Debordante, colto e fantasioso. Mari e i ferri del suo mestiere…

Un piccolo trattato di letteratura comparata, un labirintico ipertesto, un’opera bulimica. Il tutto sorretto da un continuo citazionismo e da rimandi a personaggi e opere che hanno fatto la storia dell’arte, della scienza e della cultura. Ecco cosa è “Tutto il ferro della Torre Eiffel” di Michele Mari, una delle voci più importanti della letteratura italiana. Un pezzo, che ha quasi vent’anni, di pirotecnica fantasia e di abbagliante bellezza

Per chi è stato a Parigi e si è trovato ad attraversare magari distrattamente qualcuno dei Passages Couverts, quelle gallerie nate nel primo trentennio del XIX secolo per volontà del Barone Haussmann, a seguito del suo piano urbanistico razionalistico,  e magari lo farà ancora, perché a tutt’oggi i Passages mettono in comunicazione i boulevards della rive droite della ville lumière, dopo aver letto il libro di Michele Mari Tutto il ferro della Torre Eiffel (297 pagine, 12 euro), edito da Einaudi nel 2002, questi sicuramente appariranno sotto una luce diversa. È da questi luoghi, essi stessi evocativi del titolo del volume, sono infatti realizzati in gran parte con strutture metalliche, che nel romanzo (se è lecito affibbiare questa denominazione all’oggetto in questione) si apre un fantastico mondo fatto di eventi e personaggi letterari soprattutto (ma non solo) tratteggiato con scintillante fantasia da una delle voci più importanti fra gli autori nostrani contemporanei, uno dei pochi capaci di rendere la pienezza e ricchezza della lingua italiana e per la cui conoscenza Tutto il ferro della Torre Eiffel può essere la più valida porta di accesso.

La collezione di Walter Benjamin

È il 1936 quando Walter Benjamin si aggira nei Passages in fuga dalla follia nazista. Il filosofo e critico letterario tedesco, autore tra l’altro di Angelus Novus (e gli angeli sono spesso citati nel volume di Mari) ha da poco terminato (come accaduto nella realtà) il suo saggio epocale dal titolo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e si accinge a scriverne un altro su Baudelaire e uno su Kafka. Nel suo girovagare da flâneur nella gallerie parigine non si rassegna alla perdita dell’aura inflitta all’opera d’arte dalla riproduzione industriale e la insegue cercando di collezionarne feticisticamente gli oggetti più rappresentativi. Si trova così per tramite di svariate vicissitudini e incontri con più o meno strampalati e verosimili personaggi e protagonisti del Novecento letterario (la verosimiglianza uno dei concetti cardine di quest’opera di Mari) a collezionare oggetti d’affezione del panorama letterario del secolo scorso: dallo scarafaggio di Gregor Samsa della Metamorfosi kafkiana ai tre soldi dell’opera di Brecht, dai resti dell’aereo con il quale è precipitato Antoine De Saint-Exupéry alla pipa della celebre opera di Magritte Questa non è una pipa, fino a uno dei petali de I Fiori del Male di Baudelaire, per arrivare ai tre puntini sospensivi di Louis Ferdinand Celine verso il quale Mari non riesce a nascondere la sua predilezione su tutti gli altri, non fosse altro per il reiterato utilizzo nel volume dei tre puntini sospensivi come fa l’autore di Il viaggio al termine della notte. Tutti questi oggetti divengono cosa viva, da collezionare, perché nell’epoca dell’opera d’arte e della sua riproducibilità tecnica:

Il collezionista ha una grande superiorità sullo storico e sul filosofo perché accogliendo con affetto indistinto tutti i relitti del passato si propone come il più radicale critico del presente.

 Non dimenticando tuttavia che:

Quel presente non è che quel luogo in cui gli oggetti contano in base alla loro forza e utilità, e tu sai che queste parole, forza e utilità, non altro nascondono se non cimiteri di morti, cose morte, massacrate, dimenticate, dissolte.

Celebri e no, una galleria di artisti

Le ricerche del celebre critico tedesco e di Marc Bloch, lo storico francese con il quale entrerà in contatto, ampiamente rivisitato dall’eccentrica e scintillante penna di Mari, e che diventerà compagno oltre che di ricerche di sbronze di Benjamin, sono il pretesto per evocare una ricchissima galleria di artisti e di altri personaggi più o meno celebri, come Isidore Ducasse, Nicolas De Chamfort, Isadora Duncan, Sarah Bernhardt, Hugo von Hofmannsthal, Klaus Mann, il figlio del più celebre Thomas, fra i due si svolgerà una drammatica ed esilarante allo stesso tempo resa dei conti. Le loro fantasmatiche apparizioni sulla scena, come dimenticare quelle di Paul Celan, Joseph Roth, Carlo Emilio Gadda con la struggente lettera in occasione della morte della madre, o quella di Pessoa o di T.S. Eliot che scrive a Fritz Lang confessando la sua appartenenza (insieme a quella di altri insospettati esponenti del mondo letterario) a una società esoterica contigua al partito nazista, tutti tasselli che vanno a comporre una sorta di enciclopedia letteraria del novecento, verosimile anche se non storicamente inoppugnabile. È lo stesso storico Marc Bloch a dirlo:

Càpita, chi tratta la storia! È piena di imprevisti, la storia! Ha anche lei le sue gobbe! Pensi di scriverla e ci finisci dentro tu, nel libro!

Un labirintico ipertesto, un’opera bulimica, smisurata, che si apre oltre se stessa come un quadro di Pollock che con gli sgocciolamenti della sua tecnica del dripping sembrano suggerire la continuazione del dipinto oltre la tela, continuando in un altrove che il lettore, al quale nella poetica tipicamente postmoderna è richiesta un’attiva partecipazione, potrà andare autonomamente a indagare per effetto del continuo citazionismo e rimandi a personaggi e opere che hanno fatto la storia dell’arte, della scienza e della cultura.

Un sub plot e due detective

Tutto il ferro della Torre Eiffel trasuda erudizione letteraria da ogni poro, anzi da ogni paragrafo, tale è la divisione del volume nel quale questi sostituiscono i tradizionali capitoli, con un andamento vagamente poliziesco, un sub plot dell’opera (se di un plot principale si può parlare) è infatti lo scoprire da parte dei due detective improvvisati, senza dimenticare la presenza di uno dei coprotagonisti, quella del filologo medievale Erich Auerbach che si fa da tramite con i due per la ricezione di dispacci dalle più svariate parti del mondo, il motivo per cui molti personaggi di talento si siano suicidati negli ultimi anni, e come mai sulla scena del suicidio siano stati regolarmente visti aggirarsi dei nani, la cui presenza dà un sentore di costante minaccia, nani i quali in un breve inciso risultano essere i responsabili della morte di Luigi Pirandello. La debordante, ricchissima ed in molti casi esilarante aneddotica, non solo letteraria, mantiene un tono lieve a un’opera quale quella di Mari, sicuramente di non facile catalogazione e decriptazione, a partire dall’enigmatico titolo, ove se è chiaro il riferimento alle strutture metalliche dei Passages e a un breve riferimento al ferro dell’iconica torre parigina, risulta quantomeno fuorviante e degno di riflessione l’accenno alle supposte proprietà transitive del ferro: «perché si dice nel sangue c’è sempre del ferro e a sua volta nel ferro non può non esserci sangue» e ancora annoterà March Bloch in un suo taccuino: .

Poteri speciali del ferro. Il ferro protegge dalle malìe e dalle invidie dispettose: per questo è odiato dagli elfi e in genere dai demonietti di piccola taglia. Approfondire.

Sono queste brevi illuminazioni insieme alla varia aneddotica di quantomeno dubbia affidabilità a dare il tono a un testo onirico di coloratissima inventiva. Merita una citazione Monsieur Renault, proprio il fondatore della famosa casa automobilistica, il quale si scoprirà avere avuto un ruolo di primaria importanza nell’esito della seconda guerra mondiale o l’incontro di Walter Benjamin in uno dei Passages con Jean Vigo, durante la cui conversazione il regista dell’Atalante rivelerà essere nato proprio lì in quella galleria il cinema, o in ogni caso la prima forma di proiezione denominata “fantasmaparastasi”, la nascita della settima arte che così verrà sintetizzata dal regista: «L’opera che ti sa far vedere quello che non c’è in cambio di un po’ della tua anima».

Un rotolo infinito d’abbagliante bellezza

Tutto il ferro della Torre Eiffel può essere considerato un piccolo trattato di letteratura comparata contenente al suo interno biografie letterarie alternative, nel quale i tempi storici sono rimescolati; un po’ pastiche, un po’ romanzo, un po’  saggio, un po’ enciclopedia letteraria che indaga le infinite possibilità della letteratura, tanto da farsi domandare se esista veramente il mondo letterario e per esteso la veridicità e affidabilità della letteratura stessa, un’opera composta del più vario materiale: taccuini, lettere, dispacci e notiziari, nella quale realtà e artificio si confondono. Qualcosa che i denigratori definiranno semplicemente un libro per scrittori ovvero un’allucinazione tipicamente postmoderna. In qualsiasi modo si voglia definire questo strano oggetto libresco, senza una vera trama, un intreccio o qualcosa che gli assomigli, un’opera che sembra non poter finire mai come un rotolo infinito, come la letteratura stessa, e il suo finale granguignolesco, dalle tinte fosche, pieno di strepito e furore, che volendo parafrasare lo shakespeariano monito di Amleto, sarà anche senza alcun significato ma è di una bellezza truce e abbagliante nella sua pirotecnica fantasia, come tutto il romanzo di Michele Mari.

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