Cocco, quell’umanità che ci somiglia e non capiamo

Un uomo che non si rassegna alla scomparsa della figlia, un romanzo che confonde e irretisce il lettore, lo frastorna. C’è questo (e altro) in “Tu che eri ogni ragazza” di Emanuela Cocco: i viaggi introspettivi hanno il sopravvento, come la ricerca del senso sul senso stesso

Libro complesso e complicato. Amarostico. Tu che eri ogni ragazza (160 pagine, 14 euro) di Emanuela Cocco, pubblicato da Wojtek Edizioni, lascia leggermente storditi. Un po’ disillusi, di certo frastornati. Cosa si può dire di quest’opera che puzza di vomito, piscio e umori corporali? Sembra di stare nel bel mezzo dei liquami sub-umani della stazione Termini di Roma, dove gli invisibili si muovono come zombie, illuminati dai neon delle vetrine e dai fari degli sbirri.

Trama scarna, pochi dialoghi

Un uomo che non si rassegna alla scomparsa della propria figlia, trasformatosi d’improvviso in un novello Gesù alla ricerca di un’anima da salvare. Una ragazza, Jungla, apatica e alienata, disadattata e taciturna. Duca, un’assistente sociale, sfigata e volenterosa. È tutto qui l’intreccio narrativo, in questo incontrarsi e scontrarsi di persone fragili, spaventate, “autistiche”. Tra le pagine di questo libricino c’è una quasi totale assenza di dialoghi, a suggerire quell’atmosfera arida, scarnificata che si ritrova in molti passaggi, dove i viaggi introspettivi hanno il sopravvento, dove l’intimo prevale sull’esteriore, la ricerca del senso sul senso stesso.

Roma incubo più che presagio

La lettura del romanzo di Cocco non è sempre facile, la comprensione a tratti vacilla, Roma – la città in cui la storia è ambientata – compare più come incubo che come presagio. Poi ci sono i giochi orrendi e virtuali di due pazzi, due schizzati che incitano il loro pubblico a votare le situazioni più pietose. Insomma: un gran casino. Non se ne esce granchè bene da questo libro che confonde e irretisce, stomaca e a volte annoia. Ma poi riparte, si riprende, si rimette in moto, parlandoci di quell’umanità che non sempre comprendiamo, che talvolta evitiamo, che troppo spesso ci assomiglia

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