Siti, denaro evaporato, sopra-uomini e sotto-uomini

“Pagare o non pagare” è il pamphlet con cui Walter Siti riflette su uno sviluppo distorto e su un consumismo uscito dai cardini, sull’evoluzione del concetto del lavoro, su un futuro con reddito medio garantito che ha valenza di “salario di anestesia sociale”

Pagare o non pagare (135 pagine, 12 euro) di Walter Siti è il volume inaugurale di Gransasso |Trovare le Parole, neonata collana in casa Nottetempo.Esistono vocaboli che, per la loro simbolica natura, riescono ad investigare efficacemente certi caliginosi temi della contemporaneità. La Nottetempo ha chiesto ad alcuni autori di meditare su tali parole. Li ha invitati, in particolare, ad inoltrarsi nelle questioni cui esse danno accesso “rinunciando al velo della finzione e facendosi avanti senza maschere”.
Walter Siti, critico letterario, docente universitario, scrittore e saggista, si è lanciato nel cimento anatomizzando, attraverso la lente del verbo pagare, le necrosi dei corpi sociali e politici moderni; ne è scaturito un pamphlet che, a dispetto delle sue 135 pagine, contiene sostanziosi spunti.

Un viaggio e le sue didascalie

I sei capitoli in cui esso si articola: “Il piacere di pagare”, “Ma insomma, quanto costa davvero”, “La pubblicità ci affratella?”, “Il crollo dei salari e dei diritti”, “L’economia del gratis”, “Morlock ed Eloi”, sono, infatti, vere e proprie didascalie a corredo di un viaggio attraverso l’odierno, nel quale Siti ci conduce alla sua maniera consueta, sfoderando, cioè, accurata preparazione, raffinato acume, giusta dose di ironia e, non ultima, garbata levità del toni.
Accogliendo la sollecitazione, l’autore non si sottrae dal vincolo “di farsi avanti in prima persona” cui si accennava sopra. Difatti sfrutta i ricordi legati ai primi guadagni giovanili per introdurre e confutare il più logorante e pernicioso tra i leitmotiv che furoreggiano nelle discussioni sull’attualità: Io pago. Il celeberrimo cavallo di battaglia di Totò è ormai il grido esasperato di chi considera il pagare non più l’aspirazione legittima ad assaporare, grazie all’ascensore sociale, “il piacere di sentirsi uguale, di pretendere cose grandi”, bensì il “sigillo di ingiustizia, la cicatrice d’uno sviluppo distorto e di un consumismo uscito dai cardini”, dacché, secondo la vulgata, a sborsare – per sostenere un sistema fiscale percepito come iniquo ma, soprattutto, per sobbarcarsi gli sfarzi di una politica considerata lontana e nemica – sono sempre gli stessi.

Costi che alimentano il nostro ego

Eppure paghiamo quotidianamente e volontariamente costi –costa il corpo, il tempo, la priorità, il conformismo, il consumo ostentatorio, il diritto di non sottostare alle leggi- che alimentano esclusivamente il nostro ego e che noi scegliamo di non valutare, continuando per contro a rimuginare, monotoni e monotòni, su voci di spesa –vedasi quella famigerata sul mantenimento dei migranti- dal peso marginale.
La verità, sostiene Siti è che abbiamo smarrito il senso del denaro pilotati da un’economia – “per metà psicologia” e per un’altra parte “sentimento del tempo” – che ha spinto verso l’opacità dei prezzi, nella considerazione che se si ignora l’importo vero di tutto si finisce per non conoscere neppure quello proprio.
Così, passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, l’autore sposta la lente d’ingrandimento sul ruolo della pubblicità nella trasformazione del nostro inconscio, sulle disoccupazioni giovanili che implicano cambiamenti dei ruoli genitoriali, sul gravame della rivoluzione tecnologica nell’evoluzione del concetto di lavoro, sulla funzione dei sindacati nell’”era della falsificazione”.

No job e gratis economy, che pericoli

Perseverante Siti sale sul gradino più alto del processo piramidale che ci ha condotti allo stato attuale per narrarci lo scenario futuro. All’orizzonte si profilano i pericoli della “no job economy”, con il suo “reddito medio garantito” caldeggiato forse più dal “Potere” che dai gruppi antagonisti per la sua valenza di “salario di anestesia sociale”, e della “gratis economy”, che punta a trascendere il pagare e a far sparire il soggetto comprante. Il popolo sovrano finirà in un mondo polarizzato in due uniche razze, quella dei sopra-uomini (i ricchi) e i sotto-uomini (carne da lavoro e da mediatica indignazione), reso definitivamente ignorante del proprio valore economico e del costo delle sue libertà.

Capire il proprio tempo e i suoi esiti

Contravvenendo alla mia ritrosia riguardo allo svelare troppo di un libro del quale consiglio la lettura, questa volta mi sono dilungata più del dovuto nel raccontare Pagare o non pagare. La ragione è che quando si discute di contenuti, quando sul banco ci sono input di così alta qualità e interesse, la reticenza può essere fastidiosa tanto quanto la loquacità nell’anticipazione della trama per un romanzo. Confesso la mia grandissima ammirazione per Walter Siti. I suoi meriti verso la narrazione della contemporaneità sono indiscussi, quali che siano le vesti – di critico, di romanziere o saggista – che indossa, qualunque sia lo strumento – romanzo o saggio – che adotta. “Può l’autobiografia funzionare anche come autoanalisi di un ceto?” si chiede a pagina 31. Domanda retorica nel suo caso. Pagare o non pagare è una tale risorsa per chi aspira a capire il proprio tempo e i suoi esiti prossimi, che mi auguro abbia la massima diffusione tra i lettori.

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