Il Coronavirus e quei libri che mi fanno sentire meno solo

Quelle analogie fra vita e pagine scritte, nei giorni dell’emergenza Coronavirus. Appunti e impressioni in un elenco tutt’altro che esaustivo, tra Manzoni e Camus, Saramago e Ammaniti

Adesso che sono tornati in classifica La Peste di Albert Camus (Bompiani) e Cecità di Josè Saramago (Feltrinelli) mi sento meno solo. Ovvero in tanti abbiamo ricordato pagine lette in questi giorni di “emergenza Coronavirus”. Questo non vuole essere un elenco esaustivo, ma solamente il frutto di alcune impressioni avute a una settimana dalla scoperta dei primi casi di Coronavirus in Italia. Un confronto necessario quando si è chiamati a parlare (e scrivere) sui giornali di “emergenze” o “epidemie” nel modo più responsabile possibile (si spera). Un elenco aperto a indicazioni e suggerimenti per conoscere e approfondire a disposizione della comunità di Lucia Libri.

I supermercati come i forni

E così, in piena emergenza Coronavirus, tocca comunque andare a fare la spesa, mentre i figli restano a casa forzati ad un carnevale prolungato imposto con una ordinanza. Di fronte a certe scene al supermercato dove la gente fa la fila per accaparrarsi bottiglie d’acqua, la pasta scarseggia (tranne le penne lisce, confermo) o di certi messaggi allarmanti e allarmati che arrivano nelle chat comuni. Nelle quali il cugino dell’amico del parente ha saputo che «la situazione è gravissima». Ne I Promessi sposi sono i forni ad essere presi d’assalto, noi ci accontentiamo di svuotare i supermarket facendo scorte d’acqua e pasta. La base di ogni pranzo.

L’assenza di nomi e… di umanità?

Nel libro dello scrittore portoghese, Cecità, nessuno ha un nome. I protagonisti sono chiamati per loro caratteristiche o funzioni sociali. Lo stesso che abbiamo fatto noi giornalisti “il paziente zero”, “il 38enne sportivo”, “la turista bergamasca”, fino al “primo morto” ovvero Adriano Trevisan, con la figlia Vanessa che, giustamente reclama, un nome e un cognome per il proprio padre perchè era “una persona prima che un numero”. Di fronte ad una epidemia, ad un evento di cui non conosciamo i confini e le proporzioni, l’uomo sembra perdere la sua umanità. In chiesa non ci si dà più la mano per il segno di pace, si impongono nuove regole per i saluti, e a me viene in mente il vecchio che spolvera i banchi nelle pagine di Alessandro Manzoni e viene preso per un untore.

Il virus siciliano

Di virus misteriosi si parla anche in Anna di Nicolò Ammaniti (Einaudi). Ambientato in Sicilia e con un  virus che risparmia i bambini sotto una certa età, mi è tornato più volte in mente mentre ero al parco causa scuole chiuse per accompagnare mio figlio. Ascoltare i discorsi allarmati di genitori, compensati dalle grida di gioia dei bambini, è stato un bel contrasto.

La burocrazia e il contrabbando

Ad Orano, la città de La Peste, la burocrazia spietata è alleata del morbo. L’ordinanza di chiusura divide famiglie e affetti, non può prevedere eccezioni. A Palermo ho letto di questioni sindacali su chi deve pulire le scuole? Ditte esterne o le società del comune? Risultato? Operazioni che procedono a rilento. Così le amministrazioni (anche questa è realtà) devono trovare tra le pieghe del bilancio i fondi per comprare i presidi sanitari per la protezione del personale dai rischi di contagi del Coronavirus. E quando, finalmente, sarà compiuto l’acquisto, si spera, che l’emergenza sia finita. La burocrazia impone anche come lavarsi: per la disinfezione si consiglia con prodotti «tipo l’ipoclorito di sodio». E io mi aspetto di vedere i banchetti di amuchina di contrabbando (o fatta in casa) accanto a quelli di sigarette contraffatte.

Un lascito di questa settimana? Un po’ di tempo libero in più causa impegni saltati vista “l’emergenza”, un paio di mattine al parco con mio figlio, una scorta di libri per osservare con maggiore profondità e riflessione quello che accade attorno a noi.

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