Valentini: “Racconto i pezzi in cui ci riduce l’amore”

Dialogo con Valerio Valentini, autore di una raccolta di racconti che risente di influssi esistenzialisti, “Parlare non è un rimedio”, e che a novembre pubblicherà un romanzo: “La memoria ci aiuta a riaggrapparci ai ricordi felici e a quelli difficili come strumento per vivere un reale al meglio delle proprie possibilità. L’ascolto, atto che oggi si sta perdendo, è la chiave del tutto”

«Ne L’animale morente Philip Roth scrive una frase che uso all’inizio del mio libro – afferma Valerio Valentini – e recita: Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due… In principio, questo pezzo, come L’amore ci farà a pezzi, ancora (la canzone dei Joy Division, ndr) doveva essere il titolo del libro stesso, penso che i miei racconti siano proprio quei pezzi, parti di un unico essere che, attraverso l’amore, si sia scomposto creando tante parti dello stesso».

Ventuno racconti per parlare di relazioni, rapporti umani lastricati dall’apatia e consumati dalla quotidianità. Racconti brevi, sincretici e spiazzanti sono quelli di Valerio Valentini, «uno dei più fedeli seguaci della laica religione del racconto», pubblicati nella raccolta Parlare non è un rimedio (286 pagine, 14,90 euro), pubblicato da D editore. L’umanità perennemente insoddisfatta, raccontata dall’autore romano, diventa un soggetto interessante da comprendere, al di là delle parole. Uomini e donne si trovano ad affrontare il dramma della quotidianità reiterante e consumata da circostanze banali di intollerabile tedio e apatia, che però sotto la cura stilistica del nostro autore, in un istante, si trasformano in situazioni emblematiche e filosofiche. L’intera raccolta infatti, risente di influssi esistenzialisti della filosofia di Sartre e Camus. Gli uomini sono esseri bisognosi di relazioni, amore, di ricordi senza i quali rimarrebbero allo stato di animali dormienti, schivi e inermi. Le donne sono stralunate, in preda alla volgare vanità e all’erotismo ordinario. L’atto sessuale diventa un istinto fisiologico incapace di generare passione e voluttà.

Cosa sia esattamente l’amore, nei racconti di Valentini, è materia oscura ma imprescindibile, l’unica capace di completare quella metà dei personaggi che altrimenti resterebbe dimezzata, proprio come il visconte di Calvino. Ma allo stesso tempo questa urgenza di completarsi viene rallentata dalla noia, dalla noluntas capace di consumare anche il più forte dei bisogni. Come nella concezione schopenhaueriana, nei racconti di Valentini, l’unico modo per trovare una pace è quello di «cessare di volere», fino a porre l’essere nella condizione di rinunciare alla propria individualità e alle proprie esigenze, in poche parole sopravvivere; ma, essendo l’uomo un animale sociale, è spinto dalla necessità di condividere, in società, l’incapacità di raggiungere obiettivi innesca il meccanismo, come una lunga ombra di se stessi, della menzogna, agli altri e a se stessi che miserabilmente tenta di giustificare le insolvenze. L’uomo è sprofondato nella dimensione dell’Io, nella solitudine. La salvezza e la felicità, di cui i personaggi sono sempre alla ricerca, giunge con il profumo del tempo perduto, quasi un’immagine proustiana, i cui i ricordi come una zaffata di dolci fatti in casa o di carciofi bolliti, scorrono nella via della memoria, giungono inaspettati e trascinano nella nostalgia di un tempo lontano.

Valentini, parlare non è un rimedio, perché?

«Parlare non è un rimedio è una provocazione dove, quel parlare, diventa un atto superfluo solo per salvare un qualcosa che è diventato impossibile da salvare ma che al tempo stesso, se si fosse parlato prima, si sarebbe potuto recuperare. Parlare può essere un rimedio in alcuni casi e troppo spesso non si riesce a capire quando è il momento di farlo. Quello che volevo rendere al lettore era una contrapposizione netta in un momento focalizzato all’interno di una relazione, dove il parlare, passato, presente e futuro potesse in qualche modo direzionare lo svolgimento della stessa relazione stessa».

Alcuni dei suoi racconti pongono i personaggi sul punto di capire se sono o no felici; una rivelazione improvvisa che accade in un istante poco considerato. Succede al protagonista de L’amore ci farà a pezzi e di Ritmi di festa: cosa rende un uomo felice, secondo lei?

«La felicità è uno dei pochi sentimenti davvero tangibili e che non può essere troppo mascherato perché passa attraverso gli occhi che sono difficili da ingannare. La felicità può essere un istante o un periodo breve ma significativo e agisce sul quotidiano. Passiamo una vita a cercare di essere sempre ineccepibili, sempre più intelligenti, sempre più belli quando, prima di ogni cosa, vorremmo essere felici e accorgerci che basta poco per esserlo davvero e quel poco, anche se soggettivo, è qualcosa che probabilmente abbiamo già ma ancora non lo vediamo».

Amore, una parola che si ripete spesso nella tua antologia anche se qualche volta ha le sembianze di un’epigrafe esattamente come la parola matrimonio. I suoi protagonisti scappano, letteralmente, dalle relazioni, o queste durano un attimo: «Per un attimo mi sentii innamorato», come mai?

«Volevo raccontare tutti gli aspetti dell’amore attraverso le fasi della vita; l’amore acerbo di quando si è piccoli e può essere la cosa più stratosferica del mondo e allo stesso tempo un respiro di pochi istanti, l’amore cosciente e maturo, l’amore sincero e quello simulato, l’amore che “dura tutta una vita” e l’amore che forse non c’è mai stato. E nella maggior parte di queste storie amorose, simili al reale, c’è coraggio ma anche tanta paura, la stessa che ti porta a fuggire da un qualcosa che pochi sanno capire».

Dà molta importanza ai ricordi, al profumo del tempo perduto come nei racconti Phonola o L’odore dei carciofi che diventano indicativi per liberare la memoria dal loro nascondiglio, spezzando il tempo passato dal tempo presente e trasformarlo in un unico tempo, proprio come le madeleine in Proust. Che valore hanno?

«Il ricordo è la cosa più importante che abbiamo oltre alla memoria, la seconda ci aiuta a riaggrapparci ai ricordi felici e a quelli difficili come strumento per vivere un reale al meglio delle proprie possibilità, o almeno provarci».

Nella sua raccolta c’è spazio anche per il matrimonio, il titolo di un suo racconto è Credi nel matrimonio?. Rivolgo la domanda all’autore.

«Credo nel matrimonio non come istituzione religiosa o civile (a seconda delle credenze) ma come unione di spiriti e di legami indissolubili che non hanno bisogno di una firma per essere segnati indelebilmente per tutto l’arco di una, o più, vite».

«Mio nonno aveva cercato per tutta la vita di tenere unita la famiglia, senza riuscirci. Poi era morto, e dopo pochi anni la casa era stata venduta per pochi soldi». Nei suoi racconti si assiste a una sorta di collisione generazionale in cui il passato – rappresentato dai nonni – appare dotato di una conoscenza speciale del vivere (o pazienza) che sembra essersi consumata nel tempo e che la nuova generazione non possiede più. Cosa ci si siamo persi?

«Abbiamo perso la fantasia, il sogno, e quel pizzico di audacia quando c’era da affrontare il futuro. Oggi c’è più competitività, ma manca il “buttarsi”, la maggior parte dei bambini, o degli adolescenti, sa già, a grandi linee, cosa farà “da grande”. Personalmente prima di arrivare a quello che svolgo come lavoro, ho cambiato più mansioni e generi, ma soprattutto sono stato prima consigliato, poi, una volta chiaro nella mente che bisogna provare sul campo ho sperimentato, sbagliato, mi sono arrabbiato, ho mollato e poi ho ricominciato. E oggi, quello che sono, quello che faccio, non è frutto di una scelta definita ma di un percorso che, forse, potrebbe anche cambiare da un giorno a l’altro».

Alcuni dei protagonisti maschili dei suoi racconti sembrano calati nei vizi, nell’apatia, nell’assopimento: «Mi alzo dal divano e mi guardo allo specchio. Sono come al solito uno straccio per via della sera prima». Incapaci di rispettare regole morali. Inermi, neppure in attesa di qualcosa, nulla per cui valga la pena spendersi. Gli eventi esterni li smuovono o li stupiscono loro malgrado, come l’amore, la scrittura, il vizio, il matrimonio perfino (argomento di cui parla molto). Tutti uomini o donne però dotate di intelligenza (intelligere) e filosofia, capaci di chiedersi il perché su tutto. Abbiamo razionalizzato così tanto che abbiamo smesso di abbandonarci al sentimento?

«Più che razionalizzato ci siamo abituati, il troppo, l’idea di avere tutto a portata di mano (o di clic se vogliamo usare un termine moderno), e la possibilità soprattutto di esplorare qualsiasi cosa, ci hanno reso annoiati, annoiati di tutto, della vita, dell’amore, del viaggio, inteso sia come valore spirituale che come azione fisica. Oggi tutto è facilmente fruibile, tutto è già conosciuto o, se non lo è, è possibile farlo in pochi attimi e questo ha fatto si che si sia creato uno stallo, un blocco fra il passato e il futuro che non è il presente, ma qualcosa di astratto. Ecco, io racconto quegli attimi, quando non c’è quasi più lo spazio per ricominciare e dietro si è creato un telo su cui viene proiettata una vita, la tua vita dalla quale, però non riesci a riconoscerti».

Già lo sa: Mimesi è il racconto che ho prediletto. C’è un ragionare cinico e grumoso che a me piace. Due giovani al bar che discutono sull’amore, sulla paura di restare soli. Le domande tra i due sembrano le mosse di una partita a scacchi. Nessuno ha ragione, nessuno a torto. Ma Valerio cosa pensa dell’amore?

«Federica, di Mimesi, ti risponderebbe che: “tutti amano, a modo loro”, la realtà è che, non decidiamo nulla, né chi amare, né quando amarlo e perché farlo. Tu sei lì, inerme e sai che prima o poi ti capiterà senza sapere nulla, anche se lo cerchi con insistenza o se lo eviti, perché in fondo, l’amore è una cosa che, nel bene o nel male, tutti provano più di una volta nella vita e ogni volta è una sensazione diversa, disarmante, meravigliosa».

Ho avuto la sensazione che i personaggi dei tuoi racconti ammanchino di qualcosa che li soddisfi pienamente; il sesso diventa un rituale fisico; il cibo buono un ricordo nostalgico, l’amicizia abitudine, l’amore un elemento per non sentirsi soli… Risento molto la filosofia di Camus. Come nascono le sue storie?

«Nascono dal quotidiano, da quello che osservo tutti i giorni ma che non so, in quel momento immagino un seguito, creo due parti ben definite fra il reale e l’immaginifico quello che viene dalle esperienze passate o raccontate oppure ascoltate. Ecco, penso che ascoltare, atto che oggi si sta perdendo, sia la chiave del tutto. L’ascolto crea unione, dibattito, apre la mente e insegna tanto e prima di raccontare bisogna avere l’umiltà e la capacità di ascoltare e di crearsi un’opinione, da questo nasce, per esempio, Mimesi».

Come definirebbe i suoi racconti?

«Ne L’animale morente Philip Roth scrive una frase che uso all’inizio del mio libro – afferma Valerio Valentini – e recita: Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due… In principio, questo pezzo, come L’amore ci farà a pezzi, ancora (la canzone dei Joy Division, ndr) doveva essere il titolo del libro stesso, penso che i miei racconti siano proprio quei pezzi, parti di un unico essere che, attraverso l’amore, si sia scomposto creando tante parti dello stesso».

Perché i racconti come scelta di scrittura?

«In principio per la foga di vedere qualcosa che avevo in mente subito trasformato in narrazione, erano racconti acerbi in cui c’era un grande preambolo seguito da uno svolgimento e una fine troppo veloce e sbrigativa, erano dei lampi, come l’ispirazione, che poi però restavano tali. Con il passare del tempo, e dei racconti, però ho cominciato a buttare giù schemi prima di tutto, strutture che avessero una logica, raccontassero storie si, ma fossero istantanee del mondo che stiamo vivendo e di quello passato. Il racconto breve come mezzo di comunicazione immediata in un mondo che va, forse troppo, di corsa, allora il racconto diventa un’istantanea di uno spaccato di vita quotidiana e di conseguenza memoria che, per mancanza, voglia o incapacità diventa, troppo spesso, invisibile».

Leggeremo mai un suo romanzo?

«Mi sa proprio che a fine novembre di quest’anno ci sarà la possibilità di farlo, ma io non ho detto niente, mi raccomando».

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