“Bestiario contemporaneo di Sicilia” di Battiato e Nott, il prologo

Da domani in libreria, per i tipi dell’editore Il Palindromo, “Bestiario contemporaneo di Sicilia” (179 pagine, 13 euro), con testi di Rosario Battiato e con 56 illustrazioni di Chiara Nott. È in qualche modo, ma da un’altra prospettiva, il sequel del fortunato “Creature fantastiche di Sicilia” dei due autori catanesi, con gli occhi puntati sulla Trinacchia, l’isola fantastica in cui dimorano le “bestie”: “un’operazione di traslazione fantastica, che muove da quei personaggi che sono tipicizzanti del paesaggio urbano e suburbano, rendendolo unico, universale e complesso al tempo stesso”. Una chicca di cui, per gentile concessione della casa editrice e degli autori, anticipiamo il prologo.

 

Prologo per un Bestiario isolano

 

Non c’è Sicilia senza trasfigurazione del reale, senza creazione e deformazione dei personaggi della quotidianità, senza assimilazione dell’estraneo, senza ibridazione col circondario, senza sguardo fantastico. Il Bestiario, che di questi elementi vive, è abitato dall’anima di quello che si potrebbe definire un principio di deroga dal reale ed è destinato ai lettori che – lo dice benissimo Giorgio Ieranò, citando Gorgia, in Demoni, mostri e prodigi – sanno scendere a patti con il gioco della finzione, a quelli che sanno godere della menzogna e lanciarsi nello scantinato del fantastico con la grazia incantata e delirante di chi sa che non ci crederà mai fino in fondo, eppure ne è già soggiogato.

A sostenere le storie di questo libro ci sono gli uomini e le donne incastrati nella ruota della contemporaneità isolana e una quantità indefinita e disordinata di letture – dietro ogni uomo che prova a scrivere qualche sciocchezza c’è sempre un lettore incantato – che rompe i margini e finisce dentro le pagine, a tratti a fiotti, altre volte spruzzandosi sulle lettere come una leggera brezza. Libri letti prima, durante e dopo, libri che hanno preteso di cambiare alcune cose in corso d’opera, libri nuovi e sfolgoranti, libri nerissimi come la pece, libri di grandissimi autori e altri di discreti misconosciuti, libri altezzosi e antichi, come i bestiari medioevali ai quali bisogna riconoscere, altrimenti s’offendono, la principale fonte di ispirazione.

E tra i bestiari, di certo, il cuore batte per il Liber Monstrorum, cioè il Libro dei Mostri, redatto tra il VII e VIII secolo e considerato il più autorevole trattato di teratologia di epoca medioevale. Adelmo di Malmesbury, che ne sarebbe il presunto autore, scrive in apertura una cosa che fa pensare molto: «Io non avrei mai più pensato di riproporre ad un lettore simili menzogne, se non fosse sopravvenuto il vento impetuoso della tua richiesta a gettarmi a capofitto, marinaio impaurito, giù dal mio posto di osservazione in un mare di mostri». A scrivere di bestie e mostri, insomma, alla fine ci si trova di fronte questo limitare sottile, pronto a svanire in un soffio, che vede posizionarsi nella stessa frase le menzogne e il marinaio impaurito che le deve affrontare. E allora pare lecito chiedersi: che c’è da impaurirsi se queste sono solo menzogne? Domanda inopportuna – così come ci hanno insegnato le anime dei bestiari contemporanei più o meno fedeli al genere: Borges, Palazzeschi, Wilcock, Cortázar e centinaia di altri – che se ne porta dietro un’altra della stessa specie: quanto sono effettivamente vicine al loro modello umano le bestie che vengono raccontate in questo Bestiario?

Al lettore non si affidano risposte, ma storie. Ce ne sono tantissime in questo Bestiario, raccontano di uomini e donne ibridati con libri, con personaggi letterari, con luoghi comuni, con oggetti, con altri esseri umani, con pezzi di esseri umani, con la Storia, con mia figlia Amelia. Ci sono bestie che sono pura illusione e che si vantano d’essere la morte siciliana, le mafiose che sparano e basta, le naturali che fanno tremare le città o ci piovono sopra, le ambiziose e quelle che dominano la realtà senza nemmeno saperlo perché tanto non gli importa visto che sono la matrice di tutte le cose. Si accorgerà, il lettore avveduto, di affinità e divergenze, di allusioni e posizioni rocambolesche, di sciocchezze (soprattutto) e di qualche esplosione di rabbia. È, in ultima analisi, solo un malsano tentativo di ricostruire l’immaginario siciliano, perché, così come ricorda Francesco Zambon nell’introduzione al volume dei Bestiari Tardoantichi e Medievali, il moderno autore di bestiari «è insomma una specie di Adamo che, scacciato dal paradiso, si aggira fra animali smarriti e senza nome cercando di ritrovare indizi dell’ordine perduto o certificandone la perdita definitiva o inventando, a partire dalle tracce degli antichi, nuovi ordini e nuove tassonomie possibili».

I bestiari medioevali, in estrema semplificazione, avvertivano l’esigenza enciclopedica di mettere ordine nella natura – persino nei suoi anfratti meravigliosi e fantastici – nell’ottica delle allusioni o similitudini o metafore oscure delle Sacre Scritture. In questo Bestiario, che vive di lettere quanto di illustrazioni, si prova a mettere ordine alla nostra coscienza di siciliani.

copertina bestiario

È possibile acquistare il volume in libreria o qui

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