L’amico geniale di O’Hagan, romanzo di formazione per adulti

Se non riuscite ad immaginare quanta commedia, quanta tristezza, quanta storia c’è in noi, leggete “Effimeri” di Andrew O’Hagan. Ci ricorda le cose disimparate, ci fa capire quelle che ancora ci sfuggono e ci permette di apprenderne di nuove, necessarie a continuare il viaggio, magari in solitudine. Magari perché il nostro migliore amico non c’è più…

Totalmente conquistata da Effimeri (287 pagine, 18 euro), di Andrew O’Hagan, tradotto da Marco Drago per l’editore Bompiani.
Il romanzo – trasposizione letteraria delle vicissitudini autobiografiche del suo autore – non è giunto tra le mie mani per caso. Eppure, la ricchezza, l’intensità, l’incisività e lo spessore della trama, così come della scrittura, mi hanno felicemente sorpresa. Lo avevo puntato, non appena ne fu annunciata l’uscita in marzo, come fa un segugio allenato a scovare tartufi. Attratta innanzitutto dal richiamo dei volti in copertina. Spiccano parecchio. Connotano efficacemente il libro con la loro dirompente vitalità. Sorretti dal bianco e nero dello scatto, che allude a periodi storici ben precisi, lasciano indovinare la storia custodita dalle pagine, fatta di giovinezze, di anni «romantici, indignati, feroci e sublimi», di fabbriche, depressione, timori che si covano per le proprie vite.
Aggiungo che mi è particolarmente cara la Scozia e che, in virtù di tale affetto, negli ultimi tempi, mi sono concentrata particolarmente sugli autori scozzesi contemporanei e sui romanzi ambientati in quell’angolo del Regno Unito. Il richiamo di Effimeri è stato, perciò, ancor più incalzante.
Desideravo ritrovarmi nuovamente ad Edimburgo o a Glasgow. Magari in un pub, davanti ad una pinta di birra tra quella working class che, ancora oggi, mentre già si profilano all’orizzonte probabili effetti amari della Brexit e della pandemia, fa i conti con gli strascichi – sia economici che psicologici – del thatcherismo, l’immane tragedia collettiva che ha segnato a fuoco gli anni Ottanta.
Aspettative tutte ben riposte. Ho trovato nel romanzo quello che volevo ma anche molto, molto di più.

Quell’estate lontana, quell’autunno vicino

Effimeri è – detto in maniera estremamente sintetica – l’epopea di un’amicizia, costruita e sviluppata duplicando il romanzo in due narrazioni quasi autonome, che, saltando dal passato al presente, corroborate da un più che opportuno, quanto formidabile, cambio di passo del registro narrativo, lambiscono un arco di tematiche vastissimo. Si spazia, infatti, da contenuti politici e sociologici ad argomenti musicali legati all’area culturale indie e punk, per culminare, infine con la discussione sull’eutanasia.
I titoli delle due sezioni che compongono il libro compendiano assai bene il percorso erratico di questa fratellanza tra Jimmy Collins, detto Noodles, l’alias letterario di O’Hagan, e Tully Dawson, ispirato alla figura di Keith Martin, prematuramente scomparso, “l’amico geniale” dell’autore.
A pensarci meglio, più che intestazioni di capitoli, essi suonano come metafore. Azzeccatissime: Estate 1986; Autunno 2017. Cosa altro avrebbe potuto riepilogare meglio il destino di un tale fraterno sodalizio, se non il richiamo alle stagioni che per antonomasia sono rispettivamente il fior fiore e la maturità di ogni percorso esistenziale?

Musica e commedia

La prima parte del romanzo di O’Hagan è «tutta musica e commedia». Siamo a Irvine New Town, nell’Ayrshire. Noodles si ritrova, alle soglie dei diciott’anni, da solo, mentre attende di terminare la scuola superiore per poi andare all’università. I suoi genitori «smettono di essere genitori». Si separano e si trasferiscono altrove, per inseguire, ciascuno per i fatti propri, dei sogni che somigliano più a capricci infantili che ad aspirazioni legittime di realizzazione. A lui non resta che affidarsi a Tully Dawson, che «aveva vent’anni», solo due in più dei suoi e alla madre di lui. Quel Tully che «suonava in una band». «Aveva un carisma innato, una collezione di dischi notevole, un coraggio estremo nelle discussioni politiche, e sapeva come volerti bene più di chiunque altro. (…) Aveva i tratti del leader (…) il coraggio del classico frontman, e quando ci si trovava da qualche parte la prima cosa che ci si chiedeva era dove fosse.»
«Tully non era la farfalla, era più l’aria che la trasporta», pronto per un’avventura oltre le siepi dell’Ayrshire, nella quale si lancia, coinvolgendo, oltre Jimmy, l’intero gruppo di amici:  andare a Manchester al più bel concerto della storia, una commemorazione del punk rock che si sarebbe tenuta al centro congressi G-Mex.

L’estate del 1986 è il racconto di una esperienza destinata a diventare leggendaria: adolescenti dagli occhi luminosi che prendevano possesso delle vite, rincuorati, cantando in coro parole «sciocche e romantiche e mature e inglesi, fatte su misura» per loro. «Ciò che vivemmo quel giorno fu la nostra storia. (…) Forse il futuro avrebbe cambiato i nostri ricordi (…), o forse si sarebbe fondato proprio su quelli, nessuno lo sapeva. Ma sono sicuro di essermi reso conto allora che la storia di quel concerto e di come c’eravamo arrivati non sarebbe mai svanito».

L’esercizio dell’addio

Passano gli anni. Jimmy è un giornalista e scrittore di successo, e vive a Londra. Tully è diventato un insegnante e non ha lasciato la Scozia.
Purtroppo, però, non ci si può concedere «il lusso di dimenticare che tutto è effimero», che «l’umanità ha un tasso di mortalità del cento per cento». La seconda parte del romanzo è, allora, la cronaca della prova più dura a cui si può essere sottoposti: l’esercizio dell’addio. «Raggiungere il futuro è sempre stata una lotta». Autunno 2017 ripercorre le tappe più intense e dure di quella lotta, dal momento in cui il futuro prossimo, per uno dei due protagonisti, è la fermata finale. Tully ha ricevuto la diagnosi di un cancro terminale. Telefona a Jimmy per chiedere tre cose: che gli organizzi le nozze con la compagna Anna, che scriva un libro sulla loro amicizia, che lo aiuti a morire, portandolo in Svizzera.
«Induciamo la morte a essere orgogliosa di ghermirci». Il verso, tratto da Antonio e Cleopatra, diventa il motto con cui Tully giustifica la scelta dell’eutanasia.
Il cambio di registro di Autunno 2017 è stentoreo, ma necessario.

Un lungo abbraccio

Se Estate 1986 è un trentatré giri fatto andare alla velocità di un quarantacinque, e dunque il suo ritmo è vorticoso, qui la voce di O’Hagan / Jimmy rallenta fino a tornare regolare. Si fa, infatti, penetrante, calda, rassicurante. Si trasforma nel lungo abbraccio che non sarebbe stato neppure immaginabile negli anni Ottanta, quando la moda degli scambi di effusioni pubbliche maschili non era ancora arrivata. Se si assumesse che l’invecchiamento rappresenta l’ennesima fase della crescita, potremmo azzardare che anche in tale stadio dell’evoluzione gli uomini hanno bisogno di “romanzi di formazione”.
«Dicono che a diciotto anni non sai niente. Ma ci sono cose che sai a diciotto anni e che non sai mai più». Da questa prospettiva e da questo assunto, “Effimeri” è quel romanzo di formazione per adulti. Ne abbiamo bisogno per ricordare le cose disimparate, capire quelle che ancora ci sfuggono e per apprenderne di nuove, necessarie a continuare il viaggio, magari in solitudine, perché il nostro Tully del cuore è ormai altrove.
Se non riuscite ad immaginare quanta commedia, quanta tristezza, quanta storia c’è in noi, leggete Effimeri. Andrew O’Hagan, trascrivendo nel romanzo ciò che ha vissuto sulla propria pelle, ne mantiene viva la sostanza, per Tully, per sé ma anche un po’ per ciascuno di noi.

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