Romana Petri torna a Lisbona. Nei meandri di una famiglia complessa

“Pranzi di famiglia” di Romana Petri riannoda i fili del precedente “Ovunque io sia”: la memoria di Maria do Ceu, morta, fa da filo conduttore al racconto di cui sono protagonisti i figli e il marito che si è risposato

Dopo una breve parentesi, Romana Petri torna nel luogo del delitto, per occuparsi di famiglia, staccandosi, però, decisamente dall’ambiente domestico del suo Le serenate del ciclone, con il quale vinse, nel 2016, il Premio letterario internazionale Mondello. Il luogo del delitto, dicevo, perché Pranzi di famiglia (414 pagine, 18 euro), pubblicato da Neri Pozza, è ambientato ancora una volta a Lisbona, con la figura di Maria do Ceu – una delle tre fulgide protagoniste del suo Ovunque io sia, uscito nel 2008 per i tipi di Cavallo di ferro e, poi, nel 2012 con Beat – o, per essere più esatti, con la sua memoria, a fare da filo conduttore in tutta la storia.

Maria do Ceu è morta, ma…

Maria do Ceu è, dunque, morta, lasciando tre figli, ormai adulti, sui quali incombe, ferale, la decisione non sindacabile di Tiago, padre neo potente e neo ricco che da tempo ha una nuova moglie (con suocera annessa), di dedicare «quando il lavoro gliel’avesse permesso […] la domenica, ogni domenica della sua vita, al pranzo con i suoi tre figli».

Dietro questo proposito, portato avanti a denti stretti e mal digerito da tutti, c’è il tentativo ormai scolorito di mantenere almeno uno straccio di contatto con i figli e di rendere, a modo suo, omaggio alla prima moglie; l’unica, a quanto pare, in grado di capire in tempo utile quanto importante fosse l’unità della famiglia ed a soffrire, sempre in solido con un silenzio interminabile, per le sorti della sua.

Bergman dilettante dell’incomunicabilità

Peccato che nel frattempo tutto sia cambiato: una ricchezza nuova e puntualmente ostentata ha reso Tiago e relativa signora «di una volgarità imbarazzante», retta da una «euforia che non li aveva più abbandonati» e che li mantiene ben lontani dalla quotidianità e dagli inciampi della gente comune; né si può dire che le cose vadano meglio nell’altra parte del campo di un match interminabile e quasi sempre all’ultimo sangue.

È qui, infatti, che rammarichi vecchi e nuovi, antipatie a stento represse e rancori ormai consolidati riescono, ogni santa domenica, a mettere attorno ad un tavolo tre figli che a stento si parlano e che non di rado si affrontano apertamente, non risparmiando, ovviamente, nemmeno il padre. Proprio un bel vedere, rispetto al quale «Bergman (il regista) è un dilettante dell’incomunicabilità».

Ricordi sfaldati di un passato da ricostruire

Eppure, tra dialoghi mancati e puntuali ripicche, è proprio tra un forzato convivio e l’altro che i tre fratelli si accorgono, non senza sorpresa, di avere, della loro vita, solo un insieme mal disposto di ricordi sfaldati e mai compresi del tutto; un passato poco chiaro, dal quale Marta, la nuova moglie di Tiago, sembra «votata ad allontanarlo» e che, invece, Rita – la figlia deforme alla quale Maria do Ceu dedicò tutta la propria esistenza – si prende carico di esplorare, riuscendo a rimettere insieme i cocci della storia di «una famiglia avvolta nella nebbia». Così, il ricordo della madre, oltre a lenire (o forse, amplificare?) gli effetti di una cruda, talvolta insopportabile, attualità, sarà in grado di aiutare i tre a «sciogliere tutto il loro incomprensibile passato».

I quadri e la chiave di lettura

In Pranzi di famiglia Romana Petri si addentra nei meandri bui ed apparentemente senza uscita di una famiglia davvero complicata, fornendo, anche con questo suo ultimo lavoro, una lettura attenta e profonda dei sentimenti. Lo fa, bene, perché, se da un lato, con la sua analisi scrupolosa non fa sconti a nessuno, dall’altro non sembra avere alcuna intenzione di fornire, in modo evidente, la vera chiave di lettura di tutta la vicenda. Con la sua scrittura elegante e meditata, ma al tempo stesso puntuale ed efficace, sembra, infatti, che l’autrice si diverta proprio a lasciare questo importante compito al lettore, magari aiutato (pensa un po’) da un’eccentrica, visionaria, pittrice italiana, i cui quadri rappresentano «una visione grottesca della solitudine e del silenzio, un’interpretazione comica della tragedia». Eh sì, a pensarci bene…

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