Tolstoj, la contraddizione tra finito e infinito è il motore di tutti

Ricco e famoso, apparentemente felice, Tolstoj medita il suicidio quando non ha ancora cinquant’anni. In “Confessioni” il genio russo ci fa assistere alla sua ricerca di senso, il suo discorso su e con dio. E, in forma di pensieri ed emozioni confessa i temi che nei suoi romanzi hanno le sembianze di personaggi: la riflessione sulla fede, l’amore per il popolo, per i semplici che vivono nel flusso dell’esistenza, senza avvertirne l’infelicità

A meno di cinquant’anni ha già raggiunto la gloria, pubblicato due romanzi che sono ritenuti da tutti dei capolavori assoluti, è ricco, ha una bella famiglia, è ammirato nell’alta società russa, è tremendamente infelice, pensa di suicidarsi, valuta se farlo con il cappio, un fucile, annegandosi. Sembra la descrizione di un personaggio di Tolstoj, è la descrizione che Tolstoj fa di se stesso. Nel breve testo che ha assunto il titolo di Confessioni (138 pagine, 10 euro), Tolstoj infatti racconta il percorso della sua anima, scossa dall’inquietudine, consapevole che ricchezza, fama, benessere materiale, non gli danno alcuna felicità, perché su tutto prevale la chiara evidenza dell’inutilità della vita. Perciò l’autore del Qoelet, il testo che proclama «vanità di vanità» ogni cosa terrena, e Schopenhauer, sono i compagni ideali di Lev, ed insieme a loro tutti quelli che hanno capito e proclamato che la vita è solo un percorso verso il nulla.

Analizzare il proprio cuore

Di fronte alla decisione di mettere fine alla vita, Tolstoj però vuole verificare l’esistenza di un’altra possibilità. Procede per affermazioni e contrario, va per esclusione e quasi paradosso. Come è possibile che milioni di essere umani continuino a vivere, anzi a trovare giusto e importante farlo? Davvero la fede si deve ridurre alle favole proposte e praticate dalla chiesa e non può essere qualcosa di più grande, più profondo?

Tolstoj è feroce ed acuto, nella capace di analizzare il suo cuore, i suoi pensieri, non indulge mai, non cerca attenuanti, riesce a leggere i movimenti della sua volontà e della sua ragione. Individua, con chiarezza, nel bisogno di migliorarsi, costantemente, la cifra caratteristica della sua esistenza. Aprendo il sipario sulla scena del suo cuore ci fa assistere alle vicende della sua ricerca di senso, il suo discorso su e con dio, dalla scommessa pascaliana del “facciamo come se esistesse”, all’abbandono alle pratiche devozionale come atto di umiltà e annullamento. Bene, benissimo, ha fatto l’editore Marietti 1820 a ripubblicare, nella preziosa ed elegante collana Agorà, il testo già edito nel 1996, accompagnato da un testo introduttivo di Pier Cesare Bori e da una nota sul testo di Maria Bianca Luporini, oltre che da alcune pagine di La ricerca della vera fede, che nel progetto dell’autore doveva essere un tutt’uno con le Confessioni e ne illuminano ulteriormente struttura e senso.

I temi dei capolavori diventano azione

Il sentimento della ricerca di dio, sentimento, precisa Tolstoj, e non ragionamento, la riflessione sulla fede, sulla necessaria coerenza tra fede e vita, l’amore per il popolo, per gli uomini semplici che riescono a vivere immersi totalmente nel flusso dell’esistenza, senza avvertirne l’infelicità, in pratica tutti i temi che nei capolavori di Tolstoj assumono le sembianze dei personaggi, diventano azione, sono qui confessati al lettore nella forma insorgente di emozioni, pensieri, ragionamenti.

Il punto di svolta si ha quando Tolstoj individua nello scarto tra finito ed infinito il cuore del problema. E non è questa, la contraddizione tra finito e infinito, l’energia che muove Anna Karenina, Levin, il principe Andrej, Pierre Bezuchov, e, forse, ognuno di noi?

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