Hochet? Giasone e Medea a caccia del vello dell’uro

Ne “Il testamento dell’uro” Stéphanie Hochet racconta di una scrittrice coinvolta in un bizzarro progetto, quello di far tornare alla vita il mitico bovino preistorico. Realtà e immaginazione, in un continuo gioco di specchi, deformano lo stato emotivo della protagonista, linguaggio e ritmo della narrazione ne seguono la metamorfosi

 

«Perché vogliono resuscitarlo? La risposta ora mi sembra evidente: è il re degli animali in un’epoca in cui l’uomo non è la specie dominante del pianeta. E il precursore di tutti gli dèi».

Giornalista per Le Jeudi e autrice di undici romanzi di successo, vincitori di premi prestigiosi, apprezzata in Italia grazie alla traduzione dal francese dei suoi Sangue neroElogio del gatto e Un romanzo inglese, la scrittrice Stéphanie Hochet torna con un nuovo libro dal curioso titolo Il testamento dell’uro (154 pagine, 16 euro), pubblicato dalla casa editrice Voland e tradotto da Roberto Lana.

Una scrittrice e un borgo

Tra mito e realtà, l’ultima fatica della Hochet si snoda fluida, con vapori deliranti, sonnambolici e inquieti nel racconto di una giovane donna (della quale non sapremo mai il nome), scrittrice per mestiere e vocazione, che non ha ancora trovato il suo spazio nella rosa dei letterati di successo. Viene invitata come ospite a partecipare ad un tour letterario, in un paesino immerso nella campagna a sud della Francia, per parlare della sua ultima fatica letteraria. In un primo momento ogni cosa le appare affascinante e a tratti magica. Come ogni scrittore emergente, anche la giovane autrice spera che quelle presentazioni, nei luoghi più singolari, possano servirle a scalare l’olimpo desiderato, ed essere infine pensata come una prestigiosa scrittrice. A Marnas, la donna si imbatte in una atmosfera suggestiva, incantevole e incantata ma lontana dalla realtà. Il caratteristico borgo, immerso in un trionfo bucolico di natura selvaggia, presto si trasforma in un indecifrabile ginepraio,fatto di bisbigli e oscure verità.

Personaggi ambigui e buon vino

I sentimenti di smarrimento e stupore poco per volta affiorano nella mente della protagonista quando farà la conoscenza di certi personaggi del paese, ambigui e inverosimili; inoltre il buon vino del sud non aiuterà la lucidità dei sensi che spesso le resteranno offuscati: il tutto rende l’atmosfera del racconto ancora più conturbante. Il sindaco del paese, Vincent Charnot, uomo entusiasta e deciso, autorità indiscussa, ma assai discutibile del villaggio, coinvolge la giovane promessa in un progetto tanto ambizioso quanto oscuro: riportare in vita – attraverso la scrittura – l’uro, animale preistorico raffigurato nelle pitture rupestri. Nel momento in cui la scrittrice accetta di adempiere a questo compito e assecondare quella che ritiene essere la stravaganza di un uomo egocentrico, si ritrova ospite in casa di due individui, silenziosi e bizzarri esattamente come gli altri, incontrati in paese. In quel luogo sinistro perde la cognizione del tempo, trascorre i giorni segregata nella loro casa di campagna; reclusa e lontana da ogni servizio di comunicazione, con la mente annebbiata dal vino e dal contesto, scaturiscono in lei sentimenti di stordimento, confusione, paura, disperazione e desiderio di fuga.

L’uro non deve morire

Emozioni che a tratti sembrano rasentare perfino la follia, esattamente come accade a Paul Sheldon, lo scrittore protagonista del romanzo di Stephen King, Misery non deve morire, che si ritrova, suo malgrado, prigioniero di Annie, una donna, che si prende cura di lui, dopo averlo salvato da un grave incidente di auto. Annie, ex infermiera, si rivela essere però una ossessionata lettrice dei suoi libri, e nella oscurità della sua abitazione di montagna, le iniziali cure amorevoli verranno intervallate da brevi distonie umorali che si sostituiscono ben presto a violenze fisiche e psicologiche facendo emergere la vera indole di Annie, la quale lo costringe a scrivere il sequel di una storia in cui la protagonista, Misery appunto, non deve morire. Come per la Annie di King, anche per il sindaco di Marnas, l’uro non deve morire, anzi deve tornare in vita. E il miracolo lo dovrà compiere quella giovane, ambiziosa scrittrice.

Un vero furore distopico

La stesura del progetto a cui la giovane donna aderisce, attraversa varie fasi emozionali: Charnot conosce il punto debole della giovane, stuzzica la sua vanità, e al suo cospetto muta continuamente volto. Si mostra allievo e maestro, intellettuale vizioso, autorità dal fascino diabolico. Solletica la sua aspirazione, la induce a gustare la magniloquenza del suo piano di cui lei sarà fautrice, la affascina con poche e significative parole, la insegue, la abbandona, la adora. E  in questo mescolio di delirio e sogno, tentazione, culto del male e del bene, la Hochet diventa grandiosa. Il linguaggio cambia continuamente, il ritmo della narrazione segue la metamorfosi del personaggio. Fluidità e lucidità cedono spazio a un’angoscia crescente. Lo stato di rilassatezza si alterna a quello di smarrimento, euforia, follia: un vero furore distopico, degno di Orwell, resi in maniera efficace dal continuo dialogo che la protagonista ha con se stessa. Realtà e immaginazione, in un continuo gioco di specchi deformanti, deformano a loro volta lo stato emotivo della scrittrice che approccia al progetto, prima attraverso lo studio scettico e distaccato, insieme alla fretta di terminare il compito che le è stato assegnato; poi, con una fascinazione crescente verso quell’essere antico e mitologico, per terminare con bramosa frenesia di ottenere un immediato successo, attraverso la realizzazioni del programma di Charnot.

“Nell’animo umano, gli eventi diventano reali quando sono accompagnati dal linguaggio” e “nulla è più entusiasmante di una leggenda”.

Il sindaco e l’organizzazione

Il sindaco del paese, amante della caccia e del medioevo, con una macabra inclinazione verso la tassidermia, in collaborazione con una misteriosa ‘Organizzazione’, si proporrà di seguire le orme di questo piano di rinascita dell’uro: progetto non esattamente esente da affinità storiche; negli anni Trenta infatti, due fratelli tedeschi, gli Heck nazisti, tramite l’incrocio di bovini domestici e da combattimento, avevano condotto questo ‘esperimento’ per ricreare una razza estinta da tempo.

Nel progetto di Charnot vige l’idea di far rinascere l’energia conquistatrice, l’impulsiva temerarietà e la virile “primarietà” perdute. Agisce come un Giasone, incantato dalle dicerie sul vello d’oro, e intenzionato a riportarlo in vita per adorare il nuovo essere, maschio e maschilista: il sacro estinto. Charnot-Giasone per riesumare il vello dell’uro si fa aiutare dalla Medea-scrittrice, ignara e ingenua. E chissà se come Giasone, anche Charnot sarà portato a cadere nella trappola della sua stessa ombra. O la Medea- scrittrice rapita dalla smania di ambizione ignorerà ogni possibile riflessione sulle conseguenze del suo agire.

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