Luce e buio, la famiglia immortale di Bazzi

“La luce è là”, esordio della palermitana Agata Bazzi, è la storia romanzata della famiglia Ahrens, che dalla fine dell’Ottocento alle leggi razziali del fascismo prosperò a Palermo. Una dinastia al femminile in una Sicilia cosmopolita e industriale, una macchina narrativa che funziona, un libro di grande partecipazione emotiva, visto che l’autrice è discendente degli Ahrens

Chi arriva in fondo al libro farà i conti con un groppo in gola, dopo aver fatto la conoscenza di una dinastia ebraico-tedesca che ha messo radici in Sicilia, e a Palermo in particolare, prima di una diaspora che ha disperso pezzi della famiglia in più di un continente. Un racconto sincero e autentico, che si nutre di sentimenti e di una accurata, scupolosa, documentazione storica oltre che di ricerche condotte tra familiari e conoscenti, con l’apporto decisivo della sorella e di una cugina dell’autrice. Un romanzo, che in quanto tale ha una quota d’immaginazione, non esaurito all’interno di una splendida magione (villa Ahrens, dove tutto è tedesco, a cominciare dalla lingua parlata) ma immerso in luoghi e tempi prima entusiasmanti, su tutti la Palermo d’inizio Novecento, e poi pericolosi. La luce è la (365 pagine, 19 euro), debutto per Mondadori di Agata Bazzi, di professione architetto, è una scoperta che merita di essere fatta da tanti lettori.

Coinvolgimento e nostalgia

Negli ultimi tempi La luce è là è stata accostato a uno dei successi di stagione, I leoni di Sicilia di Stefania Auci, altra saga siciliana sull’ascesa e la caduta di una famiglia di imprenditori, i Florio, ma nel caso del romanzo di Agata Bazzi ci sono motivazioni e tensioni diverse, una partecipazione emotiva personale e totale, coinvolgimento mescolato a nostalgia, ragioni di natura autobiografica, visto che i principali protagonisti del romanzo sono avi della stessa Agata Bazzi, che ne svela i volti attraverso suggestive foto d’epoca sulla sua pagina Instagram.

Donne emancipate e intelligenti

Un vecchio diario scritto in tedesco e in yiddish di Albert Ahrens, capostipite della famiglia, è il canovaccio originale su cui Agata Bazzi ha lavorato a lungo, per trasformare una semplice memoria familiare in una macchina narrativa che funziona a meraviglia, probabilmente anche grazie all’incontro con un paio di editor espertissimi, come Giovanna Salvia e Alberto Rollo, che l’ha poi condotta a Segrate. Giovane imprenditore tedesco con fiuto notevole, Ahrens punta a sud, a Palermo, dove gli uomini non si misurano col metro come le stoffe (e lui è tutt’altro che alto…). Quasi un novello Goethe, spinto però da ragioni economiche più che da aspirazioni di Grand Tour, dall’intuizione che la vitalità di quella città può rappresentare una svolta nella sua vita e, spera, per la sua discendenza: già quella diretta è notevole, la moglie Johanna Benjamin – regina di solidarietà e colonna della famiglia, capace di teneerla unità nelle avversità, pari almeno alle tante gioie – mette al mondo otto figli, sei femmine e due maschi. Una di loro, per gran parte del romanzo, è la voce narrante: Marta, quasi sorda e impegnata in prima linea nella ditta di famiglia, donna sensibile e profonda, acuta. Le donne, emancipate e intelligenti, sono di gran lunga preponderanti a casa Ahrens – c’è di mezzo anche la morte prematura dei figli maschi di Albert e Johanna, Robert perisce in un’incidente, Erwin si suicida – le vicissitudini della vita quasi le obbligano a prendere il mano il loro destino e di conseguenza quello dell’intera famiglia, specie quando inizia il declino, vissuto con dignità e speranza.

Palermo da grembo a trappola

Il grembo che accoglie questa storia è Palermo, dalla Belle Époque al fascismo e alle leggi razziali, che significano il capolinea per l’espansione, non solo economica, degli Ahrens nel tessuto cittadino. Una città molto diversa da quella attuale, pur sempre alle prese con benessere e sontuosità da una parte, fame e indigenza dall’altra, ma che ribolliva di attività imprenditoriali e industriali; capace di produrre e attrarre, attraverso attività, innovative e d’eccellenza, e un fermento di idee ancor più che per le indiscutibili bellezze artistiche e monumentali. Una stagione tutto sommato breve, effimera, che non resse all’onda d’urto della seconda guerra mondiale – prima della quale il grembo diventa trappola – e a tutto quello che venne dopo: seme di questa Sicilia attuale che, a leggere quasi tutte le statistiche, arranca quasi in ogni settore.

L’identità ebraica e il sogno incrinato

Quello di Agata Bazzi è un romanzo che spicca per lo sguardo cosmopolità, la mentalità aperta, il senso di consapevolezza di Albert Arhens, dei suoi eredi e dei suoi discendenti. Caratteristiche che trovavano terreno fertile in una città dall’orizzonte europeo che accoglieva gli stranieri, mettendoli nelle migliori condizioni per affermarsi. Dai tessuti ai mobili, fino ai successi vitivinicoli Albert Ahrens (che per amore della moglie perde qualcosa per permettere al cognato di avviare una sua attività a Palermo) sembra non conoscere sconfitte, tutte le sue intuizioni vanno in porto. Moderno manager e più che integrato, il patriarca, pur mantenendo una nordica sobrietà e un substrato culturale teutonico, e imponendo una rigorosa e austera educazione alla prole. L’identità ebraica (più che la religione pressoché non praticata) incrinerà il sogno, condannerà lui e il suo nucleo familiare a perdere tutto. La storia col suo carico di nefandezze bussa alla loro porta. E poco importano i risultati conquistati, la ricchezza, i posti di lavoro creati, il bene avuto e restituito…

Caratterizzazione psicologica e peccati veniali

Agata Bazzi mostra spigliatezza narrativa, spicca per una sottile e caratterizzazione psicologica dei personaggi, trova una formula efficace affidando gran parte della narrazione al punto di vista di Marta. Dal romanzo che ha scritto si deduce che l’autrice è una lettrice fortissima e da certe letture è stata sorretta in fase di stesura, portata avanti a più riprese. L’andamento semplice, che si nutre solo di qualche flashback, è un punto di forza, mentre sul piano dello stile puro, la scrittura mostra talvolta qualche affanno o il tono da testo di storia, quando c’è da contestualizzare certi piccoli e grandi eventi dell’epoca. Peccati complessivamente veniali, fisiologici per quella che è pur sempre una debuttante, anche se ha fatto il suo debutto dalla porta principale, quella della casa editrice italiana più famosa.

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