Fasanella, quelle madri segregate ma senza confini

Inseriti in una cornice comune, i racconti del volume “Madri” di Marisa Fasanella ci portano indietro nel tempo, quando chi non era considerato sano di mente veniva escluso dal vivere civile e sociale. E narrano di donne sfruttate, sottomesse, considerati oggetti, madri private dei figli

Storie di madri private dei figli, storie di donne abusate perché mentalmente insane e per questo non credibili, donne sfruttate e violentate, storie di uomini che considerano le donne oggetti utili solo a servire,  a soddisfare la loro sessualità e a figliare.                                                                                                                                           Tutto ciò accadeva nei manicomi ormai, per fortuna,aboliti da quarant’anni con la legge Basaglia. Per tantissimo tempo persone ritenute devianti, donne considerate inadatte al ruolo di mogli e madri in modo coatto venivano internate, dietro richiesta di chiunque segnalasse la presunta pericolosità e la biografia della poetessa Alda Merini ne è chiara espressione.

Gli appunti di un’evasa dal manicomio

I racconti contenuti in questa raccolta di Maria Fasanella, Madri (148 pagine, 16,50 euro) per Castelvecchi, propongono questi temi e ci portano indietro nel tempo, al tempo in cui chi veniva considerato nelle azioni e nel temperamento insano, veniva escluso dal vivere sociale e civile. La struttura dell’opera è molto originale perché i racconti s’inseriscono in una cornice che si può considerare affine alla cornice del Decameron di Boccaccio, infatti i vari racconti sulle storie delle mamme rinchiuse in manicomio sono effettuate da Lena che le appuntava in fogli e nascondeva nella sua borsetta rossa e poi, fuggita dal manicomio, racconterà all’uomo che suonava la fisarmonica nel giardino e adesso incontra mentre, seduto sul molo, rammenda le reti.

Contro ogni discriminazione

In ogni storia emerge sempre il cuore di donne-mamme che è come “gomitolo di lana, fili spezzati, fili annodati” vivono “il ricordo del primo latte, del primo taglio,della carne recisa. Non lasciarmi mamma…. Le donne… non hanno confini, non ci sono porte chiuse, chiunque può entrare” (dal racconto Magda). Per concludere l’autrice attraverso questi racconti sembra volere indurre i lettori a pensare e ad agire senza discriminazioni, guardando l’altro come suo simile, a prescindere  dalle sue condizioni  sanitarie ed economiche , pertanto è possibile asserire che l’insegnamento cristiano è sotteso alla narrazione perché solo attraverso l’amore nel suo poliedrico manifestarsi, la vita acquista valore, consistenza e significazione.

Al di là dell’originalità della struttura e dell’insegnamento implicito nei racconti, lo stile presenta alternanza di pagine caratterizzate da chiarezza e scioltezza espressiva, a pagine che sembrano riproporre  anche formalmente la presunta o reale alienazione mentale di Lena, la narratrice eterodiegetica delle drammatiche storie dei personaggi.

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