Munro, viscerale desolazione che colpisce in negativo

“Nemico, amico, amante” è una raccolta del Nobel Alice Munro caratterizzata da un uso spasmodico delle descrizioni, per una lettura lenta, claudicante. Nove racconti in cui non mancano argomenti e orizzonti rilevanti, ma che sono orfani di un’adeguata veste letteraria

Nove racconti. Nove lunghissimi, interminabili, estenuanti racconti. Che non si sa bene se siano più angoscianti o noiosi. “ Nemico, amico, amante…” di Alice Munro, raccolta edita da Einaudi, è uno di quei libri sui quali, a più riprese, ti interroghi sul perchè di quell’acquisto, considerata la pesantezza clamorosa di ogni singola, maledettissima pagina.

Un senso estremo di tristezza e morte

La lettura è lenta, claudicante, ti costringe ad un imponente sforzo di volontà per non abbandonarla. L’attenzione quasi maniacale per i dettagli, per il particolare fine a se stesso; i frequenti flash-back che interrompono la storia, rendendola sussultuosa e poco lineare, un linguaggio senza alcuna malizia contribuiscono a definire l’opera come indigesta, inaccettabile, non classificabile. C’è inoltre un senso estremo di tristezza e di morte che alberga in ogni angolo del testo. Scorrendo i personaggi che uno dietro l’altro si avvicendano, abbiamo il bambino morto, il marito malato di SLA, la moglie affetta dall’Alzheimer. E poi ancora un’altra moglie colpita da un tumore, un marito geloso e manesco, la collaboratrice domestica maltrattata. Il quadro che si ricava è quello di una viscerale desolazione che colpisce il lettore, ma in negativo.

Eppure ci sono spunti interessanti…

Eppure ci sono spunti interessanti che l’autrice avrebbe potuto indagare meglio, costruendovi sopra una narrazione più scorrevole, se solo avesse voluto. Invece, inspiegabilmente, tutto è lasciato a se stesso, in uno stato di abbandono, come le erbacce ai lati della strada. Spuntano qua e là trame bisognose di un’analisi più profonda, ma che al contrario si perdono nella superficialità di alcuni epiloghi piuttosto banali, la cui densità e struttura sono solo accennate. “ Il ponte galleggiante” per citarne uno. Il racconto termina nel nulla, senza dare spessore a quel bacio finale tra la donna matura e il ragazzo giovane che pure avrebbe meritato una diversa incursione. Oppure “ The Bear Come Over the Mountain”: qui il tema è importante, la malattia mentale della donna che spinge il marito ad un gesto di grandissima intensità emotiva. L’intera vicenda narrata si sarebbe potuto concludere in uno sviluppo diverso, una capacità di racconto empatico che la Munro, già Premio Nobel nel 2013, dimostra di declinare male. Ne è forse causa anche l’utilizzo spasmodico delle descrizioni – di cui abbiamo già detto – e un minimale ricorso ai dialoghi, ridotti a contorni periferici, senza nessun valore. Peccato, perchè proprio questi avrebbero di certo reso più potente un libro affacciato su argomenti e orizzonti emotivi comunque rilevanti, ma orfani, a ben guardare, di una adeguata veste letteraria.

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