La lezione di Abate sul dialogo e contro ogni razzismo

Una ragazza somala che scompare da un centro d’accoglienza calabrese, un fratello irrintracciabile, un insegnante d’italiano, innamorato di lei, che la cerca. Gli sguardi e le storie dei migranti che cercano la felicità, come tutti. Ecco cosa c’è ne “Le rughe del sorriso” di Carmine Abate

Veronesi e Albinati provano a raccontare contraddizioni e bassezze dei nostri anni in chiave saggistica, Cavalli e Carmine Abate hanno scelto la strada della narrativa per spiegare il clima meschino che si respira in certa Italia: odio, discriminazione e razzismo – malamente camuffati da voglia di sicurezza, ordine e rispetto delle regole – non appartengono a questi scrittori. In particolare l’autore calabrese, già premio Campiello, scrive di un sorriso, quello di Sahra, somala costretta a fuggire dalla sua terra per non farsi travolgere dalla violenza e dalla guerra che dilagano. Finisce in un centro di seconda accoglienza a Spillace, in Calabria, con la cognata Faaduma e la nipotina Maryan, figlia di suo fratello Hassan. A raccontare la sua storia è un insegnante d’italiano, Antonio Cerasa, che lavora in quel centro.

La scomparsa e la ricerca

Ne Le rughe del sorriso (258 pagine, 19 euro), edito da Mondadori, Carmine Abate si sofferma incantato su Sahra, «i suoi occhi non cambiavano espressione, inseguivano traiettorie enigmatiche, che nessuno di noi poteva intercettare perché nessuno aveva vissuto il suo dolore»; «non si dava tante arie, sembrava una di noi, solo più nivura, più alta e più bella». La giovane donna, però, scompare, e Antonio, che se n’è innamorato, fa di tutto per rintracciarla. Riesce a conoscerla – lei era evasiva e riservata – meglio attraverso i racconti della cognata, ne scopre l’odissea, iniziata nel villaggio di Ayuub, dalla morte dei genitori al deserto, alla Libia, dove finisce in carcere, dal Trentino alla Calabria. Lei è andata via, senza dare spiegazioni, solo promettendo che sarebbe tornata. Antonio, con determinazione, prova a indagare, andando a Riace, Rosarno, Crotone e perfino a Lampedusa. La ricerca, in realtà, è doppia, Antonio è sulle tracce di Sahra, che a sua volta cerca il fratello Hassan, irrintracciabile.

Imparare ad ascoltare

Fra le righe della trama e della scrittura (in cui calabresi e stranieri storpiano l’italiano) di Abate, prive di pietismi e toni melodrammatici, c’è la consapevolezza che i migranti, come quelli che li accolgono e come quelli che vorrebbero respingerli, sono solo alla ricerca della felicità, dell’amore, di una casa, di pace e stabilità; c’è la consapevolezza che i meridionali che emigravano in Germania non erano affatto diversi dai disperati che cercano di raggiungere l’Europa dall’Africa. Antonio ascolta profughi con l’orrore negli occhi e le loro storie, come tutti dovremmo imparare a fare, specie quelli che fra di noi, a parole, sono i più progressisti e illuminati. Sapere che Abate – che ha raccontato l’emigrazione degli italiani all’estero, che è stato insegnante – ha girato e sta girando l’Italia, in particolar modo le scuole, per presentare questo suo romanzo, rincuora. Ha scritto una lezione sul dialogo contro ogni razzismo. Ne servono ancora.

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