Fruner e Macondo, quindicenne tra Holden e Sherlock Holmes

Con “L’istante largo” Sara Fruner ha scritto un romanzo di grande intensità e maturità, con un set di personaggi indimenticabili, a cominciare dal giovane Macondo. Lui frequenta una scuola per piccoli geni, ha una nonna artista e un’amica complice, la Bea. E, con tenerezza e lucidità emotiva, è impegnato in una specialissima indagine…

Macondo, 15 anni, un nome che pesa come un passato nascosto in una scatola di moonboot in cima allo scaffale, intoccabile fino alla maggiore età; una nonna artista che parla attraverso scontrini, un’amica dagli anfibi pesanti che lo sa leggere meglio di chiunque altro, e una variopinta tribù tutt’intorno, mentre si cresce, ci si interroga, si sogna e si impara. C’è un mondo intero nell’esordio in narrativa di Sara Fruner per Bollati Boringhieri: L’istante largo (288 pagine, 15 euro) è un romanzo di grande intensità e maturità, da scoprire sfogliandolo storia dopo storia, alla scoperta del segreto che ne costituisce il meccanismo, e con un set di personaggi indimenticabili, che sapranno entrare nelle emozioni del lettore.

Alla ricerca delle tre mamme

È da un punto di vista tutto particolare che Macondo vive la sua adolescenza: dopo le prese in giro scolastiche, a 15 anni è approdato a una scuola per piccoli geni con la sua amica inseparabile, la Bea. Macondo ha infatti un’intelligenza rara e un’emotività brillante che ne disegnano l’età incerta, tra infanzia e maturità. Una terra di mezzo in cui si inserisce la sua storia di formazione, il mistero che lo vede vivere con la nonna, la celebre pittrice Rocío Sanchez, sapendo di aver avuto tre madri delle quali però non ha alcun ricordo.

Inizia da qui una sorta di indagine che prende le mosse dai grandi protagonisti cui Macondo, che da grande vorrebbe fare lo scrittore, si ispira: Sherlock Holmes e Martin Mystère, che si mescolano poi a al mondo pop di Bono, Harry Potter e dell’immancabile Holden Caulfield, l’adolescente spaesato e in perenne ricerca per antonomasia. Come lui, Macondo arriverà al lettore in tutta la sua mescolanza irresistibile di tenerezza e lucidità emotiva. La scoperta della verità sull’infanzia del ragazzo si accompagna però anche a salti indietro, frammenti di storie antiche che affiorano tra un biglietto della nonna e un resoconto sul famoso quaderno giallo che Rocío gli fa trovare ovunque e nei momenti più inaspettati. La nonna infatti soffre di un carcinoma orofaringeo e l’unica forma di comunicazione tra i due è la lingua scritta.

Grandi cose da piccoli dettagli

C’è però anche tanta arte, tanto colore in questa storia, perché Rocío Sanchez, la nonna che da sola ha cresciuto Macondo, è una celebre artista cilena trasferitasi da giovane in Italia e poi a New York, e ritorno in Italia. Una pittrice esposta in tanti musei, e che in casa ha uno studio pieno di tele, segreti e colori dove ogni tanto Macondo va in esplorazione. La nonna, dal carisma vibrante e dalla personalità fortissima (un altro personaggio che resterà nel cuore) è del resto il pilastro di questa storia, una scala intergenerazionale e l’unica voce, molto particolare, attraverso cui il ragazzo può ottenere informazioni su di sé.

Se i colori del mondo sono letti da Macondo – Chiquito, come lo chiama con affetto Rocío –  attraverso i numeri dei tubetti sparsi per casa (ocra rossa 191), il colore prende poi forma tra le mani della nonna, diventa corpo attraverso alcune opere che costituiscono lenti importanti e forniscono una sensibilità speciale per interpretare la realtà. L’istante largo è un romanzo al centro del quale c’è tantissima arte, in tutta la sua scatenante capacità di comunicare emozioni e raccontare il mondo. E la nonna ha il dono di saper tirare fuori cose grandi da piccoli dettagli che riporta proprio sulle tele, e nel quaderno giallo, accostando parole e concetti in un intreccio speciale. Da un’istante largo, quello che dà il titolo al romanzo, Rocío non a caso ha tirato fuori in forma di quadro una lettura del mondo:

… gli instanti sono avari. Ma certe volte un istante si allarga, e concede quello che di solito è negato. In quell’istante una barca blu notte naviga in un letto e un braccio sfiora il lenzuolo, o la piatta di un mare albino. In quell’istante puoi capire. Capire è quello che cerchiamo.

La tribù di Macondo

«Lei ha fiducia nel cinema, nel teatro, nell’arte» dirà della nonna Macondo. Con una come Rocío come nonna, non stupisce che per casa giri una vera tribù composta da variegati personaggi poetici nella loro malinconica storia che parla d’Africa – c’è Zeus, poeta marocchino -, di amori traditi, di canti, musica – Platone, per esempio, abbraccia il suo violoncello -, di rivoluzione sessuale e libertà. Gli stimoli per Macondo sono infiniti e danno respiro alla sua ricerca di sé.

A partire dal nome, l’immaginifica città di Macondo che la nonna artista evoca nel suo dipinto Gracias Gabo, un’enorme tela scaturita dopo aver riletto sedici volte Cent’anni di solitudine. Un nome che è un paese inesistente, che «è come essere qualcosa d’inventato che non puoi spiegare. Come camminare in un posto in cui sai dove mettere i piedi ma non quello che trovi», eppure un universo pulsante di umanità. Scoprirsi in mezzo al mondo è anche saper accettare la propria storia e chi ne ha fatto e ne fa parte, ed è questo uno degli insegnamenti che arriveranno mano a mano che il romanzo procederà ricostruendo il suo complesso intreccio di piani temporali e nel palleggio dei suoi narratori, di volta in volta la nonna, le tre mamme riaffiorate dal passato oppure lo stesso Macondo, impegnato a gestire i tanti impegni della sua vita di adolescente, i battiti di cuore e la sua indagine. Accettarsi è del resto un’arte, un insegnamento che non potrebbe che arrivare dalla saggia nonna artista, perché «il mondo è fatto di persone che fanno quello che possono. E loro, in qualche modo, sono arte».

Senza vedere con gli occhi

Se con la nonna Macondo parla scrivendo, con La Bea parla grazie agli occhi: «la sua testa e la mia testa parlano una lingua silenziosa che conosco sin dalla prima elementare«. La Bea, l’amica speciale che gli «abita sempre dentro», con la quale ha una complicità capace di cogliere le sfumature delle occhiate, le vibrazioni tra le distanze, le y delle vene azzurre sulle mani che si stringono al supporto del pullman per combattere una forma di agorafobia. La Bea, con cui condividere un mondo palpitante e un’intelligenza vivace, da curare e alla quale dare conforto, insieme a cui superare il ponte che divide l’infanzia dall’età adulta, scoprire il segreto delle tre madri, ricostruire la propria identità più antica, più vera.

Silenzio, distanze, segreti: è dura crescere per Macondo, che tuttavia indizio dopo indizio riuscirà a fare i conti con il proprio nome, un pezzettino importante del proprio sé nel mondo. E se alle volte le storie da raccontare e le emozioni da comunicare sono difficili, se si incontrano ostacoli come la voce che manca, il coraggio che latita, la distanza che separa, il protagonista scoprirà infine che è sufficiente allargare l’inquadratura per mettere a fuoco quell’istante, l’istante largo che abbraccia una tribù intera e chiarisce tutto, permette di vedere la complessità, di vederla bene. Non a caso, Macondo sarà uno scrittore: qualcuno alla costante ricerca, gli occhi aperti come i detective dei romanzi e dei fumetti, lo sguardo capace di varcare la soglia tra parole e significato, e pescare un po’ più in là, dove si agita qualcosa che siamo soliti chiamare arte.

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