Cicatrici e scrittura, l’inno all’umanità di Lancon

La storia universale di chiunque senta il bisogno di ritrovare il proprio io. Ecco cosa è “La traversata” di Philippe Lancon, giornalista gravemente ferito nell’attentato a Charlie Hebdo. Racconta l’odissea di ricoveri e operazioni alla mascella, un percorso di ricostruzione interiore attraverso il dolore

«Le copertine devono somigliare a tre cose: al libro che racchiudono, all’editore che lo pubblica, al lettore che lo compra» è ciò che sostiene il grafico Riccardo Falcinelli per puntare l’attenzione sulle immagini che parlano da sè. La copertina del recente libro di Philippe Lancon, La traversata (460 pagine, 19 euro), pubblicato da edizioni E/O nella traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca, è un biglietto da visita per editore e scrittore: titolo e immagine si intrecciano per diventare un concetto solo ed esprimere la potenza del testo. Non a caso la scelta è ricaduta sull’opera  di Alberto Burri, Rosso plastica (1964): medico e artista, come ricuciva tessuti umani tra i quali si intravedevano i muscoli e le interiora, così riproduceva nelle sue opere ciò che, per motivi professionali, aveva visto e fatto. Il rosso della plastica disciolta non sembra altro che un aggroviglio di fibre e muscoli bucati e recisi. Le contrazioni violente della plastica che brucia danno il senso della drammaticità della storia di Lancon: il racconto dell’odissea ospedaliera per ricostruire e rieducare non solo la sua nuova faccia, ma il suo nuovo “io”.

Dalle fiamme di Baghdad alla carneficina di Charlie Hebdo

Per chi non lo sapesse, l’autore scrive per Liberation ed è editorialista e giornalista culturale per la rivista satirica Charlie Hedbo. Ferito nell’attentato del 7 gennaio 2015, ha affrontato nove mesi di ospedale e ben 15 operazioni. Convinto, forse, della connessione che può instaurarsi tra fatti, anche se accadono a distanza di tanti anni, nella prima parte del libro racconta come la sua decisione di abbandonare Baghdad dove si era recato per raccontare la guerra del Golfo lo abbia portato a quel fatidico giorno in cui, durante una riunione di redazione, due terroristi con fucili automatici fanno irruzione mettendo in atto una carneficina: restano a terra 12 morti e 11 feriti. Lancon è ferito alle mani e alla braccia, ma presto si accorge di aver perso una parte del viso, dal naso in giù, sfigurato dai colpi di Kalashnikov dei jihadisti. Al posto del mento, nella parte destra del labbro inferiore, non c’è altro che un cratere di carne distrutta e cascante.

«…avevo più o meno detto addio a quel mondo arabo in cui stavo cominciando a sentirmi a mio agio, e che ventiquattro anni dopo mi avrebbe riacciuffato in modo imprevedibile nel cuore di Parigi»

Uno sdoppiamento dell’io

Inizia la sua traversata nel dolore. Inizia quello che potrebbe definirsi uno “sdoppiamento dell’io”: pensa al doppio di sé, si osserva dall’esterno e trova un riflesso che non è altro la proiezione della condizione angosciata dell’uomo.

«La voce di quello che ancora ero mi ha detto “Toh, siamo stati colpiti alla mano. Eppure non sentiamo niente”. Eravamo in due, io e lui, per la precisione lui sotto e io che levitavo al disopra, con lui che si rivolgeva a me dicendo “noi”»

Inizia un processo di decostruzione e ricostruzione dell’io che ricorda in qualche modo il pensiero del filosofo John Locke, secondo cui l’identità personale di un ogni individuo coincide esattamente con la sua coscienza, che unisce azioni e sentimenti lontani nel tempo, nonché passato e presente. Ogni individuo, per ritrovare il proprio io, deve conservare la memoria del suo essere. Ecco, allora, che diventa quasi un’ossessione ricordare i particolari che hanno a che fare con il Lancon prima dell’attentato: lo fa attraverso i racconti degli amici con cui la sera prima era stato a teatro per assistere a La dodicesima notte di Shakespeare, i ricordi delle donne che ha amato e dei libri che ha letto. Memento! diventa il nuovo imperativo categorico.

Gli ospedali come rifugi

Il Lancon del post-attentato muta il rapporto con la morte, inevitabilmente oserei aggiungere, con la quale deve confrontarsi nella sua essenza di ineluttabilità e inaccettabilità. Al suo risveglio nel letto d’ospedale, irrompe l’immagine, forte e prepotente, di se stesso morto, ma anche del fratello Arnaud, rimasto al suo capezzale. Il nuovo io affronta la morte che lo obbliga a riconoscere le proprie debolezze e paure, le fragilità e le angosce e lo trasforma: non è altro che l’incontro con il nuovo se stesso, in una sorta di galleggiamento tra un mondo reale e uno irreale.

L’ospedale con le sue camere (durante la degenza ne cambierà 5) diventa il suo rifugio, il riparo da tutto quel male che gli è piovuto addosso e che fa fatica a comprendere; la sala operatoria diventa la stanza della sua nuova casa. Un vero e proprio isolamento dal resto del mondo all’interno di un bozzolo.

«Io non ero nè prigioniero, nè malato, ero una vittima, un ferito, e avrei voluto restare nei miei ospedali il più a lungo possibile. Mi proteggevano, mi salvano da un male che facevo molta a capire e al quale non volevo nè potevo opporre alcun furore»

I libri come antidoti

La letteratura contribuisce a lenire la sofferenza. L’intero libro è costellato da continui riferimenti letterari, artistici, cinematografici: Proust, Kafka, Flaubert, Queneau, Valéry, Bach, Velazquez. Servono ad accettare la nuova realtà, a tessere le fila dell’umanità e a inneggiare ai rapporti umani che, nel lungo periodo di degenza ospedaliera, stringe con le infermiere, i medici e gli agenti di sorveglianza. Alla ricerca del tempo perduto lo segue di camera in camera, diventando fonte di meditazione sulla sua condizione e su Chloè, la chirurga che ha eseguito buona parte degli interventi, la sua eroina, la persona dalla quale ormai dipende la sua esistenza. Viaggio di Baudelaire, invece, appare nei momenti più difficile, quando la sensazione di stare per morire si fa prorompente e subentra l’esigenza di scacciare tale visione fisica della mente. La montagna incantata di Thomas Mann è l’antidoto per sconfiggere il terrore di lasciare l’ospedale. Frasi e versi di opere letterarie diventano breviario, ma anche viatico per non cedere alla tristezza e alla rabbia.

Anche il ritorno alla scrittura contribuisce a lenire la sofferenza non solo fisica, ma anche dell’anima: a consolarlo è una frase di Michel Foucault «All’incancellabile della cicatrice ho sostituito il cancellabile della scrittura». Torna a scrivere per Charlie Hebdo e per Liberation, un tentativo timido di uscire dal bozzolo e riprendere i contatti con il mondo esterno.

Ci sono voluti 5 anni per trovare il coraggio di scrivere sulla “traversata” affrontata per la ricostruzione della mandibola, sulla vita in ospedale tra cure e interventi, tubi e sondine, medici e psicologi, sofferenze indicibili e silenzio (non potrà parlare per molto tempo). Lancon ci consegna un capolavoro letterario assoluto, un inno all’umanità che commuove per la sua profondità e intensità, potente e salvifico che oltrepassa i confini dell’attentato del 7 gennaio 2015 per diventare la storia universale di chiunque senta il bisogno di ricostruirsi, di ritrovare il proprio io.

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