Area 22. Baharier e la profondità che abita il semplice

“Qabbalessico”di Haim Baharier fornisce un metodo, tratteggia un atteggiamento di prossimità al Mistero, non al “misterioso”; ti mostra che l’essenza della Qabbala non può essere spiegata o consegnata in un saggio o in un manuale, ma è frutto di quella ricerca che comincia dall’ascolto. Nuova puntata di Area 22

Qabbalessico. Sono quei libri il cui titolo è già tutto un programma inequivocabile su cosa ti aspetta: un composto neologistico che promette chiarimenti lessicali sulla Qabbala. Sì, ma non nel senso dell’esca attaccata all’amo. Un lessico c’è ma, per quanto organizzato secondo abitudini alfabetiche, non ci rimanda a significati usi a pagine di dizionario, ma a veri e propri “significanti” utili, piuttosto, ad organizzare un eventuale inventario.

Ripasseremo sul concetto. Passiamo all’Autore.

Un mercante di parole (e altro)

Baharier è un matematico, uno psicanalista, un filosofo personalista, un chassidico, un esegeta, un cabalista, un consulente d’azienda, un commerciante di pietre preziose e – come vedremo – un mercante di parole. Insomma, un ebreo. Anche se non l’ho letto da nessuna parte, sono certo che suoni senz’altro pure uno strumento, magari un violino.

Qui, dunque, c’è bisogno dell’etichetta, del marchio, del ghetto concettuale. Non per lasciarcene catturare né per promuoverlo o ideologizzarlo da un lato o dall’altro, ma per accedere a un mondo che magari crediamo praticabile solo da un senso di marcia, per poi entrarci dentro e scoprire che le direzioni (e dunque anche le possibili definizioni) sarebbero infinite. È necessario percorrere qualche piccolo passo verso l’ebreo che più ebreo non si può, e tornare poi indietro per un’altra strada, come i Magi, sapendo d’essere stati ad ascoltare un uomo la cui ebraicità riesce ad essere struttura senza che – necessariamente – si trasformi in sostanza. L’umanità, appunto, è la sostanza di questo Autore; l’ebraicità ne è la forma prossima, linguistica, simbolica e culturale attraverso cui si manifesta.

Il titolo, perciò, cela l’equivoco stesso della Qabbala: una parola che, sviandoti, ti riporta su una strada alternativamente percorribile, che magari non era quella che cercavi e che però, trovandoti a camminarci sopra, ti mostra ben più delle possibili mete che avevi in programma.

Dietro la brevità, il potenzialmente infinito

Qabbalessico, Giuntina, solo 76 pagine compresi i ringraziamenti ad Alberto e Magda, e solo 8 euro e cinquanta centesimi. Un manuale di brevità necessaria: unico approccio capace di sfidare il potenzialmente infinito. Piccoli capitoletti paragrafomorfi, che appena inizi a leggerli già li hai finiti. Tanto che, accortoti di quanto siano piccoli, li leggi e li rileggi ancora perché ti dici che magari ti sei distratto e non hai colto “quel” contenuto talmente grande da poter essere giustificato e compreso in così poche righe. Già, ed è proprio vero. Perché nascosti tra rade parole, tra concetti brevissimi e articolati all’essenziale, incontri proprio quelle cose che non pensavi di trovare: analogie e riflessi di meditazione talmente ben mimetizzati dietro il velo della facilità testuale da non accorgerti che erano tremendamente semplici, e dunque profondi!

Il libro di Baharier smaschera dunque, innanzitutto, l’equivoco di questa antinomia: facile e semplice non sono la stessa cosa, non lo sono affatto. Ciò che si mostra come “semplice” – ed è con questa naturalezza che l’Autore esprime i suoi concetti – rivela una profondità che i pensieri troppo facili, o i troppo facili approcci, non sono in grado di penetrare. La profondità, che dunque non significa per forza complessità di pensiero, abita il semplice, e lo abita con semplicità.

Le pagine del libro hanno il suono di certe frasi sussurrate in campagna, mentre si passeggia tra le verdure e le vigne, chiacchierando con un amico di cose serie, senza che ci si prenda troppo sul serio. Frasi dette lì per lì, a concludere o ad iniziare un pensiero, ma che lasciano trasparire un retroterra di meditati silenzi dove, come dentro a deserti, come dentro a camere oscure, hanno preso forma le immagini di ciò che gli occhi dell’interiorità hanno visto, a dispetto di tutto ciò che avrebbero potuto scorgere fuori. E nel fare questo, nel dar forma a questi pensieri, Baharier gioca con le parole, mercanteggiando sui significati più a buon mercato del senso comune, cercando di non svalutare – a vantaggio di un baratto inconcepibile – sensi ben più preziosi che non possono essere messi in commercio poiché non conoscono prezzo, ma solo valore. Le spiegazioni di fenomeni “semplici”, ma snocciolate attraverso vettori simbolici impensabili, ti fanno rivedere per la prima volta cose viste mille volte, prestandoti nuovissime possibilità di interpretazioni.

Un significato nascosto

Leggi e rileggi, capitolo dopo capitolo, e ti chiedi quando – finalmente – si comincerà a parlare seriamente di Qabbala, si comincerà davvero a distillare con rarefazione gnostica quell’esotico esoterico di cui l’occidentale secolarizzato va sempre a caccia! Ad un certo punto, quando credi ormai vana una tale aspettativa (che in effetti era viziata fin dall’inizio), e pensi che il titolo ti abbia definitivamente tradito, ecco che ti accorgi di come – parlando apparentemente d’altro – è di ALTRO che si parla! L’Altro per eccellenza, il Nome che nessun nome può contenere o governare e che, tuttavia, si nasconde nella mistica delle parole, nei segni. Lì cominci a mettere da parte, ad inventariare tutto un nuovo deposito di concetti che avevi già dentro di te, come libri disposti in una libreria con criterio geometrico, e che quello gametrico ha stravolto per riordinarli secondo parametri diversi. Avevi cianfrusaglie di pensiero che, rimesse in ordine attraverso un inquieto atto creativo, sono state separate in cose di sopra e cose di sotto: il ventoso disordine che aleggiava su idee e parole confuse ha dato forma al cosmo di un Significato nascosto.

Qabbalessico, dunque, fornisce un metodo, tratteggia un atteggiamento di prossimità al Mistero, non al “misterioso”; ti mostra che l’essenza della Qabbala non può essere spiegata o consegnata in un saggio o in un manuale, ma è frutto di quella ricerca che comincia dall’ascolto, dal non concedere alle cose la possibilità che esse significhino solo ciò che vogliono far credere. L’atteggiamento dell’andare oltre, ma senza la vanità di pensarsi necessariamente capaci di uno sguardo onnisciente. Un tentativo, piuttosto; uno strabismo ispirato dal divino e dalla fatica: quello di provare a cercare l’Altro oltre le cose immediate, di scorgere l’Assoluto nel semplice che sta dietro il facile e che facile non è.

Quando si entra in risonanza con questa intenzione, sobriamente incardinata in piccoli accenni di tradizione cabalistica che talvolta l’Autore concede, allora tutto comincia a parlare con una lingua nuova, ed hai già l’impressione di cosa dovesse essere quell’estasi che – ne sei certo – doveva afferrare quegli uomini barbuti, antichi, nerovestiti, felicemente intrappolati tra grappoli di lettere e di numeri, quando sentivano il Senso venir fuori dai sensi delle singole parole come da quelli del corpo.

Devi perderti se vuoi ritrovarti

Hai questa impressione perché Baharier, parlandoti in un certo modo, raccontandoti le cose nel “suo” modo, ti costringe ad una necessaria curvatura semantica: devi perderti se vuoi ritrovarti, devi rinunciare alle parole perché la Parola si riveli, devi smettere i panni della banalità ermeneutica e consegnarti all’intimità di rivelazioni più grandi, insospettabili.

È come la prima notte di nozze di Giacobbe, ma intesa tutta al contrario: pensi di andare a letto con parole smorte, che magari non hanno mai attirato la luce dei tuoi occhi, e con le quali – tuttavia – decidi di fare l’amore. Per poi scoprire, alla mattina, quando la luce illumina il talamo, che erano le parole che amavi, che avevi sempre amato, e che fino a quel momento non te n’eri mai accorto.

Sì, mi piace pensare a Baharier come ad una specie di Labano, un rokél, truffatore e fraudolento, calcolatore e avido. Ma tutto al contrario, perché ti vuol bene, e vuol darti in sposa la Parola, la sposa più bella. Ti truffa perché è onesto, ti froda perché non vuole che altri ti derubino di una preziosa occasione: calcola la sua strategia narrativa (tutta lì, nell’inganno di quel titolo) e intasca soddisfatto gli esiti della tua scoperta e cioè la meraviglia di scoprirti, se non ancora Isacco il Cieco, almeno uno che sta saggiamente cominciando a perdere la vista, per poter vedere meglio!

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