parte per gli USA nel 1979, con una piccola valigia, e attraverso quei pochi oggetti portati con sé riesce a narrare quasi mezzo secolo di vita passata, nella sua amara Unione Sovietica.

dovlatov

“Il cantiere” di Juan Carlos Onetti (Sur)

Pensare di poter raccontare il vuoto e il nulla, unicamente questo, in un romanzo, può sembrare una sfida inutile, un progetto quasi irrealizzabile. Eppure la raffinata penna di uno scrittore ancora troppo poco conosciuto in Italia, come il grande Juan Carlos Onetti, è riuscita in questo folle progetto. Un uomo torna nella sua città dopo un esilio durato cinque anni, e si impone non solo l’amore di Angelica Ines ma anche la presenza immateriale del padre di lei, proprietario di un inutile e vuoto cantiere, nel mezzo del deserto, dove il protagonista Larsen viene (de)stabilizzato affinché si possa occupare di tutto ciò che (non) accade, (non) cambia, (non) evolve. L’eterna lotta fra angoscia e ironia, fra il pensiero e la parola (taciuta), passando da Kafka a Camus, all’interno del cantiere si ritrova tutto l’inesprimibile umano.

Onetti

“Fábian e il caos” di Pedro Juan Gutiérrez (E/O)

Di Gutiérrez bisognerebbe leggere tutto: ogni romanzo, ogni racconto, ogni poesia. A differenza di tanti autori (scomodi), che hanno deciso di lasciare il proprio paese ed evitare la bieca censura dei governi totalitari, Gutiérrez non ha mai pensato di lasciare Cuba e di scrivere vicende, di raccontare luoghi o personaggi che non fossero totalmente radicati nella storia e nel tessuto sociale del suo paese. In questo intenso romanzo, che ha avuto una gestazione di oltre vent’anni, lo scrittore cubano realizza una sorta di libro-documento sulla realtà del suo paese, raccontando oltre cinquant’anni di storia cubana, prima e dopo la rivoluzione castrista, senza fare sconti a nessuno, nemmeno a sé stesso. L’amicizia con Fábian, musicista gay, figlio di emigrati spagnoli, la fine del regime di Batista, il carcere duro, le fabbriche di rieducazione per omosessuali, la nuova povertà e la fame durante la dittatura di Castro: questo romanzo resta un cardine necessario per aprire le porte sulle realtà di un paese controverso, e ancora troppo necessario per gli equilibri del mondo.

Gutierrez

“Il mio corpo ed io” di René Crevel (Elliot)

Se provo a temporeggiare, dedicandomi alle verità relative e ai loro meschini pretesti, i fenomeni esteriori, debbo subito riconoscere che fuggendo l’idea della morte non ho accettato nemmeno quella della vita, e che tutti i miei gesti sono stati piccoli suicidi momentanei che mi hanno alleggerito senza risparmiarmi il dolore. Esasperato e vinto dalla finzione dei rapporti sociali, dall’incertezza di quelli sentimentali e schiavo di una conflittuale sessualità, il giovane Crevel ricerca nella scrittura una riconciliazione tra l’io e il corpo, un modo per allentare una naturale tensione verso l’autenticità e una morale in grado di tenere insieme istinto vitale e istinto mortale. In un delirio ad alta quota, sulle Alpi, in fuga dalla Parigi degli anni ’20, Crevel – fiaccato dalla tubercolosi – riflette sulla lucidità dell’intelligenza e un inevitabile suicidio.

Crevel

“Il cadavere di Nino Sciarra” di Davide Morganti (Wojtek Edizioni)

Fra gli scrittori più generosi, e saggi, che utilizzano la scrittura come strumento non solo di indagine (personale) ma come apertura alla conoscenza, messa al servizio del lettore, c’è sicuramente Davide Morganti. Con questo piccolo gioiello narrativo, editato in maniera splendida dalla raffinata casa editrice Wojtek, Morganti ci regala un libro senza fine. Un uomo cammina stanco in una vecchia villa abbandonata, alla ricerca di un cadavere; è l’inizio di una scoperta sensazionale: libri su libri su libri, autori dimenticati, cumuli di genio e di grande letteratura italiana stranamente considerata minore viene riportata in vita dal regno dei morti. Non solo un utile manuale di letteratura (sottovalutata), ma anche un romanzo scritto con il cuore e il sangue, che cerca strenuamente di rimettere le cose a posto. Un libro da far studiare nei licei, e nelle Università, una minuscola lampada di Aladino in carta, da sfregare ogni volta che si ha voglia di scoprire qualcosa di magico.

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“I figli del buio” di Colum McCann (Bur)

Nathan Walker ha 19 anni quando si trasferisce a New York City, nei primi anni del Novecento. I suoi sogni di riscatto sociale ed economico cozzano contro le difficoltà e l’alienazione di una vita che, ai nuovi immigrati, non lascia grandi speranze. Nathan si ritrova così a scavare un tunnel sotto l’Hudson, per la costruzione della metropolitana che unirà Brooklyn a Manhattan. Con lui altri tre operai: O’Leary, Sean Power e Robert Vannucci. Un giorno, l’improvvisa apertura di una falla nella galleria risucchia i quattro operai nelle acque gelide del fiume, costringendoli a lottare per la sopravvivenza. Amicizia, solidarietà, amore e pregiudizi, ingiustizie, miseria e dolore: c’è un intero universo in questo straordinario romanzo, una New York spietata che non concede sconti né gioie agli umili. Colum McCann è quanto di meglio gli Stati Uniti abbiano importato dall’Europa.

McCann

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