Moro, il giro del mondo e la lingua perfetta

Un thriller che si nutre di riflessioni linguistico-filosofiche. Ecco cosa è “Il segreto di Pietramala”, primo romanzo del noto neurolinguista Andrea Moro. Una storia enigmatica e oscura, che sarebbe solo un saggio accademico senza la crescita del protagonista, Elia, e senza i pilastri emotivi di ogni storia, amore e amicizia

Elia Rameau è un giovane linguista, protagonista di una storia a metà tra un thriller e una riflessione filosofica tutta dedicata al potere della lingua. A scriverla è, per il suo primo esperimento in narrativa, il famoso neurolinguista Andrea Moro che con Il segreto di Pietramala (380 pagine, 18 euro), edito da La Nave di Teseo, dà vita attraverso un intreccio di misteri e linguistica a una trama affatto banale, sospesa a metà tra il surreale e l’accademico. Il focus del segreto, e del mistero che vi aleggia intorno, e che porterà lo strano protagonista a viaggiare intorno al mondo inseguendo i suoi studi e se stesso è proprio la lingua, potentissimo e affascinante meccanismo tutto umano. Moro è del resto assoluto esperto del tema: suoi, tra i tanti, i testi Le lingue impossibili e Breve storia del verbo essere. Non a caso, citazioni dai due studi si inseguono tra le pagine, nelle parole e nei ragionamenti dello stesso Elia.

Un protagonista bizzarro

Ed Elia, a ben vedere, è uno strano personaggio, non solo perché poco o nulla ricorda di un’infanzia passata senza genitori, spariti quando era piccolo senza spiegazione. Il ragazzo ha infatti una particolarità fisica che lo contraddistingue: 11 dita delle mani, una rarità, ma anche un mezzo attraverso il quale vedere il mondo in un’altra prospettiva, forse più ricca, forse, invece, di nicchia, riservata ai pochi che sappiano compiere certi sforzi di pensiero e ragionamento. Sono analisi in cui Elia si lascia coinvolgere, complice una mente particolarmente sensibile che lo porta a soffrire anche di escatofobia, la paura della fine, la paura che le cose – come la vita stessa – possano finire. Ecco perché tra le particolarità che ne fanno un individuo bizzarro c’è anche quella di sedersi alle tavole dei ristoranti e ordinare pasti al contrario, a partire dal caffè per arrivare, dopo dolce e secondo, al primo.
Da un mente così apparentemente contorta non stupisce di veder nascere la passione per la linguistica, scienza che studia i linguaggi umani nelle loro grammatiche e nelle relazioni formali che si articolano tra i loro segni. Un esperto di lingue e dei loro meccanismi, ma a causa del funzionamento miope del mondo accademico, inviato in un borgo sperduto per raccogliere la testimonianza di una lingua come tante altre, mai ascoltata e ricavata semplicemente da una mappa geografica.

Un borgo disabitato, senza testimonianze scritte

La storia scritta da Moro inizia a Genova, o meglio su un traghetto per la Corsica, perché è infatti a Pietramala, piccolo borgo dell’entroterra di Calenzana, che Elia viene inviato per registrare la particolare lingua che si parla in quel posto. In una sfortunata e un po’ folle missione sotto il temporale, Elia farà la scoperta che cambierà le sorti del suo futuro e accenderà la storia: Pietramala è completamente disabitata. Borgo costruito in epoca ottocentesca come esperimento linguistico, il paese, isolato e scolpito nella roccia, non presenta traccia umana, fatto che si lega a una stranissima assenza di ogni testimonianza scritta della lingua. Sconvolto dalla scoperta, Elia fa ritorno in paese dove conosce una ragazza, di cui si innamora. Sarà proprio da lei che ascolterà la strana lingua perduta di Pietramala, attivando così, scoperta dopo scoperta, un inseguimento fatto di misteri e alimentato dall’utopia della lingua perfetta, che naturalmente si scoprirà essere una lingua artificiale, e dunque impossibile.

Dalla Corsica a una New York teatrale

È un’ipotesi suggestiva, che da sempre anima la fantasia e la curiosità degli studiosi (e che, come ha ricordato Gianfranco Marrone, fu anche tra gli interessi di Umberto Eco) e che per questo è inseguita da un visionario e folle ricercatore sulle cui tracce Elia si imbatte in Corsica, e seguendo le quali attraverserà l’oceano fino a New York. Nella Grande Mela che si mette in contatto con il professore, entrando nella sua fastosa dimora, scoprendo la sua sterminata biblioteca e conoscendo una serie di personaggi che, in sintonia con l’atmosfera misteriosa del libro e con l’altrettanto oscura trama che va dipanandosi di capitolo in capitolo, restano tutti un po’ in ombra, sospesi in una strana aria che ne esalta la finzione, pur costruendone un solido profilo narrativo. Il lettore intuisce il doppio gioco del professore, tiene vivo il sospetto, ma è anche chiamato a indagare l’ambiguità del maggiordomo o ancora di più di Ireneo, il lift-boy del palazzo-appartamento del professore, bellissimo eppure cieco, e appassionato di lingue.
Non è l’unica bizzarria delle tante che accompagnano Elia e che a New York trovano fertile terreno. Avendo bisogno di cercare un tetto, il protagonista finisce infatti per accettare la convivenza in un teatro che funziona da casa per una coppia di coinquilini particolarissima, Ariel e Calibano, virginea e quasi eterea lei, nero e possente lui, personaggi della Tempesta Shakespeariana nel nome, e strani, stranissimi personaggi sul palco del teatro-romanzo in cui si trovano invischiati una volta conosciuto Elia, del quale diventano amici. Di cosa è finzione e cosa sogno, cosa delirio della vorticosa mente del protagonista e cosa vezzo scenico dei due coinquilini, non è dato sapere di più: è una New York che resta come sospesa, e che tra un traghetto, un teatro, un quartiere centrale e un grande palazzo pieno di segreti finisce per rintanarsi in una strana cisterna in cima a un grattacielo.

Complotti e segreti

Dove c’è un segreto, c’è anche, spesso, una biblioteca misteriosa e labirintica. Ed ecco che attraverso un cliché del romanzo thriller si entra ancora una volta nel linguaggio, nelle sue pieghe scritte. Piccoli e quasi invisibili scherzi con il lettore che implicano proprio il linguaggio accompagnano verso la lenta scoperta del mistero di Pietramala: una lingua artificiale, un esperimento fallito guidato da un folle complotto di linguisti convinti di aver trovato la soluzione perfetta per arricchirsi comandando l’uomo e il mondo. Al centro dell’esperimento di Pietramala, le cui tracce sono state cancellate e mai svelate prima dell’arrivo di Elia, c’è infatti l’affascinante domanda che riguarda la possibilità di inventare una lingua artificiale, che come tale possa essere appresa dalle persone e che proprio per questo, realizzandosi come meccanismo linguistico impeccabile e perfetto, conduca al distopico ideale di potere e comando sull’uomo.
Imporre una lingua “finta” e regolata porterebbe inevitabilmente anche a controllare l’uomo stesso, annientando ogni imperfezione, buco, irregolarità dei linguaggi naturali che ci rendono umani. Al centro della ricerca dei complottisti, la teoria del professore, quella che vedrebbe alla base della lingua perfetta l’equilibrio tra meccanismi di anomalia e analogia delle lingue.

La combinatoria e l’amicizia

Servirà la tenacia di Elia, la sua voglia di risolvere il mistero di Pietramala, mista a un’intelligenza viva e brillante, per arrivare in fondo all’enigma e scoprire cosa sia davvero accaduto in quel borgo isolato tra le montagne corse, arrivando così anche a decifrare quella lingua incomprensibile che sembra costruita ad hoc tra rebus e incastri numerici. La combinatoria è infatti alla base dei ragionamenti linguistici nei quali il protagonista si imbatte, e per chi saprà cogliere riferimenti e strizzate d’occhio accademiche, sarà forse intuitivo arrivare a sciogliere la misteriosa chiave insieme al protagonista.
Ma come ogni narrazione, anche in questa strana e oscura storia di linguaggi e meccanismi linguistici, scritta da Moro, non poteva mancare un percorso di crescita e formazione che accompagna il protagonista, impantanato in una vita di cui non vede – proprio come fosse una lingua misteriosa – una chiave risolutiva né una destinazione. A sciogliere il grumo saranno necessari i pilastri emotivi di ogni storia: l’amore e l’amicizia. Il confronto con gli altri, nella loro diversità e nelle loro stranezze. Nel vagabondare di Elia resteranno fermi solo alcuni punti: la ragazza che ama, e gli amici che impara a riconoscere, e che staranno al suo fianco anche nei momenti impensati. Segno che senza gli affetti, anche la vita del migliore ricercatore al mondo non avrebbe una direzione, e senza una rete narrativa, anche questa storia di lingue e riflessioni linguistico-filosofiche, questo romanzo di Moro, resterebbe solamente un saggio accademico.

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