Tomasi pescecane gaudente, omofobo e fascista (fino al 1938)

L’epistolario inedito di Tomasi con l’amico Massimo Erede mostra il futuro autore de “Il Gattopardo” lontano da certa mesta iconografia degli ultimi anni: è un viaggiatore che si concede varie distrazioni («Ottima cucina e qualche donnetta»), un giovane ammiratore del fascismo, a caccia di compensi per i suoi articoli

Segni particolari: inedito, sfizioso e a tiratura limitata. C’è un prezioso libretto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che raccoglie lettere mai pubblicate in Italia. È curato dal figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi, è edito da De Piante, raffinato editore milanese, in 200 copie numerate più 10 d’artista, rilegate a mano, e s’intitola Ah! Mussolini! Lettere a Massimo Erede (1925-1927) (32 pagine, 30 euro). Un volume in linea con la filosofia De Piante, di certo fuori dalle logiche correnti: pochi libri per pochi, testi dispersi o dimenticati di autori riconosciuti, quasi tutti non viventi e perlopiù italiani. Dopo Sciascia e Morselli, Soldati e Vassalli, Montale e Fruttero&Lucentini, tocca a Tomasi di Lampedusa. Ben diverso dall’iconografia malinconica della terza età, dalle mestizie del successo postumo, ma giovane e gaudente, con idee e comportamenti da contestualizzare nel proprio tempo, quasi un secolo fa, ma tutt’altro che raccomandabili

Il viaggiatore e le lettere

Ben prima di diventare celebre come autore de Il Gattopardo – lo fu solo dopo la morte – il nobile palermitano conduceva un’agiata vita di viaggiatore e studioso di letteratura («Superbamente alloggiato, squisitamente nutrito, perennemente trasportato in automobile. Fo la vera vita del pescecane»), in cui la scrittura epistolare era una consuetudine. Uno dei destinatari delle missive era il genovese Massimo Erede, che lo aveva aiutato a pubblicare alcuni saggi su un bimestrale letterario.

Politicamente scorretto

Lettere e cartoline non sono quel che oggi verrebbe ascritto al politicamente corretto. Il trentenne principe, congedatosi dall’esercito, scrive dall’estero, ma anche dalla natia Palermo. Bolla l’omosessualità come «sintomo di bolscevismo». E aggiunge: «Dopo accurate osservazioni compiute a Londra, Bruxelles, Anversa e qui sono in grado di annunziarti gli immensi progressi della pederastia. Se continua di questo passo fra cento anni un uomo che avrà commercio carnale con una donna sarà un pezzo da museo». Nel 1927 si definisce il «più convinto e ferreo dei vecchi scapoli», ma cinque anni dopo capitolerà, sposando la psicanalista lettone Licy. Talvolta è alle prese con la «deflazione monetaria privata», per via di «distrazioni» («assaporando dell’ottima cucina e qualche donnetta») che ne hanno «rattristato la borsa», scrive di cravatte inglesi, zanzare di Mantova, e soprattutto degli articoli per la rivista, sognando un compenso («… mi darebbe grande soddisfazione guadagnare seppure dieci lire all’anno per conto mio»).

Fascista pentito

Capitolo non trascurabile è quello relativo al fascismo. Tomasi non era un progressista e negli anni Venti era infatuato del partito di Mussolini. L’invocazione scelta come titolo di questo volumetto è riferita a una Parigi «in istato di bolscevismo latente. Sembra l’Italia del ’19. Stamane un corteo comunista è sfilato nel quartiere delle banche, mentre esigevo un modesto “cheque” con grida di abbasso, minaccie e pietre. E nessuno reagiva. Ah! Mussolini!». A partire dal 1938, però, le cose cambieranno, come ricorda nella postfazione Lanza Tomasi. Il futuro autore di un bestseller planetario si redimerà, prendendo le distanze da fascismo e antisemitismo. A parole e con i fatti. Con allusioni profetiche a «baracconate di gale e pennacchi», e a parate di «formiche incolonnate», tra le pagine del suo romanzo. E aiutando una coppia di ebrei tedeschi rifugiati a Palermo e poi riparati a Barcellona dopo le leggi razziali.

È possibile acquistare questo volume in libreria o a questo link

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