Friedman, alle origini di Israele eroi normali e… arabi

“Spie di nessun paese” di Matti Friedman racconta le origini del Mossad e di Israele, ricordando le gesta di una speciale sezione araba. Disprezzati e discriminati dalle elite del sionismo che parteciparono alla nascita dello Stato di Israele, quasi tutti accantonati successivamente, alcuni ebrei nati e cresciuti in paesi islamici mostrarono il loro coraggio e la loro fame di giustizia da agenti segreti

Una spy-story vera, in cui c’è di mezzo l’embrione del Mossad, i servizi segreti israeliani, fra i più temuti al mondo. Alla costruzione del nascente stato ebraico, racconta Matti Friedman, che è nato a Toronto ma vive a Gerusalemme, contribuirono ebrei provenienti dal mondo islamico, in particolare un quartetto efficacemente ritratto in un libro di grande fascino, Spie di nessun paese (280 pagine, 18 euro). È la casa editrice Giuntina a proporre questo volume (tradotto da Rosanella Volponi) di un giornalista e polemista che raramente è passato inosservato, lavorando su fatti veri, documenti, archivi da poco disponibili al pubblico e anche interviste. Come quella a Yitzhak Shoshan, uno dei quattro protagonisti di questo suo ultimo libro, componente di un nucleo arabo di agenti segreti, insieme a Yakuba Cohen, Havakuk Cohen e Gamliel Cohen, che non ci sono più.

La rete segreta di uno Stato che non c’era

Non sono pagine cariche di chissà quali missioni rocambolesche o eclatanti, quelle scritte da Friedman. La storia di questi piccoli eroi normali alle origini di Israele è stata dimenticata o rimossa. Un po’ come accadde, quando nacque lo Stato d’Israele, a questi uomini della costola araba del Palmach, tecnicamente truppe d’assalto, attive con operazioni in Libano e in Siria, per creare incertezza e sabotare con imboscate le linee di comunicazione. Furono quasi tutti accantonati, come inizialmente erano disprezzati e discriminati, ed erano stati capaci di vincere molti pregiudizi, per contribuire alla causa di Israele. Ebrei ma nati in Stati arabi, ad esempio Yemen e Siria, fecero le spie, “interpretando” arabi musulmani, principalmente in contesti normali: a Beirut osservavano un angolo di mondo da un chiosco di una scuola elementare, vendendo panini o oggetti di cancelleria. Al fianco dei pionieri e dei kibbutzim, degli europei reduci della Shoah e di militanti di estrema sinistra, c’era anche una componente araba nell’impalcatura appena accennata di una rete di spie di uno Stato che non era ancora nato, fra la fine del protettorato inglese della Palestina e la contrapposizione con i palestinesi e i popoli vicini. Sarà Ben Gurion, primo premier israeliano, a sciogliere quel corpo ma, sottolinea Frideman, non si può non sottolineare il contributo degli ebrei nati nel mondo arabo alla costituzione di Israele, a cominciare da quelli sotto copertura. I cosiddetti “mistaravim” (capaci di “diventare come arabi”) erano sionisti coraggiosi e appassionati, di madre lingua araba, affamati letteralmente e non solo di giustizia.

Ragazzi comuni, ma non come tutti gli altri

Le spie che Friedman sottrae all’oblio sono ragazzi che vivono gioie e dolori comuni, a partire dagli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Ma non ragazzi come tutti gli altri. Senza chissà quale addestramento si muovono nella morsa di arabi, inglesi, simpatizzanti nazisti; senza particolari strumentazioni o tecnologie a disposizione (avranno una radio dopo un bel po’ di tempo), prendono parte comunque a missioni pericolose, facendo i conti in qualche modo con i loro stessi sentimenti, combattendo contro il mondo della loro infanzia, che devono contrastare in nome degli ideali israeliani. Ideali plasmati sì dal sionismo di tutti gli esuli dell’Europa, specie quella orientale, ma anche dai tratti mediorientali di questi giovani, non i soli, a scommettere su se stessi e a contribuire a una svolta storica. Dentro Israele, insomma, batte anche un cuore arabo, e forse per questo l’attualità dell’infinito conflitto israelo-palestinese fa ancora più male, guardandola da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare.

 

 

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