Nesbø tra amore struggente e piste credibili, terribili

Torna Jo Nesbø col dodicesimo episodio della serie del leggendario poliziotto Harry Hole, in cui il protagonista finisce nell’abitacolo di un’auto piena d’acqua fino al soffitto, perde la moglie Rakel, che viene uccisa, e fa invaghire di sè più di una donna…

Oslo. Marzo 2018. Il vecchio padre della moglie del gestore di Simensen Jakt & Fiske ha avuto un ictus e passa ore davanti allo schermo che proietta le immagini della telecamera subacquea installata nel fiume davanti alla scala dei salmoni. Capisce ancora qualcosa ma non parla più e il genero non si accorge che si è appena spaventato, in diretta ha visto Harry Hole affondare a bordo di un’auto con l’abitacolo pieno di acqua fin quasi al soffitto. Il vecchio peraltro non ne conosce il nome, però ricorda che era stato da poco loro cliente per comprare prima uno poi un altro rilevatore di selvaggina.

Due alibi

Allo scopo di capire come il quasi cinquantenne Harry sia finito lì e se ne uscirà, bisogna fare un salto indietro di qualche giorno. Poche settimane prima l’amata moglie Rakel si era trovata a dover nuovamente cacciare Harry dalla villa di tronchi a Holmenkollen, aveva scoperto qualcosa che non le era piaciuto proprio, poi lui aveva ripreso a ubriacarsi e azzuffarsi con tutti, di nuovo colpito dalla strutturale instabilità emotiva, svenduto il bar, precario nel lavoro come semplice agente all’Anticrimine. Inoltre sembra a ragione molto preoccupato perché il 77enne Svein “il Fidanzato” Finne è uscito di prigione, ricominciando a stuprare donne e a dargli la caccia. Vi sono tre omicidi irrisolti e non gli assegnano l’indagine, costringendolo a seguire un uxoricidio in cui il marito ha pure subito confessato (anche se… e lui scopre d’intuito il vero colpevole!). Poi Rakel viene uccisa, sia Harry che Finne hanno un alibi, tuttavia da subito risulta evidente il molto che non torna: lei conosceva chi l’ha accoltellata, tutti i possibili ingressi sono chiusi dall’interno, i vestiti di Harry sono pieni di sangue quando si risveglia dall’ubriacatura. C’è forse abbastanza da suicidarsi.

Garbati espedienti letterari

Jo Nesbø (Oslo, 1960), già calciatore di A, giornalista, chitarrista e paroliere (spesso negli stadi con la sua band Di Derre) scrive da oltre venti anni ottimi lunghi romanzi della serie HH, enorme costante successo mondiale, questo Il coltello (632 pagine, 20 euro), tradotto da Eva Kampmann per Einaudi, è il dodicesimo, ormai siamo tutti tragici holeomani. L’autore narra ancora in terza varia e mossa al passato, talora sullo stupratore assassino seriale. È un grande noir sull’amore struggente e sul miscuglio con l’odio, talora lucido. L’affinata terza persona consente garbati espedienti letterari, invertendo spesso a sorpresa (e ad arte) l’attribuzione della suspense sulla scena, con coltelli sempre in primo piano (da cui il titolo) e flash sul passato. Harry resta il leggendario poliziotto che conosciamo, stanare i criminali cattivi è la sua unica implacabile missione, alto 1 e 93, magro e largo di spalle, capelli corti dritti biondi spruzzati di grigio e iridi azzurre, pallido esausto sincero altezzoso individualista, enorme cicatrice fra bocca a orecchio, medio della sinistra troncato.

Bere o non bere

Aveva incontrato Rakel quindici anni prima, si sono consumati un lungo vero grande amore, suggellato da un appassionato matrimonio quattro anni prima; nessuno aveva mai visto due così profondamente e drammaticamente innamorati. Non gli sono mancate altre storie, il bel macho tenebroso attrae ovviamente quasi tutte, qui la medico legale Alexandra, l’esperta di diritti umani Kaja, la capa Katrine, ciascuna lo induce ad approfondire una pista credibile (e potenzialmente terribile) verso la verità; nel cuore mantiene soprattutto Oleg, il figlio di Rakel, intelligente serio ex tossicodipendente, suo allievo e “figlio”, 23enne, alto 1 e 90 con un ciuffo nero (del padre russo che pure aveva un problema di alcol). La vita semplice è quella compressa nelle domande binarie, come bere o non bere. La complicazione arriva anche quando ci si sente responsabili della vita (e della morte) di altri, tanto più che molti nascondono istinti omicidi. Segnalo il ping-pong fra soldati a pag. 295. La chiave del delitto sta nella musica e in una specifica canzone, pur se tutto è cosparso di ottima colonna sonora.

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