Nesbø, l’hotel-spa d’alta quota e i fratelli indecifrabili

Gli affari all’estero non vanno bene e torna a casa Carl, in Norvegia, dove è rimasto Roy, il fratello maggiore. Tornano a galla tutte le storie e gli intrecci del passato, riemerge il contorto profondissimo legame morboso fra i due fratelli, si continua a indagare sulla morte violenta dei loro genitori e su nuove magagne. Jo Nesbø ancora in libreria con “Il fratello”

Os, un podere montano del minuscolo paesino ai piedi del monte Ottertind nella Norvegia settentrionale. Settembre 2014. Inaspettatamente il 35 enne Carl Opgard torna dal Minnesota e sono nuovi guai, iniziati fin da quando il padre gli chiese, fragile 15enne, di dimostrarsi uomo e di uccidere il cane Dog, poi sgozzato invece dal protettivo duro fratello maggiore 16enne. Lo racconta lo stesso 36enne Roy Opgard, quasi vent’anni dopo, lui che è rimasto sempre lì a gestire la stazione di servizio e l’officina, burbero solitario silenzioso, dopo che i genitori morirono sulla strada di casa, sfracellandosi nello strapiombo all’altezza della curva delle Capre.

Un progetto turistico

Carl arriva su una nera Cadillac de Ville, un modello più recente dello stesso pesante veicolo che aveva avuto papà, a bordo c’è anche la graziosa esile minuta moglie Shannon Alleyne, carnagione bianca, occhi bruni, corti capelli rosso ruggine, lentiggine sulla radice del naso, originaria di Barbados, divenuta architetto in Canada (dove aveva appunto incontrato pure il futuro marito, impegnato come imprenditore in un progetto edilizio). Carl se n’era andato da casa quindici anni prima, a cercar fortuna, senza più farsi vedere. Era il cocco di tutti, effeminato e irresistibile amicone, alto e aitante, allegro e sempre ottimista, brillante cinico delicato compassionevole. Torna perché non gli sta andando molto bene all’estero e vuole proporre il grandioso progetto di costruire un hotel-spa d’alta quota, in modo di trasformare Os in una ricercata località turistica. Gran parte dei compaesani si lascia presto convincere e in un anno e mezzo ne accadono di cotte e di crude. Tornano a galla tutte le storie e gli intrecci del passato, riemerge il contorto profondissimo legame morboso fra i due fratelli, si continua a indagare sugli incidenti delle auto cadute nel precipizio e ora sulle magagne del nuovo progetto. Roy prova a tenersene alla larga, si ricrede pur di salvare Carl, possono uscire dai guai solo insieme.

Una primordiale relazione di sangue

L’ottimo talentuoso fortunato Jo Nesbø (Oslo, 1960), già calciatore di A, agente di borsa, giornalista, chitarrista e paroliere (spesso negli stadi con la sua band Di Derre), da quasi venticinque anni è famoso nel mondo per gli ottimi lunghi noir della serie Harry Hole (ormai siamo tutti tragici holeomani), ma scrive spesso altri interessanti romanzi di genere (quando non ha da suonare o arrampicarsi). Questa volta ne Il fratello (643 pagine, 22 euro), tradotto da Eva Kampmann per Einaudi, le peculiarità stilistiche sono varie: la narrazione è sempre in prima persona al passato (proprio del protagonista che usa parlare poco); l’ambientazione lontana dalla metropoli e fissa sullo sperduto selvaggio gelido ecosistema di monti, foreste, laghi, stradacce e piccoli agglomerati (la pompa in mezzo alla neve della copertina); il tema un’introspezione psicologica della potente primordiale relazione di sangue fra due fratelli (da cui il titolo), pur molto diversi, divenuti inseparabili durante infanzia e adolescenza, a costo di scelte morali sbagliate e vittime; lo svolgimento una specifica rete di gelosie e rivalità, odi e amori, interessi e alleanze, falsità e pettegolezzi della comunità in un piccolo posto, connessi a inevitabili accidenti e crimini di tante esistenze individuali (effimere e precarie).

Malvagità interiore

Possedere malvagità interiore è la ragione per cui il dolore di farsi del male è minore della gioia di poter trascinare a fondo con sé altre persone. Shannon preferisce il norvegese all’inglese, conoscendola meglio ma considerandola (forse) la lingua scritta più infelice del mondo; considera Sigrid Undset una sorta di second wave feminist; attribuisce correttamente il desiderio mimetico a René Girard: desideriamo quello che desiderano gli altri. Roy ama il blues sommesso e gli assolo (a solo?) minimalisti di J.J. Cale. Gli alcolici sono urgenti e abusati; molto ruota pure intorno al tabacco, in particolare allo snus americano (ben diverso da quello svedese)!

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