C’è del sacro nel… Maestro Antonio La Cava

Un appassionante laboratorio itinerante di lettura e scrittura, una biblioteca su ruote per bambini e ragazzi, dal 1999. È il Bibliomotocarro del lucano Antonio La Cava, maestro in pensione che non ha mai smesso d’essere maestro. “Cultura è tutto ciò che di buono ci circonda, sogno che il Bibliomotocarro diventi un simbolo di solidarietà nazionale. Ho messo le ruote ai libri, anche per scongiurare la solitudine dei più piccoli. Peccato per i pochi riscontri da istituzioni e università”. LuciaLibri e Dadabio si impegnano a donare libri per bimbi e ragazzi all’iniziativa del maestro La Cava e chiede di farlo anche a voi. C’è tempo fino alla fine del mese

Oggi questa nostra rubrica sul Sacro veste l’abito di un’intervista. Non un articolo, dunque, né una recensione. Ma una chiacchierata con un personaggio che, a proposito di ciò che è Sacro, assume un ruolo ben più importante di quello di un autore.

Mi riferisco al carissimo (già gli voglio un mondo di bene!) Antonio La Cava, insegnante in pensione già da diversi anni, che – come lui stesso avrà modo di precisare – non ha mai finito di fare il maestro. Mi correggo: non ha mai finito di “essere” maestro, perché un maestro, prima di tutto, è colui che è, con il suo viso, con la sua voce, con i suoi abbracci e i suoi sogni.

Per chi non lo conoscesse ancora, Mastro Antonio (perché “mastro” è una meravigliosa concessione linguistica, che ci fa pensare ad un «maestro che costruisce, che crea») si occupa da anni di portare in giro ai bambini, attraverso il suo ormai noto “Bibliomotocarro”, il prezioso tesoro dei libri, della cultura, della solidarietà nella sua forma più pura, che è condivisione del nostro cuore con quello di qualcun altro.

L’amica Arcangela Saverino, che scrive su LuciaLibri e che lo aveva già intervistato, mi ha dato il suo numero ed io l’ho chiamato. Se avessi telefonato al Papa o al Presidente della Repubblica non mi sarei sentito più emozionato.

Mi ha risposto, la voce arrochita dagli anni, addolcita dall’esercizio di una professione errante e narrante, con quella simpatica e allegra inflessione lucana che ti fa amare la bellezza della semplicità, come veicolo alle parole più grandi.

E così ci siamo messi d’accordo per il 3 di ottobre: alle undici avrei telefonato e lui, ancora una volta, avrebbe raccontato una storia bellissima a chi oggi, seppure già grandetto, non può che sentirsi ancora un bambino dinanzi a questa narrazione. E mi sovviene che ritornare bambini è possibile solo alla presenza di un vero maestro.

Ecco quello che ci siamo detti.

Per coloro che “si fossero messi in ascolto soltanto adesso”, che cioè per la prima volta – attraverso LuciaLibri e attraverso questa intervista – entrano a conoscenza del suo operato, vogliamo ricordare in che cosa consiste la sua iniziativa, da quanto tempo se ne occupa e come funziona?

«Certamente. Dopo un’incubazione durata circa tre anni, il bibliomotocarro fece la sua prima comparsa nel 1999. Da maestro, accoglievo da parte delle nuove generazioni una crescente disaffezione nei confronti del libro, soprattutto a causa dell’arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione. Dicevo ai miei fanciulli che bisognava fare qualcosa! E con semplicità i bambini mi risposero: “Maestro, fallo tu questo qualcosa!”.

Questa frase, gettata dentro di me come un seme, trovò innanzitutto una “candela” che non si è mai spenta: quella che io accendevo quando mia madre spegneva la lampadina di casa, l’unica, quella di una famiglia contadina che, nelle serate d’inverno, alle 19 e 30 andava già a dormire. Io, che a otto anni stavo già appassionandomi alla gioia e al piacere di leggere, per poterlo fare accendevo una candela. Ma il seme, gettato dentro di me dalle parole di quei bambini, trovò anche il ricordo di un ragazzo che a quattordici o quindici anni lesse il suo primo vero libro, Fontamara (di Ignazio Silone, ndr), che non presi né in libreria né in biblioteca, ma da un “Bibliobus”, un autobus che – nei primi anni Sessanta – svolgeva questo servizio per conto del Provveditorato, visitando ogni sabato una piazza diversa. Ricordo che tornai a casa stringendo quel libro al petto!

Oltre a questi ricordi così importanti, avvenne poi, un giorno, che i miei bambini cambiassero la frase che vi ho detto prima in un’altra: “Maestro, devi fare qualcosa!”. Fui felice di sentirmi rinchiuso all’interno di quest’obbligo. Mi chiesi cosa dovessi fare per non deluderli, e mi convinsi che richiamare l’attenzione davanti al problema della disaffezione alla lettura non poteva bastare: occorreva offrire anche una possibile soluzione, una soluzione rivoluzionaria! Bisognava “mettere le ruote ai libri”, scomodarli! E mi occorreva un mezzo umile, semplice, povero, lento, accessibile. Fu facile pensare al motocarro a tre ruote che, portando da noi la frutta e la verdura, le albicocche e i pomodori, dà subito l’idea dell’umiltà e della semplicità.

All’inizio ebbi la sensazione che i libri si lamentassero, che si ribellassero per il fatto che li avessi tolti dagli scaffali per portarli in giro! Allo stesso modo, fui certo che presto avrebbero cambiato idea. Un libro confessava all’altro: “Eravamo su scaffali vecchi e nobili, ma anche tutti ricoperti di polvere!”. L’altro libro rispondeva: “Ed ora, invece, Maestro ci porta dalle mani di un bambino a quelle di un altro!”. Insomma, i libri condivisero presto, e condividono tuttora, il mio entusiasmo. Il progetto “Fino ai margini” ci porta soprattutto nei più piccoli paesi della Lucania, dove mancano spesso biblioteche, librerie e stimoli.

Sono stato lunghissimo in questa prima risposta, ma dovevo per forza raccontare tutto questo».

La passione per la lettura è una splendida malattia cronica che spesso si contrae da ragazzi. Come nasce questa passione?

«Questo è un punto nodale. Per i primi dieci anni di professione, ricevetti in consegna solo delle quarte e delle quinte elementari. Arrivato a scuola, mi accorsi che questi bambini avevano appreso la tecnica della lettura ma, purtroppo, mi accorgevo sia che spesso non comprendevano il significato di ciò che leggevano, sia che la sola lettura non bastava certo ad appassionarli. Capii che bisognava aggiungere alla tecnica anche la “gioia” di leggere!»

Quanti anni ha Lei, Maestro?

«Ho settantacinque anni compiuti lo scorso 28 di aprile. Ma quando vado da un paese all’altro ho ancora lo stesso entusiasmo di quel ragazzo che, a quindici anni, lesse il suo primo libro!»

Dopo ventun anni di chilometri tra un paesino e l’altro della Basilicata, oggi i mezzi di comunicazione rappresentano anche un valido contributo nel diffondere e far conoscere la sua idea e la sua attività. Ma Lei cosa ricorda dei primi giorni in cui la gente la vedeva arrivare col suo Bibliomotocarro?

«Ti ringrazio per questa domanda. A proposito… Io ti ho dato del tu e tu continui a darmi del Lei… Ad ogni modo, all’inizio, vedendomi arrivare coi libri, molti pensavano ancora a “qualcosa di vecchio”. Rispondevo che i mezzi di comunicazione sono importantissimi, necessari, ma non avrebbero mai potuto sostituire il libro, di per sé insostituibile per tutto quello che ci dà, per il fascino che esercita, per il contributo che offre alla nostra memoria! Il Bibliomotocarro è “espressione di un umanesimo moderno”. E qui faccio il maestro, quasi vestito da professore: “moderno” è un aggettivo, qualcosa che “si aggiunge” al sostantivo che, in questo caso, è “umanesimo”. E invece, caro Amico, è accaduto che l’aggettivo “moderno” ha voluto un po’ per volta sostituirsi al sostantivo, liberandosi del proprio umanesimo, e diventando uno sterilissimo “modernismo”! Noi non abbiamo paura dell’aggettivo “moderno”, purché rimanga tale e lasci che il sostantivo, la sostanza, rimanga l’umanesimo dei ragazzi, dei bambini, degli uomini: un umanesimo moderno, appunto».

Molto bella l’idea dei “Libri bianchi”, così che i bambini, oltre alla lettura, contraggano quell’altra forma di liberante dipendenza: la scrittura! Questa idea che soddisfazioni ti ha dato? Ci sono stati risultati significativi?

«Dirò subito che quest’idea me l’hanno data i fanciulli. Ero a San Mauro Forte, un paesino della collina materana, nel pieno di quell’attività che si chiama “I libri hanno messo le ruote”, e che ne prevede il prestito gratuito. Mentre i ragazzi di seconda media stavano scegliendo il libro che avrebbero tenuto per il mese, una fanciullina bulgara, Adalina, lo ricordo bene, timidamente e pensando di dire una fesseria, sussurrò con voce sottile: “Maestro, e se i libri li scrivessimo noi?”. Pensa un po’ quant’è grande la portata di questa affermazione!

Andai a Matera e acquistai duecento volumetti di pagine bianche in copertina rigida. “Maestro, cosa sono questi?”, mi chiesero. “Sono libri da scrivere”, risposi io. E qualcuno a cui piaceva inventare storie, cominciò davvero a prendere questi “Libri bianchi”. Quando ritornavo, il mese successivo, così come mi restituivano i libri presi in prestito, allo stesso modo mi consegnavano quelle che erano state pagine bianche e che adesso, davvero, contenevano qualcosa di nuovo, scritto da loro, da quei ragazzini. Ben presto, insieme ai libri veri e propri, anche i Libri bianchi cominciarono a passare da bambino a bambino.

Mi accorsi che, oltre ad aver messo su un appassionante laboratorio itinerante di scrittura, avevo a che fare anche con una grandissima opportunità: quella di far sì che molti bambini uscissero dal mondo della solitudine e dall’isolamento in cui purtroppo sono immersi, anche a causa di un uso eccessivo di apparecchiature elettroniche. Ma soprattutto, mi accorsi che certi bambini, vedendo cose brutte in casa, cominciavano a scriverle: “Mio padre è tornato a casa ubriaco e ha picchiato mia madre”. E altro… Per un bambino diventava doppiamente liberante: la prima volta per il fatto stesso che mettesse per iscritto un segreto da cui si sentiva soffocato; la seconda, per il fatto che egli stesso decidesse di consegnare questo segreto ad altri bambini come lui, che magari avrebbero anche aggiunto a quelle pagine qualcosa di proprio.

Ovviamente, molti giornalisti e scrittori, attirati dal clamore di queste rivelazioni, mi chiedevano di pubblicare. Ma non ho mai voluto. Decideranno i bambini, da grandi, se pubblicare o no quello che hanno scritto. Fino a quel momento c’è un forte patto tra loro e il Bibliomotocarro, e i bambini si fidano!

Io dico spesso: “Attenti alla solitudine dei bambini!”. Siamo in presenza di fatti di cronaca preoccupanti, e ancora non corriamo ai ripari…»

In che modo le istituzioni hanno accolto il tuo progetto, e quale sarebbe un modo concreto di poterti dare una mano?

«Le istituzioni vicine, che sono il Comune, la Provincia e la Regione, purtroppo – devo dirti – non mi hanno dato un grosso aiuto. Tu sai com’è fatto il Bibliomotocarro: ha la forma di una casetta. Sugli sportelloni posteriori c’è il logo di Matera e, a fianco, quello della Regione Basilicata, che mi concesse il “patrocinio gratuito”. Una professoressa un giorno mi chiese di spiegarle il senso di quell’aggettivo, “gratuito”, e risposi semplicemente che la Regione fu lieta di patrocinare il progetto, ma guardandosi bene dal darmi un euro. Ora, la nostra Regione promuove tante sagre: quella dei fichi secchi, ad esempio. E questa ancora c’entra, perché ha a che fare con la nostra cultura e il nostro patrimonio. Ma la sagra del würstel che c……..avolo c’entra, che c’azzecca?!! A me, però: patrocinio gratuito!

Da parte del Ministero non ho mai avuto nessun riscontro. Sì, ho vinto un primo premio per l’originalità nel 2005, ho ricevuto una medaglia dal presidente Napolitano, e il presidente Mattarella mi ha insignito del riconoscimento di Commendatore al merito della Repubblica Italiana. Quindi, da un lato non posso certo parlare male delle istituzioni se la più alta tra loro, che è il Presidente, mi ha nominato commendatore. Ma segnalo questo: territorialmente parlando, queste istituzioni non sono affatto “vicine”.

Persino alla BBC di Londra si sono interessati, ed anche una televisione canadese lo ha fatto, mentre qui in Italia, da parte delle istituzioni, c’è tantissima indifferenza. Ricordo però con soddisfazione quando un ministro, in occasione di una visita ufficiale, chiese di parlare con il “Maestro”, con me, che per tutte le autorità presenti ero poco più di nessuno. E quel ministro, invece, disse: “Il Maestro viene prima di tutti voi!”».

Appunto, tu sei innanzitutto un maestro, con tutta la bellezza che questa parola porta con sé. La tua iniziativa è il più poetico ed eroico prolungamento della tua professione. Ricordi, nella tua lunga esperienza di maestro, un episodio particolare che porti sempre con te?

«Beh, io mi sono sempre considerato un “maestro di strada”. Quando potevo, portavo la strada dentro la scuola. Altrimenti provavo a portare la scuola in mezzo alla strada. Perché sono convintissimo dell’uso didattico del territorio. Dovevo parlare del fiume? Bene. Portavo i bambini sul Basento, il fiume che scorre proprio vicino Ferrandina. Uscivamo spesso fuori. Naturalmente – inutile dirlo – ci sono sempre le chiacchiere e le critiche dei colleghi; la scuola sa essere un mondo molto particolare… In realtà avevo scoperto che l’ambiente altro non è se non un libro perennemente aperto: tutto sta a saperlo leggere. Possiamo dire che con il Bibliomotocarro ho raggiunto quello che da sempre era stato il mio sogno: essere un maestro di strada al cento per cento! È vero che mi trovo sempre in spazi esterni alla scuola, ma il Bibliomotocarro è un esempio di scuola, di didattica gioiosa.

Un episodio che mi piace ricordare fu quello che avvenne, quattro anni fa, a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi. Ero dunque fuori dalla mia regione. Un ragazzino mi chiese: “Maestro, come ti senti ad essere l’idolo di tanti bambini?”. Io rimasi stupito a questa domanda: non avevo mai pensato di poter essere definito così. Ammettiamo, per un istante, che quel bambino avesse espresso non semplicemente un suo pensiero, ma un pensiero diffuso; che un bibliotecario di strada, cioè, potesse essere un idolo per i bambini. Questa cosa mi fece riflettere sul serio; mi diede per un attimo la percezione che questa faticosa battaglia combattuta ogni giorno per il bene di questi bambini, potesse non solo essere combattuta, ma addirittura vinta! L’auspicio di poter vincere questa battaglia fa sì che questo episodio sia tra quelli che ricordo meglio, ma ce ne sarebbero tanti altri…

Una volta, un bambino mi disse: “Io lo so perché il Bibliomotocarro ha il comignolo! Perché oltre ai libri belli esistono anche quelli brutti. Noi li portiamo a te, e tu li bruci!”. E purtroppo aveva ragione. Non sempre i prodotti delle case editrici sono positivi. In questo senso mi sento di avere non solo una grande fortuna, ma anche una grande responsabilità. La fortuna è legata all’immagine che il Bibliomotocarro ormai lascia di sé. La responsabilità, invece, consiste tutta nell’affidabilità dei libri a cui ho messo le ruote. Un grande aiuto mi viene da chi regala al Bibliomotocarro libri di qualità, e non la prima cosa che capita. E poi c’è una cosa importante: una volta una signora di Roma volle regalarmi alcuni libri che, prima di darmeli, teneva stretti a sé. Le chiesi il perché di quell’abbraccio ed essa mi rispose che quei libri, letti da giovane, l’avevano aiutata a passare momenti difficili. Ti rendi conto, dunque, di quale grande motivazione ci sia in coloro che decidono di disfarsi di libri così preziosi per un bene più grande?! Il mio augurio è che, da tanti parti d’Italia, possano arrivare tanti altri libri! Per esempio, sogno e immagino che un bambino malato legga un libro e, dopo averlo letto, voglia regalarlo a chi, magari, può averne bisogno come ne ha avuto bisogno lui.

Ho un grande desiderio: che il Bibliomotocarro diventi un simbolo nazionale di solidarietà! E scusate se mi metto a sognare…»

Ma è bellissimo, altroché! I desideri sono cose che ci vengono dalle stelle, e stanno alla base delle scelte più grandi. E a tal proposito ti chiedo un parere su una parola, oggi così abusata, così appesantita da una molteplicità di significati e forse anche un po’ strumentalizzata. Maestro Antonio, cosa è per te la “cultura”?

«LA CULTURA È TUTTO CIÒ CHE CI FA ESSERE, DOMANI, MIGLIORI DI COME SIAMO OGGI. Ma la cultura sono anche le espressioni dei nostri insegnanti, sono le suggestioni che riceviamo dagli incontri; per esempio, se tu venissi in Basilicata e visitassi i nostri territori, le emozioni e le suggestioni che tu riceveresti entrerebbero nel patrimonio della tua cultura! La cultura, in buona sostanza, è tutto ciò che di buono ci circonda. E per me, segno della centralità della cultura rimane il libro. La tarantella che ballavano i miei nonni, le fave e le cicorie che mangiavano Francesco e Carmela, i miei genitori contadini, tutto questo è cultura!

Anzi, diciamo così, e questa potrebbe essere proprio una vera definizione: il Bibliomotocarro è espressione della solidarietà della Lucania contadina di un tempo! Era il 1958 e in quattro mangiavamo all’unico piatto che c’era in tavola. Bussarono alla porta. Era la mia professoressa. Disse ai miei genitori: “Fate qualunque sacrificio pur di far studiare questo ragazzo!”. Quando, davvero con grandissimi sacrifici, ciò mi fu permesso, e dunque continuai ad andare a scuola, ricordo bene i momenti in cui mia madre mi faceva capire solo con i suoi occhi che ogni cosa io avessi ricevuto dalla scuola, avrei dovuto restituirlo alla società. Non mi mandarono a scuola solo perché io migliorassi il mio status sociale; piuttosto mi consegnarono quella che definisco una “finalità superiore”: restituire alla società ciò avevo ricevuto. Ecco la solidarietà della Lucania contadina di un tempo: quando la povertà sa essere “magistrale” (qui mi sono commosso!, ndc)».

È fuor di dubbio che il tuo progetto vanti numerosissimi e grati estimatori. Ma c’è davvero qualcuno che, dopo di te, potrà ereditare una tale staffetta? E tu stai, per così dire, promuovendo la formazione di un tuo successore?

«Ti dico due cose. La prima è che ho chiesto alla facoltà di Scienze della Formazione una forma di collaborazione: “Quando vi recate in una zona, prendete un po’ di quegli studenti – che poi nella vita faranno i maestri – e comunicate loro i giorni in cui il Bibliomotocarro sarà presente sul loro territorio”. Insomma, una sorta di tirocinio. Questa è stata una prima iniziativa, che purtroppo non è stata accolta. Si è avvicinato senz’altro qualcuno, ma non perché fosse stato mandato dall’Università.

E poi c’è mio figlio, che è il mio primo collaboratore. E i miei nipoti, naturalmente.

Ma vorrei che il Ministero della Pubblica Istruzione istituisse un bibliomotocarro in tutte le province d’Italia, in tutte le “pluriclassi” d’Italia. In questo senso, io potrei formare coloro che un giorno si occuperebbero di questo. Prova ad immaginare la portata culturale di tutto questo, se solo si realizzasse! Porterebbe innanzitutto l’Italia a modello di tutta l’Europa; e anche sul piano sociale ed etico: nessuno resterebbe più indietro, e tutti i bambini potrebbero avere i giusti stimoli. Sono sogni, ancora una volta… Il Ministero non mi ha mai chiamato».

A tal proposito, mi permetto di dire che è molto bello come la Basilicata, tante volte messa al margine da un pregiudizio di arretratezza, sia stata pioniera, in Italia, di un’iniziativa così importante e feconda! E tutto grazie a te. La cultura è progresso e tu ne sei artefice diretto. Quali sentimenti ti legano alla tua terra?

«Tante volte avrei potuto lasciare questa terra. Ero un discreto allenatore di calcio e mi fu chiesto di fare l’allenatore in seconda ma avrei dovuto spostarmi da Ferrandina, il mio paese. Non lo feci. Un’altra volta, come maestro, mi fu chiesto di spostarmi al di fuori della Lucania, e dissi no. E poi… ah! Una volta mi innamorai di una ragazza iugoslava, bellissima, che vi aveva rapito. Ma la Basilicata mi trattenne a sé.

I miei genitori, contadini, mi hanno trasmesso un amore viscerale per la mia terra che, evidentemente, nulla può cancellare. La prima volta che uscii col mio Bibliomotocarro mi trovavo in un rione di Ferrandina che si chiama “Mpete la terr”. Ecco, il giorno che arrivai al Quirinale per essere premiato dal Presidente, mi ricordai con grande commozione che tutto era cominciato lì: ai piedi della mia terra. Questo, ovviamente, fa capire il percorso che ho fatto».

L’istinto mi dice che, prima o poi, qualcuno scriverà un libro su di te. E magari, chissà, un giorno una fiction ci racconterà la tua storia, aiutandoci ad “uscire con gli occhi, dopo essere entrati con la testa”, e queste sono parole che usi tu quando parli ai bambini. Fino a quel momento, quale libro consiglieresti ai nostri lettori più grandetti?

«Intanto i classici della letteratura per ragazzi! E poi i classici in generale. Che ti devo dire… io sono appassionato dei Promessi Sposi, dell’Iliade, dell’Odissea. Con i classici non si sbaglia mai. Adesso, per esempio, sto leggendo i miti greci, una bellissima iniziativa editoriale!

Una caratteristica, una peculiarità del Bibliomotocarro, è che non c’è un registro dei prestiti. La semina avviene sulla fiducia, ed è un atteggiamento importante perché si traduce in un “raccolto di responsabilità”: l’educazione al senso civico il Bibliomotocarro la fa così: lavorando ed investendo sulla fiducia».

Ti chiedo di essere per tutti noi, ancora una volta, un maestro. Quali sono i nostri compiti per casa?

«Ahahahah! Rido perché compiti per caso non ne davo, e questa era una delle ragioni per cui venivo criticato. Cercavo di far capire ai bambini che i loro compiti consistevano nel prendere sul serio il grande libro che li circondava, anche quando andavano a fare la spesa con la mamma. Oppure andare dal nonno e ascoltare un suo racconto. La scuola deve capire che il fascino della vita non si esaurisce nelle sue cadenze: dobbiamo guardare negli occhi dello stupore e della curiosità!

Una volta, in un paesino, stavo spiegando ai bambini la differenza tra nomi concreti e astratti. Ed un bimbo di chiese: “Maestro, proviamo a far diventare concreto un nome astratto?”. Che bella cosa, pensai. “E perché no? Ci proviamo!” risposi io. Così proposi loro di riempire un sacco, di quelli che si usano per il grano, mettendo dentro alcune cose per altri bambini che vivevano in un luogo di guerra. Riempirono il sacco e lo portarono fino al confine del loro paese, dove fu preso in consegna da altri bambini, e così via. Trasformammo la parola “solidarietà” in qualcosa di veramente concreto! Fu una cosa sacra!»

Maestro La Cava, un’ultima domanda. Questa nostra intervista finirà su LuciaLibri, in una rubrica dedicata proprio al Sacro: una rubrica il cui scopo è quello – attraverso la Letteratura – di restituire l’uomo alla sua trascendenza. In questo senso, che cosa c’è secondo te di “sacro” in tutto quello che fai?

«Il sacro è proprio nel gesto! Il Bibliomotocarro è un mezzo povero, umile, lento ed accessibile, che si presenta in modo semplice, e mi accorgo che sempre molti più adulti si avvicinano, oltre ai bambini. Per questo porto qualche libro anche per loro, soprattutto libri di poesia. E la poesia è sacra! Quante volte, attraverso la poesia o una bella pagina di Letteratura, ci “salviamo” in un momento difficile! Proprio ieri ero molto triste, senza neanche sapermi spiegare perché. Ho cominciato a leggere una paginetta di Alice nel paese delle meraviglie, e mi sono rasserenato subito. Una cosa è certa: un buon libro porta sempre con sé accenti di sacralità!»

Quindi il “sacro”, che di per sé significa “separato”, in questo modo diventa invece “accessibile”! E si realizza, perché il desiderio del sacro è comunicarsi.

«Esatto. E lascia una scia di sacralità perché soprattutto fa riflettere. Mi sorprendeva scoprire che ci fossero persone capaci di stupirsi, quando si accorgevano che il Bibliomotocarro esisteva davvero e non era solo una leggenda!

E un’altra cosa, il sorriso e lo sguardo di bambini! Vedere questi bambini che si girano e ti sorridono dalla macchina, dopo aver superato questa casetta su tre ruote! In tutto ciò c’è del sacro!»

Termina così questa intervista, lasciandomi gli occhi lucidi. Perché tante volte si parla di ciò che è sacro, ma sentire il Sacro che ti parla al telefono, o desiderare di correre in Basilicata per abbracciarlo, è tutta un’altra cosa!

Chi volesse aiutare il Maestro La Cava, Mastro Antonio, a tenere sempre ricco di libri per bambini – dall’età prescolare alla prima adolescenza – il suo Bibliomotocarro, può contattare Dadabio (all’indirizzo info@dadabio.it), progetto parallelo di LuciaLibri, e compiere un gesto meraviglioso. Esiste qualcosa di più sacro che leggere o scrivere un libro: donarlo. A tutti gli ordini che arriveranno entro il mese di ottobre si aggiungerà un’ulteriore donazione da parte di LuciaLibri e Dadabio: la spedizione giungerà direttamente nelle mani di Antonio La Cava.

Un pensiero su “C’è del sacro nel… Maestro Antonio La Cava

  1. Alteamaria Paola dice:

    Buonasera mi chiamo Alteamaria Paola Cuozzo ho 12 anni e vivo in una cittadina Pugliese-Manduria-in auto con mia madre ho ascoltato un intervista al Maestro La Cava.Amo tanto leggere e la mia passione e scrivere tanto.Ho pubblicato un libro “La mia ballerina” e vorrei donare alcune copie al Maestro come posso fare.Grazie

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