Una storia tutt’altro che romantica quella raccontata dal romagnolo Cristiano Cavina in “Ottanta rose mezz’ora”: uno scrittore e un’insegnante di danza costretta a prostituirsi danno vita a un amore anticonvenzionale e distruttivo, disperato e un po’ perverso. Sfacciato il linguaggio, in qualche modo puro lo sguardo dell’autore
Non il solito amore. Non il solito romanzo. E sebbene per Cristiano Cavina si tratti di una enorme giravolta rispetto al microcosmo che ha narrato e rinarrato in ogni sua sfaccettatura, nel suo libro più crudo e «per nulla pettinato», come l’ha definito in qualche intervista, si riesce a intravedere comunque il suo candore di sempre: è più difficile da scovare, non emerge in superficie, ma a pensarci bene c’è perfino tenerezza nella passione tra uno scrittore, Diego, e una ragazza costretta a prostituirsi. Non pensate, però, a Un amore di Dino Buzzati, quello è un classico difficilmente avvicinabile, anzi proprio inattaccabile per come la vede chi scrive.
Zero smancerie, zero pudore
Dopo il racconto di guerra Fratelli nella notte, che lo aveva condotto alla casa editrice Feltrinelli, Cavina torna a pubblicare con Marcos y Marcos e sceglie una storia spudorata, torbida e anticonvenzionale, ovvero Ottanta rose mezz’ora (208 pagine, 17 euro). Cavina dimostra ancora di avere una certa idea del mondo e di rapportarsi con parte di esso, con chi lo legge, in modo estremamente onesto. Sammi (ribattezzata così da Diego, ma si chiama Chantal), maestra di danza classica per bambine che a causa dei debiti si trova costretta a prostituirsi, con le sue fossette fa perdere la testa a uno scrittore di discreta fama. Lei è anche abbastanza imbranata e gira su una Vespa malmessa ma a letto, nel suo monolocale, è generosa e disinibita. Lui, che va in giro a presentare libri, è fresco di separazione, e ha una figlia, Gaia. Questa strana coppia, zero smancerie e zero pudore, è esplicita nel sesso, ma mai volgare, trasgredisce, ma è anche tanto normale, con entrambi che mettono a nudo l’anima l’uno di fronte all’altra.
Per guardarci dentro
Perversi e disperati, espliciti ma talvolta indecifrabili, Sammi e Diego vivono una storia a trecentosessanta gradi, in cui non si risparmiano nulla. Lui a un certo punto fa da voyeur in menage a trois e l’aiuta perfino a cercare clienti. Spogliatevi dall’esprimere giudizi, voi che l’avete letto o che lo leggerete. C’è tanto dolore in questa vicenda dall’epilogo inaspettato, di vite sospese e zone oscure, in questo amore anticonvenzionale e distruttivo, disperato e un po’ perverso, con una notevole dose di apatia e ambiguità nello scrittore e di fragilità e determinazione nella ragazza, che riempie di banconote una teiera. Tanto il linguaggio è sfacciato, tanto gli istinti sono primordiali, quanto i personaggi di Cavina restano in qualche modo puri e lo sguardo dell’autore limpido. A tanta perdizione, forse, corrisponde, tanta redenzione. E c’è di che guardarsi dentro, ognuno di noi.
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