Van Gogh, Murakami, McDaniel: la solitudine sulle sedie

Le sedie fanno fare i conti con le assenze in alcuni noti quadri di Van Gogh, nel romanzo “Nel segno della pecora” di Haruki Murakami e in quello di esordio di Tiffany McDaniel, “L’estate che sciolse ogni cosa”. Opere in cui si prova a camuffare ed esorcizzare la solitudine con i semplici oggetti della nostra vita quotidiana…

Un uomo (o una donna) dà le spalle alla fotocamera mentre contempla il tramonto, il mare o un fiume che scorre. Intorno a lui, nessuno.
Cercando su Google Immagini la parola “solitudine”, sono i paesaggi e tramonti mozzafiato a fare da sfondo a giovani o meno giovani fermi a contemplare questi piccoli scorci di natura malinconica.

Di tanto in tanto, il protagonista della foto è seduto su una sedia.

In qualche immagine, le sedie sono due. E una delle due è vuota.
Il protagonista della foto fa i conti con una assenza.

L’amico perduto

Come l’assenza di Paul Gauguin, che dopo l’ennesima lite lascia Vincent Van Gogh in un villaggio del Sud della Francia, andrà via.

Vincent risentirà molto di quell’abbandono, al punto da fare della sedia del suo amico – unico appiglio con il resto del mondo, insieme al fratello Théo Van Gogh – il soggetto di un suo quadro. La sedia di Gauguin sarà accompagnata anche da La sedia di Van Gogh (1888).

La sedia lasciata vuota da Gauguin diventa così come una reliquia, una foto-ricordo di un periodo felice.
Possiamo immaginare Van Gogh, da solo, nella sua stanza – la stessa stanza che ci ha immortalato su una delle sue celebri tele.

Possiamo immaginarlo intento ad osservare quella sedia, rielaborandone l’immagine sulla tela. Oggi noi sappiamo com’era e sappiamo anche cosa lasciò l’amico di Van Gogh su quella sedia: una candela e due romanzi. Sulla sua sedia, invece, rappresenterà la pipa e il tabacco. Forse lo stesso tabacco che condividevano con l’amico, prima della sua partenza.

Il marito abbandonato

Le sedie vuote, quindi, si riempiono di oggetti appartenuti a chi non c’è più. Un modo per elaborare un lutto o, semplicemente per riportare nella stanza l’essenza di chi ci ha lasciato.

Lo sa bene Haruki Murakami. Il protagonista del suo Nel segno della pecora (pubblicato da Einaudi) non usa le pipe o candele: cerca le sottovesti della moglie.
Il romanzo (giunto in Italia nel 1982) ci conduce, subito dopo le prime pagine, nel moderno conflitto del divorzio.
La moglie lo ha appena lasciato.
“Scomparsa di lei, delle sue foto, delle sue sottovesti”: è questo il titolo di uno dei paragrafi del secondo capitolo in cui il protagonista tenta di riempire i vuoti della sua casa con una sottoveste di lei, da poggiare su una sedia.

Mentre guardavo la sedia vuota, mi venne in mente un romanzo americano che avevo letto tanto tempo prima: un uomo, la cui moglie se n’era andata di casa, per mesi aveva lasciato appesa alla sedia vuota di fronte a sé la sottoveste di lei. Dopo averci pensato un po’ su, decisi che non era una cattiva idea. Non che servisse a granché, ma era molto più originale di un vaso con un geranio appassito. E magari il gatto si sarebbe un poco tranquillizzato, vedendo in giro una cosa appartenuta alla sua padrona.
Andai in camera da metto e aprii uno dopo l’altro tutti i suoi cassetti, ma li trovai vuoti. […] E così era sparita per sempre dalla mia visuale, lei e tutte le sue sottovesti. Ci sono cose che vengono dimenticate, altre che spariscono, altre ancora che muoiono. Ma non si tratta quasi mai di una tragedia.

La solitudine in cui cade la sua casa, quindi, non verrà vista dal protagonista di Nel segno della pecora come una tragedia: reagirà, colmando i suoi vuoti con una giovane dalle «orecchie bellissime». Ma andando avanti nelle sue vicende, e nella relazione senza definizione con la sua nuova ragazza, la sedia vuota continuerà a ricordargli cosa ha perso.

A forza di guardare la sedia vuota di fronte a me, finii col sentirmi come un bambino abbandonato in una città sconosciuta, in uno di quegli assurdi scenari che si vedono nei quadri di De Chirico. Già, però non ero più un bambino.

La famiglia stravolta

E non è più un bambino nemmeno Fielding Bliss, la voce narrante delle vicende che, nell’estate del 1984, sconvolsero la sua famiglia.
L’estate che sciolse ogni cosa (edito da Atlantide) romanzo d’esordio della (talentuosa e giovane) scrittrice Tiffany Mc Daniel, ci racconta la vita di una famiglia benestante di Breathed, Ohio, che un giorno viene totalmente stravolta dall’arrivo di un bambino che dichiara di essere Satana.
Un bambino dolce, silenzioso, che vivrà in casa con loro e che ha la stessa età di uno dei figli della famiglia Bliss: Fielding, appunto.
È veramente Satana, quel bambino? Non lo è? E se non lo è, chi è realmente il Diavolo? A queste domande risponderà Fielding, molti anni dopo, ricordando i giorni della sua infanzia e la sua famiglia – che adesso non c’è più.
La scrittura di Mc Daniel, sintetica e incisiva, si poserà ancora una volta sulla sedia vuota.
Ma stavolta le sedie sono tante.

Invece della mia famiglia e dei miei amici al tavolo da pranzo – racconta Fielding  – cerco di ammonticchiare sulle sedie i panni da lavare, per evitare di vederle vuote.

Alla fine, ognuno ha una propria strategia per fuggire dalla solitudine. O almeno, per camuffarla, renderla più sopportabile.
E forse la si può esorcizzare con i semplici oggetti della nostra vita quotidiana. Sta tutto in una pipa, in una sottoveste e in qualche panno da lavare, poggiato sulla sedia.

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