Il gioco d’apparenze dell’era digitale secondo Lazzarotto

Un gesto avventato dalle conseguenze atroci. Una coppia, Michele e Sandra, lui grafico e lei blogger, alienata e sempre più disconnnessa dalla realtà, Costruire una certa idea di sé è lo scopo di tutti i personaggi di “A cosa stai pensando”, romanzo di Marco Lazzarotto

Vita reale, vita mediata dai social: dove sta la verità? È questa la domanda al centro del nuovo romanzo di Marco Lazzarotto, A cosa stai pensando (216 pagine, 17 euro), edito dalla torinese Miraggi. E a Torino è ambientata questa storia intessuta di sarcasmo e abitata da una dimensione quasi surreale della vita umana ai tempi di Facebook e della scrittura digitale. A cosa stai pensando? chiede quotidianamente Facebook, scatenando un carosello delle apparenze dove quel che sembra impazza tra schermi e chat, fino al parossismo, fino all’idea di rivelare i veri se stessi, i propri pensieri più intimi e fragili, a voci aleatorie, forse inesistenti.

Un giorno, un sampietrino

C’è un episodio scatenante nell’avvio di questo romanzo, e riguarda Michele, il protagonista, di professione grafico in una casa editrice. Irritato da una Panda che gli ha tagliato la strada da pedone, senza apparente spiegazione se non un improvviso attacco di cieca rabbia, Michele scaglia in aria un sampietrino raccolto da terra, e corre via. Non sa di aver colpito e mandato in coma una turista inglese, e lo scoprirà solo rientrato a casa quando la compagna, Sandra, lo aggiornerà sulla notizia del giorno che sta facendo il giro dei social. Nella paura, nella confusione, decidere di tacere la verità.

Si stacca dunque qui la vita reale di Michele da quella che si alimenta di commenti, dicerie e immaginari nella narrazione digitale sui social, diventata virale perché legata a un atto di violenza mostruosa e vile.

Chi sono io, chi sono davvero?

Legittimo, per il protagonista, cadere in una voragine in cui, fingendo una vita normale, tranquilla, simulando una routine come se niente fosse accaduto, tutto sembra procedere come sempre. Decide però, per non essere riconosciuto, di tagliare barba e capelli. Un cambiamento che impatta sui colleghi, sulla compagna, ma soprattutto sulla figlia piccola, che non riconosce più il padre e lo rifiuta, proprio come se sapesse di quali mostruosità e vigliaccherie è responsabile il genitore.

È stato solo un episodio? Certo, la volontà di Michele non era quella di colpire e ferire, ma il dubbio lo tormenta, è un rovello che lo insidia come un virus, spingendolo ad allontanarsi sempre più dalla realtà. Inizia la simulazione, dentro cui Michele precipita come in un lago oscuro, dove già sembrano nuotare agilmente Sandra e altri personaggi della storia, per esempio il collega Crapanzano.

L’ha scritto sul blog

Sandra, la compagna di Michele, è una blogger, aspirante scrittrice e madre della piccola Ciù. Si scoprirà poi l’origine dell’insolito nome della figlia, legato a un episodio che ha del surreale, direzione sulla quale del resto Lazzarotto spinge appositamente nella volontà di forzare la mano sui temi chiave del romanzo, lo strapotere del web e la costruzione delle identità. Michele percepisce, e non sa dire però, l’alienazione della sua compagna rispetto alla vita reale: tutto, per Sandra, si svolge tra lo schermo e la tastiera, tanto da trascurare la casa e gli affetti, tanto da alimentare verità secondarie, che non hanno radici nella realtà.

Michele, che pure la ama, ne è implicitamente spaventato: teme di essere scoperto, ma paga un allontanamento che è speculare, suo e di Sandra. Il dialogo naturale tra i due si fa difficile, e prende vita soltanto dentro al filtro digitale, in una sorta di raddoppio identitario per cui le facce concrete non trovano spazio di dialogo, quelle autentiche, ma nascoste, intessono conversazioni profonde dietro schermi.

Theatrum Sabaudiae: un Facebook d’epoca

Facebook: faccialibro, letteralmente. In questo mondo distopico e grottesco dove la realtà tende a sparire, gonfiando fenomeni che sfiorano la fake news e confondendo i piani di realtà, Michele non perde la propria lucidità di analisi. Percepisce, intrappolato come si trova nel mondo parallelo delle false verità, che il web è una sorta di gigantesca macchina per perdere tempo, ed è attaccato dall’ansia incentrata sul vuoto di questo universo, dalla ossessiva ricerca del mi piace come conferma identitaria.

Dare infatti una certa idea di sé è lo scopo di tutti i personaggi di questo romanzo: costruirla, fasulla magari, distante dal vero, riflessa in un prisma sfaccettato. È il potere di azione dei social sulla vita, il gioco di apparenze dell’era digitale: Lazzarotto lo pone al centro del suo lavoro e tra sospetti, ricerche, domande e mancante trasparenze trova un curioso antesignano. È il Theatrum Sabaudiae, un antico testo che svetta nel suo ufficio: «era come se i Savoia avessero voluto dare una certa idea di Torino – spiega infatti – una città progettata, pensata o anche soltanto desiderata. Cioè, in altre parole, i Savoia usavano il Theatrum come un profilo Facebook. Per offrire agli altri l’immagine migliore che avevano di se stessi. Noi degli anni Dieci del Ventesimo secolo non stavamo facendo niente di nuovo».

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