A dialogo con Primo Levi: una lezione per il domani

Il centenario della nascita di Primo Levi non poteva passare insosservato al Salone del libro: testimone della storia, passano di generazione in generazione i suoi messaggi, a cominciare dalla possibilità che l’uomo sia vittima e carnefice perdendo, specularmente ma allo stesso modo, gradi di umanità, ed entrando in un circuito letale di odio e violenza. Le parole di Fabio, presidente del centro Levi

«Ebreo e partigiano, internato nel campo di concentramento di Carpi-Fossoli nel 1944, deportato ad Auschwitz e liberato nel 1945, Levi ha saputo indagare, per la sua esperienza di vita e insieme per la sua capacità di esplorazione, gli abissi della natura del male». Così esordisce la lettera che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato a Nicola Lagioia, direttore del Salone del Libro di Torino che nel 2019 ha dedicato un filone di incontri e riflessioni proprio allo scrittore-chimico torinese, a cento anni dalla sua nascita.

Il dialogo con i lettori

«Figura complessa di uomo e scrittore – lo ricorda nelle sue parole Mattarella – sopravvissuto ad Auschwitz, la forza della sua lezione ha superato i confini nazionali per diventare il simbolo di una sofferenza universale». Ed è infatti alla poliedricità di Primo Levi (nell’immagine, per gentile concessione, una foto realizzata da Renzo Levi), ai suoi tanti punti di vista declinati nella sua opera che le iniziative del Comitato per il Centenario, costituito istituzionalmente di concerto con il Centro di Studi Primo Levi di Torino, fanno riferimento nel lungo e variegato calendario di attività che ricorderanno l’autore e ne riapprofondiranno via via testi, temi, aspetti, declinazioni.

Al centro del ventaglio di appuntamenti, che avranno luogo a Torino – città di Levi dalla quale non si è pressoché mai spostato, salvo per la tragica parentesi del lager -, ma non solo, ci sono le sue parole, il dialogo stabilito con i lettori sulla pagina. Lettori di ieri, ma anche e soprattutto lettori di oggi, ai quali rilanciare i tanti spunti proposti da Levi a partire dalla testimonianza, senza tuttavia tralasciare l’attenzione alla scienza (Il Sistema periodico), l’etica del lavoro (La chiave a stella), i racconti naturali e fantastici, i calembour linguistici.

Primo Levi prismatico

Un Primo Levi autenticamente “prismatico”, come lo ha raccontato Marco Belpoliti all’Università di Torino, inaugurando il ciclo di iniziative per il centenario. C’è stato poi tanto teatro, con Se questo è un uomo portato sul palcoscenico del teatro Carignano da Valter Malosti, e con i racconti de Il Sistema periodico riadattati per la scena. «Me, mi conoscete», questo il titolo del format che ha declinato testi e parole di Levi in chiave recitata, dando ancora una volta forza alla parola come veicolo di temi, riflessioni, sguardi sempre analitici sulla realtà.

Acquistare profondità col tempo

La forza dei messaggi di Primo Levi non viene meno con il tempo, anzi, acquista valore, profondità, passa di generazione in generazione, testimone della storia e stimolo per nuove ricerche. Questa è l’intenzione del Comitato per il Centenario: mantenere saldo il dialogo, promuovere incontri, discussioni. Proprio al dialogo, non a caso, sarà dedicata la Decima Lezione Primo Levi, l’annuale pubblicazione promossa dal Centro Primo Levi di Torino, a cura in questo 2019 di Fabio Levi, direttore del Centro. L’intero ciclo di lezioni via via promosse negli anni e dedicate a temi di riflessioni diversi sarà poi raccolto in un Oscar Mondadori che uscirà il prossimo ottobre e che sarà presentato a Torino in un incontro che radunerà tutti gli autori delle Lezioni Primo Levi, chiamati nel corso degli anni ad affrontare temi e visioni dell’autore rilanciandoli al pubblico.

L’attualità e i diversi pubblici

«Il pubblico a cui potevamo rivolgerci non aveva limiti e includeva le persone più diverse: studenti, curiosi, persone che avevano conosciuto Levi e ne amavano l’opera, italiani, ma non solo – spiega Fabio Levi raccontando le motivazioni alla base della creazione del Centro  – l’unico limite era costituito da chi non voleva sentire. Disgraziatamente viviamo in un’epoca in cui queste persone non sono poche, ma non è una sorpresa, anzi è una vecchia storia». La costante messa in dubbio, l’interrogazione incessante sulla realtà, i suoi conflitti, i suoi attriti, questo caratterizza lo sguardo di Primo Levi e lo rende, oggi e sempre, uno degli intellettuali più attuali del Novecento italiano.

L’oggi e le scuole

Da qui l’importanza di traghettare le sue parole nell’oggi, compito che il Centro Primo Levi si è dato. Come spiega ancora Fabio Levi: «mi sono reso conto che la nostra mediazione non era neutra, il Centro aveva come funzione quella di creare modi e luoghi dove la parola di Levi potesse parlare direttamente ai lettori. Che i suoi testi potessero raggiungere il pubblico ed essere accolti positivamente da ascoltatori diversi era incontestabile, bisognava però adeguare le parole di volta in volta. Il ruolo del Centro è quello di favorire il dialogo dell’autore con i suoi diversi pubblici, mi è sembrato importante ragionare su questo dialogo a più voci, a cui ogni volta aggiungere intermediari».

Da qui, i numerosi lavori con le scuole, i dialoghi intrapresi dallo stesso Primo Levi, testimone diretto e dunque personaggio chiave nel rapporto tra i più giovani e la storia, oggi spesso minacciato. «Parlava di quell’impegno come del suo terzo lavoro – spiega Fabio Levi – ma ragionando su quelle esperienze mi sono reso conto che il problema della testimonianza e del rapporto con l’interlocutore non riguardava esclusivamente il rapporto con la scuola, era una dimensione sempre presente».

Lo sterminio e le declinazioni dell’animo umano

Cosa rappresentano infatti i libri di Primo Levi se non un dialogo sempre aperto, uno sforzo di bussare ogni volta a un interlocutore differente? È il filo rosso che lega ogni opera: spingere al dialogo, aiutando innanzitutto a parlare con se stessi. «Primo Levi è riuscito a raggiungere questo scopo sia nella relazione diretta con i suoi interlocutori, sia attraverso ciò che ha scritto – prosegue il direttore del Centro – è un dialogo che punta a mettere in moto nei suoi interlocutori un processo positivo, che aiuti a riflettere sui tanti aspetti a cui l’esperienza dello sterminio rinvia. E non solo lo sterminio, ma le diverse declinazioni dell’animo umano, il vero oggetto del suo racconto».

«I valori che Primo Levi ha vissuto e trasmesso, specialmente la necessità di non dimenticare ciò che è avvenuto negli anni della Seconda Guerra Mondiale come tragica conseguenza del disprezzo dei diritti di ogni persona, costituiscono la base fondamentale per una società pacificata e una rispettosa convivenza sociale – concludeva nella sua lettera Sergio Mattarella, sottolineando il valore universale della letteratura e la sua richiesta viva di dialogo con l’interlocutore di oggi – Consapevole del significato storico e antropologico della tragica esperienza dei campi di concentramento, Primo Levi nella sua intensa attività di testimonianza umana e culturale, ha proposto alla coscienza comune ideali di comprensione e di tolleranza fra gli uomini e i popoli».

Esperienza personale e nocciolo universale

Non poteva dunque mancare, nelle parole di Fabio Levi al Salone del libro di Torino, un riferimento alla polemica che ne ha scosso l’inaugurazione, malumori poi sommersi dalla testimonianza viva e vibrante del campo di concentramento portata da Halina Birenbaum tra i padiglioni del Lingotto. «Credo che il dialogo più produttivo e interessante sia quello con chi è diverso e saremmo portati a disprezzare con atteggiamento negativo – ha detto il direttore – ma a quale livello può situarsi questo dialogo? Un mero scambio di accuse? Buttarsi addosso stereotipi? No, deve avvenire a livello della ragione, accendere una discussione: solo così si può confrontare la propria idea con quella altrui. Se ciò è possibile alla fine del dialogo si sarà prodotta una forma di cambiamento nel proprio punto di vista e in quello altrui».

Da uomo a uomo: parlare, dialogare, cercare risposte, un processo e uno sforzo motivato in Levi dalla possibilità di liberarsi di una zavorra così pensate come quella del lager, ma anche da una ragione profondamente morale e civile. Era infatti necessario che tutti sapessero quanto l’uomo può trasformarsi in vittima e carnefice perdendo, specularmente ma allo stesso modo, gradi di umanità, ed entrando in un circuito potenzialmente letale di odio e violenza. La capacità di Levi è proprio quella di distaccarsi dall’esperienza personale e raggiungere un nocciolo universale, quello da cui prende forma e pulsa, ancora oggi, il suo pensiero. «Nel mondo di oggi c’è bisogno di Primo Levi e della sua opera – conclude Fabio Levi – il compito del Centro è una sorta di servizio pubblico, mi piacerebbe venisse riconosciuto da chi ha a cuore questo tipo di interessi».

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