Gli adolescenti di Sabatino e la catastrofe imminente

È un romanzo che può far male all’anima, il primo di Mirko Sabatino, “L’estate muore giovane”: protagonisti tre adolescenti, legati da un’amicizia fortissima, che – tra male, rabbia e vendetta – perdono presto l’innocenza

L’estate muore giovane (303 pagine, 16 euro) dell’esordiente Mirko Sabatino, pubblicato dalla casa editrice Nottetempo, è un libro che colpisce, ancor prima che per il titolo, per la copertina. La scogliera, i ragazzini dodicenni in costume che si affacciano sul mare, il tuffo all’indietro di uno di loro che dimostra tutto il suo coraggio: un’immagine che rievoca la potenza e la forza del romanzo, l’attrazione verso quel mare, profondo, abissale, infinito che rappresenta l’ignoto.

1963, un paesino nel Gargano

L’adolescenza di Primo, Mimmo e Damiano trascorre in un paesino sul Gargano. È l’estate del 1963 e “quell’anno i Beatles varcarono la soglia degli Abbey Road Studios e tredici ore dopo consegnarono al mondo il loro primo LP, papa Giovanni XXIII morì dopo quasi cinque anni di pontificato e tre giorni di agonia, Martin Luther King annunciò all’America che aveva un sogno, John Fitzgerald Kennedy perse la carica di presidente e la vita a bordo di una limousine, una frana sollevò un’inondazione che cancellò dall’Italia Longarone e i suoi abitanti”. Mentre il resto del mondo viene stravolto da tali avvenimenti, l’unica cosa che ha importanza per i tre ragazzini è la vita che scorre tra i vicoli del paesino pugliese, la loro vera casa, e la piazza.

Forse gli avvenimenti che scandirono il 1963 non ci bastarono, o non ci sembrarono abbastanza reali. Forse è per quello che decidemmo di dare il nostro piccolo, silenzioso contributo alla storia. Quell’anno c’eravamo io, Mimmo e Damiano. C’eravamo soprattutto noi.

Tre amici, tre “orfani”

L’adolescenza raccontata da Sabatino è amara e feroce, destinata a “morire” prima del tempo. È l’“estate della vita”, gli anni della gioventù che vengono seppelliti, per sempre. I protagonisti del romanzo hanno “disgrazie” in comune: tutti e tre crescono senza la presenza di un padre. Primo, l’io narrante, lo perde a causa di una malattia: ciò che gli resta è solo una lettera scritta dal genitore prima di morire (“Sogna, Primo, fallo sempre. Ma pianta i tuoi sogni nella terra: cresceranno robusti e non voleranno via”), da cui non si separa mai. “Quella lettera era la mano di mio padre sulla spalla”, ovvero la sicurezza, il conforto, il porto sicuro in cui rifugiarsi durante la tempesta. Mimmo fa i conti con la pazzia del padre, che entra ed esce dal manicomio; Damiano con la possessività del suo, talmente accecato dalla gelosia da rendere impossibile la vita della bellissima moglie e non vedere il disperato bisogno di affetto del figlio. Sono adolescenti impigliati tra persone e avvenimenti che, senza alcuna possibilità di scelta, li costringono a crescere in fretta, ad affrontare i dolori che la vita presenta, a superare le paure. Tre ragazzini in bilico sul mondo, ma con la sconfinata voglia di diventare artefici del proprio destino, “di poter determinare, per quanto possibile, una porzione di futuro”.

Adolescenti senza spensieratezza

Il terzetto non conosce spensieratezza. Nell’estate del ’63, di colpo, si riscoprono adulti troppo presto. Primo, l’unico uomo rimasto in famiglia, si prende cura della madre e della sorella Viola, di poco più piccola, ma dovrà affrontare i sensi di colpa per non esserci riuscito, fino a mettere in atto, con gli amici, una terrificante vendetta che sconvolgerà le loro vita e spazzerà via l’adolescenza, come polvere sotto un tappeto. Rintanarsi nella stanza e inventare le storielle che hanno come protagonista il loro papà, ancora in vita nella fantasia dei figli, non basterà per tenere distanti i pericoli, le paure. Non servirà ad evitare il naufragio.
Damiano, che ricorda Paul Newman, è il temerario del gruppo : “C’era qualcosa nello sguardo di quel ragazzo, occhi dove la paura non indugiava mai”. A lui spetta il compito di difendere la bellissima madre, ex attrice, non solo dalla voluttà degli uomini del paese, ma dalla possessività e dalla gelosia di un padre-padrone. Coraggioso al punto di sognare e progettare quel tuffo dalla scogliera, un vero e proprio richiamo verso il mare, verso una dimensione ignota e indecifrabile in cui si sente straniero come una povera creatura smarrita: “Ogni volta era una vertigine nuova sbilanciare la testa in avanti e affacciarsi sul blu profondo del mare”. Ma Damiano è anche quel ragazzo gentile, fragile, insicuro quando si trova vicino a Viola, il suo amore segreto.
E, infine, Mimmo, succube di una madre che lo vuole sacerdote a ogni costo: a differenza dei suoi amici, il suo destino se lo porta addosso, “era qualcosa di già deciso”. La fede è il suo porto sicuro, dove ritrovare quella lucidità che sembra aver perso suo padre, periodicamente rinchiuso all’interno di un manicomio, sebbene, in realtà, sia l’unico a dire cose sensate al punto da affascinare i tre ragazzi con le sue parole, le sue massime e i suoi pensieri. Ben presto, a seguito di eventi che si scoprono pagina dopo pagina, la loro giovinezza, che avrebbero dovuto proteggere, “finì di schianto”.

Gli piaceva sedersi di schiena sul bordo della scogliera, perché da lì poteva sentire la voce del mare che chiamava da dietro, e quella voce somigliava alla voce di un antenato.

Un’amicizia sacra, fra disavventure e tragedie

Tra la tempesta di un’adolescenza che “muore giovane” e la continua ricerca di un porto sicuro in cui trovare riparo, l’unica ancora di salvezza da lanciare nel mare burrascoso dell’esistenza è, nel romanzo di Sabatino, l’amicizia che lega indissolubilmente Primo, Mimmo e Damiano, suggellata da un patto reso sacro con il sangue di ognuno spillato e versato nella boccetta di acqua santa che Mimmo porta sempre con sé, e bevuta. La sacralità di tale amicizia li porterà a condividere ogni disavventura, fino alle tragedie che sconvolgeranno la loro vita, un’amicizia che consente anche di “starsene seduti per un’ora sullo schienale di una panchina senza scambiare una sola parola”. Il silenzio è il loro modo di comunicare, condividere le debolezze e mostrare quelle ferite che non evolvono in cicatrici, ma restano aperte a vita.

“Facciamolo. Facciamo un patto. Una cosa seria […] Ci difenderemo a vicenda,” m’infervorai. “Quando qualcuno di noi verrà colpito, direttamente o indirettamente, ci vendicheremo tutti e tre insieme”.

Questo romanzo di Sabatino pone dinanzi al male, al peccato, alla rabbia, all’atrocità e, per questo, può fare male all’anima. Potente, forte, violento, è lento all’inizio, ma diventa convulso e frenetico alla fine, trascinando il lettore in un turbinio di emozioni e sensazioni che lasciano presagire l’imminente catastrofe. Ma, “in quel contesto di annullamento di qualsiasi convenzione sociale, di azzeramento della civiltà”, in cui si è condotti nelle ultime pagine del libro, c’è ancora spazio per un gesto di umanità : “certe volte ci penso, a come saremmo potuti essere”, dice l’io narrante. Il resto è da scoprire, da leggere, pagina dopo pagina.

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