Cinismo, candore, umanità: Ricci parla di tutti noi

“I difetti fondamentali”, una raccolta di quattordici racconti metaletterari ma mai autoreferenziali. Il mondo e la sua varia umanità guardate con una tenerezza di fondo da un toscano guascone, ma davvero bravo

Che uno scrittore che parla di scrittori in varie modalità e declinazioni riesca a farsi pubblicare e ancora di più ad avere successo significa che è bravo e Luca Ricci lo è, quindi gli si può perdonare anche la sfrontatezza e guasconeria da “toscanaccio”, anche se trapiantato a Roma, di sottotitolare il suo ultimo volume “l’arte del racconto al suo meglio”. Bravo anche perché a dispetto del tema per certi versi metaletterario di questi quattordici racconti – pubblicati da Rizzoli, I difetti fondamentali, 352 pagine, 20 euro) non è mai autoreferenziale. E’ un metaletterario non di maniera e che parla di noi tutti, lettori, scrittori e non, di tutti i nostri pregi e dei tanti difetti fondamentali, facendoceli comunque amare. Ci parla della vita, del mondo e della varia umanità che lo contiene, pescando anche nei suoi risvolti più torbidi: le invidie; le meschinità; il cinismo; ma mescolando questi elementi con il candore e la tenerezza di fondo dello sguardo che accompagna il tratteggio di tutti i personaggi, avvertendoci tuttavia come in quarta di copertina che “tra chi scrive e chi legge s’instaura un rapporto di potere, e tutti i rapporti di potere hanno una natura erotica”. Infatti già scorrendo l’indice e leggendo i sintetici titoli per tipi che Ricci ha adottato (il rifiutato, l’adultero, lo scomparso ecc…) possono venire in mente le varie figure di donne o uomini nell’atto dell’orgasmo e la loro classificazione in base alla tipologia di urli di piacere ivi emessi: ci può essere la/il religiosa/o con i suoi “Oh mio Dio”, il/la lupo/a con i suoi uuuuhhh”, la/il terrorizzata/o con gli “aaaaahhhh”, la/il matematica/o con gli incessanti “di piùù, di piùùù, l’affermativa/o con i reiterati “sì, sì sì”.

La pulsione sessuale

Associazione forse impropria ma forse nemmeno troppo, visto del resto il sostrato da basso continuo della pulsione sessuale presente in molti o quasi totalità dei racconti, in alcuni casi in modo esplicito (Il rothiano, l’eccitato, l’adultero) in altri in modo più sfumato e indiretto (Il velleitario, il rifiutato).

E allora vediamoli un po’ questi “urli” di piacere che divertono e fanno riflettere, un po’ come in Cechov che lamentava delle sue opere teatrali che queste da lui scritte come commedie venissero lette come drammi, un po’ come il cinema di Moretti per restare più vicini a noi.

Omaggi a Roth e Bianciardi

Si parte dal “rothiano” che già dal titolo è una dichiarazione di intenti per chi conosce il grande scrittore americano, e che ha fatto, quantomeno nell’immaginario collettivo della sua ossessione sessuologica, narrativa s’immagina, uno dei suoi cavalli di battaglia. Nella fattispecie il rothiano assume le forme di un professore universitario destinato allo smacco per effetto dell’irresistibile ascesa di uno studente di lettere apparentemente senza arte né parte. Forse non è un caso che questo racconto sia stato messo all’inizio della raccolta, se è vero quanto espresso in quarta di copertina dall’autore e un po’ “rothiani”, un po’ tutti i racconti in effetti lo siano.

Nel “rifiutato” il limbo dell’attesa di un aspirante scrittore e il suo crogiolarsi in questa, come in un aldilà del principio di piacere, dove il desiderio di… è già la soddisfazione del desiderio, mentre nella dinamica del racconto infine i ruoli si ribaltano come nella più classica sindrome di Stoccolma e l’editore perseguitato diviene il carnefice che non molla il suo originario aguzzino, salvo fare un’amara scoperta.

Nell’”adultero” una storia anche banale di tradimento, che è anche un omaggio a Luciano Bianciardi, tutti gli espedienti per parlare di scrittori, scriventi, industria editoriale, annessi e connessi sono buoni.

La commossa nostalgia nell’“affittacamere” dove quella che era la casa dell’infanzia è trasformata in un buco per turisti di passaggio nel quale riaffiorano i ricordi del protagonista con il sottofondo degli odori rancidi di un tempo lontano e le “tante cianfrusaglie amorose che dicevano una cosa sola: gli amori finiti hanno funerali umili e vengono sepolti tutti nella fossa comune dei ricordi, la casa”, che è in questo caso anche il luogo dove si consuma la disillusione “adulta” di un aspirante scrittore.

Lo scomparso una sorta di fu Mattia Pascal in salsa letteraria.

La lente sul mondo dell’editoria

“L’invidioso” che ricorda per certi versi un racconto di Buzzati, “il segreto dello scrittore” dove uno scrittore di fama desta invidie e gelosie e lui per non perdere gli amici decide di mettersi a scrivere delle orribili castronerie. Quello di Ricci mostra anche le dinamiche del funzionamento del mondo dell’editoria, quello che a occhi ingenui potrebbe apparire come un vero e proprio sputtanamento del mondo dell’editoria, degli scrittori, insomma di tutto quello che gira intorno a quel mondo di carta e può sorprendere quindi che qualcuno abbia deciso di pubblicare, ma appunto non c’è solo autoreferenzialità, denuncia, parodia o chissà che cosa e Ricci sa scrivere bene e riesce a saltar fuori da quel mondo di carta per irrompere nel mondo reale, anche se a tratti sembra proprio un perentorio j’ accuse al mondo letterario tout court in tutte le sue varie sfaccettature e sebbene possa sembrare anche un vademecum di scoraggiamento e dissuasione per aspiranti scrittori facendoci dire a tutti: “Perché scrivere quando puoi leggerti Borges?” O forse è la stessa catarsi di uno scrittore ormai affermato che con questa opera ha voluto liberarsi delle sue ossessioni sulla fatica del mestiere di scrivere e di emergere nel fantomatico mondo letterario e per esteso la fatica di riuscire ad esprimersi, di aprirsi al mondo per dirla con Kafka “per scalfire gli oceani di ghiaccio dentro di noi”, dicendo qualcosa che non sia il solito bla bla di tanta narrativa stantia, a meno che questa, la letteratura, non debba essere un mero esercizio di stile.

“L’eccitato”, forse o solo secondo me il più puro, il più commosso appello all’amore (il difetto fondamentale) seppure celato dentro un racconto rothiano, più del racconto omonimo stesso che apre la raccolta. Un racconto che mi sento di definire iper-realista, in quanto va a scavare le bizzarrie e le turpitudini del reale, o per rimanere più vicini a noi un racconto che assomiglia stilisticamente a uno di quei racconti di più sardonici e sferzanti di un altro bravissimo autore italiano di racconti che è Paolo Zardi. Bellissima la figura della “ragazza vestita” in una spiaggia e villaggio vacanze per nudisti che assume il ruolo della chimera.

Citazioni, premi e libri

“Lo stregato” che insieme al “solitario” è quello ho più amato e anche il più in linea con tutto il volume. Diverte e fa riflettere e lo trovo più in sintonia rispetto a i motivi che mi ha fatto avvicinare a questo bravissimo scrittore, avendo iniziato a conoscerlo e apprezzarlo per il lato surreale delle sue narrazioni come appare in modo dirompente nei “Fantasmi dall’aldiquà”. Guarda caso in questo racconto cita un maestro del genere, quel Buzzati che evidentemente Ricci ha letto e assorbito, “quell’imbecille (si fa per dire) che tornò dal passato per una rimpatriata.” Esemplificativo il bellissimo personaggio di questo racconto di Ricci, che ha come ambientazione la serata della premiazione del premio Strega al Ninfeo, fra starlette e pacchianerie varie, quel Corrado, lo stralunato, il “matto” del villaggio che dice che è sempre tutto un sogno e un’allucinazione, la letteratura stessa?

“Il suggestionabile” dove già la citazione iniziale di Cioran dice tutto: “Il reale mi dà l’asma” che un po’ la dichiarazione d’intenti e la confessione di uno scrittore/lettore, racconto dagli echi kafkiani della metamorfosi e che chissà perché mi fa venire in mente la canzone di in artista purtroppo dimenticata, Gerardina Trovato quando canta “Sognare”: “Sarà meglio sognare, sognare di topi che mangiano i gatti o di pettirossi che mangiano i falchi e poi…”

“Il manierista” anche solo per i nomi indimenticabili dei personaggi: il Vermut; Flaiano (proprio lui); il giaguaro.

Situazioni grottesche e estremizzate come nelle vicissitudini di uno scrittore all’ opera che cerca di isolarsi da tutto e tutti nel suo appartamento come nel “Solitario”, forse il più inquietante, il più teatrale, il più tragicomico e anche il più profondo perché per tutti, scrittori e non, è vero che ci sono sempre “troppi uccellini sul filo” tutti quei pensieri , quel sottofondo continuo che leopardianamente ci fa chiedere: “perché giacendo a bell’agio ozioso s’appaga ogni animale, me s’io giaccio in riposo il tedio assale?” Un piccolo capolavoro questo racconto di Ricci, dalla drammatizzazione rigorosamente perfetta, già una sceneggiatura, un “Dio del massacro” di Yasmina Reza in scala ridotta a due, (moglie e marito), una “Venere in Pelliccia” da Leopold Von Sacher-Masoch, ambedue le opere letterarie rielaborate e filtrate cinematograficamente da uno che di turpitudini e giochi al massacro se ne intende, il “cattivo” Roman Polanski. Allo stesso modo, pur affrontando tematiche diverse, il lavoro e le paranoie solipsistiche di uno scrittore, questo racconto sviluppa dinamiche che ce lo rendono allo stesso modo a tratti urticante, salvo avvertirci nel bellissimo finale che uno scrittore non deve guardare sempre giù in strada, ma nemmeno solo dentro di sé, ma deve buttare un occhio sul pianerottolo che è una chiosa perfetta e già una dichiarazione di fede, un credo estetico. Stesse dinamiche e tematiche per certi versi affrontate in “Canonizzata” che affronta il rapporto di amore-odio fra letteratura e critica.

“Il velleitario”, una specie di educazione sentimentale di uno studente universitario, altro aspirante scrittore, un ingresso nella vita adulta che a dispetto di cambiamenti e eventi dirompenti è sempre procrastinata, con pertanto le reiterate fantasticherie, fra le quali quella di essere il vincitore del premio Nobel assolutamente esilarante.

Infine come non guardare con tenerezza a Gerardo Angeli, il protagonista del racconto “Il folle” che chiude il volume, la storia di uno scrittore afflitto da un raptus compulsivo che lo porta a regalare libri a chiunque, con forse la più amara delle constatazioni: i libri non vengono letti neanche se li regali. Mi piace immaginare che non sia così, soprattutto per libri belli come quello di Ricci, soprattutto libri di racconti, perché dicono che i racconti soprattutto non si leggano e quindi non si pubblicano o viceversa, anche perché per dirla insieme all’autore “gli studenti di economia non capiscono un cazzo”.

Luca Ricci 2

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *