Sorokin: “Il mio giubbotto antiproiettile per il libro cartaceo”

I flussi migratori e la guerra di “mostri digitali” contro i libri, costretti a rifugiarsi i musei e biblioteche. Un’amara riflessione sul potere e sul futuro prefigurato nel suo ultimo romanzo, “Manaraga”. Ecco i temi di un’intervista a Sorokin, uno dei principali autori russi contemporanei

Vladimir Sorokin, autore di punta della letteratura russa, è una delle stelle di prima grandezza del Festival delle letterature migranti, in corso a Palermo. La rassegna, giunta alla quarta edizione, apre il suo orizzonte all’area euromediterranea e oltre, accogliendo voci autorevoli di ogni continente. Come quella del moscovita Sorokin, maestro riconosciuto, autore del recente Manaraga – La montagna dei libri (qui la nostra recensione), per Bompiani, con la traduzione di Denise Silvestri (che ringraziamo per aver reso possibile anche questa intervista). Sulle migrazioni ha un pensiero tutt’altro che politicamente corretto, ma è facile intuire che come ogni russo conviva con la questione cecena e con alcuni attacchi terroristici che negli anni non hanno risparmiato la Russia. La disillusione nei confronti del potere è totale nelle parole di Sorokin che, poi, a differenza di quanto si legge nel suo ultimo romanzo, non lancia una stoccata all’Italia…

Sorokin, in Europa e nel mondo i temi dell’accoglienza dei migranti, del dialogo fra le culture, della mescolanza intesa come bellezza sono sotto attacco. Come se lo spiega?

«Nel ventesimo secolo l’Europa ha accolto grandi flussi di profughi, per esempio i russi che scappavano da Lenin e da Stalin. Ma erano principalmente cristiani, conoscevano la cultura europea e si sono adattati presto all’Europa. Il problema dei profughi musulmani di oggi è che non tutti conoscono i valori europei e li adottano. È un grosso nodo che non può trovare una soluzione rapida. Serve una politica meditata, ben ponderata. E per risolvere questo problema c’è bisogno di un grande lavoro coerente non solo da parte dei politici, ma anche degli specialisti in scienze umanistiche e dei democratici».

Qual è il suo rapporto con il potere nella società e nella cultura russa?

«Ho sempre cercato di tenermi alla larga dal potere e dalla società umana. Starmene dietro una scrivania è più comodo. Oppure, quando non scrivo, me ne vado in cucina a preparare un piatto di spaghetti o una zuppa imperiale».

Come autore ha vissuto le epoche Breznev, Gorbaciov, Eltsin e Putin. C’è un periodo che rimpiange e uno in cui non si riconosce?

«In Russia, purtroppo, nei secoli principalmente non è cambiato niente: la piramide del potere se ne sta piantata in mezzo al paese. È una piramide trasparente, imprevedibile e implacabile con il suo popolo. I venti della democrazia soffiano sopra la Russia raramente, la gente ci crede, sente la “primavera”, ma i venti freddi del totalitarismo o del dispotismo cacciano via in fretta gli uccelli di primavera. Purtroppo, io non credo più da tempo a una primavera russa, a un “disgelo”. È sempre troppo breve. Mi sono abituato all’inverno russo. Non ho più illusioni riguardo al nostro futuro né rimpianto verso il passato. È la metafisica russa, signore e signori!».

Nel suo ultimo romanzo, Manaraga, immagina che fra vent’anni i libri di carta serviranno ad alimentare il fuoco per cucinare piatti dei grandi chef. C’è una guerra in corso? I libri cartacei si estingueranno?

«Sì, purtroppo, è in corso in tutto il mondo una guerra contro i libri. Lo spazio che viene dato loro si sta ritirando, come pelle di zigrino. Mostri digitali fanno arretrare il libro, titani visuali lo calpestano. I libri si rifugiano nei musei e nelle biblioteche. Devono sopravvivere in questa guerra spietata. “Manaraga” è il mio giubbotto antiproiettile per il libro cartaceo».

Nel suo romanzo non fanno una bella figura gli italiani, come il cuoco Antonio, maestro di scaloppine alla Tomasi di Lampedusa, e come lo scrittore Alessandro Baricco, perché le triglie alla Baricco sembrano solo l’ultimo gradino del cibo di lusso…

«A volte un piatto semplice ma preparato bene è molto meglio di un’aragosta al cognac o di un fagiano cotto nelle foglie di ciliegio. Adoro i piatti semplici italiani tipo gli spaghetti aglio e olio. Anche i clienti di “Manaraga” conoscono bene sia la letteratura italiana appassionata sia le ricette buone e sane. Le opere di Tomasi di Lampedusa e di Baricco sono davvero letteratura di cui nutrirsi, in senso positivo». Che sia ironico? (Una versione ridotta di questa intervista è stata pubblicata sul Giornale di Sicilia)

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