Mastroleo: “Firenze sfuggente e altera, anche quella dei libri”

“Firenze di carta” di Alessandra Mastroleo è una mappa letteraria del capoluogo toscano – Dante e Boccaccio solo numi tutelari – incentrata principalmente sul Novecento. “Firenze – spiega l’autrice – è scenografia di fughe d’amore e voraci passioni, come di uno scenario di crimini. Non solo capitoli monografici, ma anche tematici, per menzionare autori importanti che sarebbero stati tralasciati da un impianto rigidamente monografico. Questo libro è stato il pretesto per riprendere Sorelle Materassi di Palazzeschi e finalmente apprezzarlo”

Cosa accomuna Torino, Firenze e Roma? L’essere incluse nella collana Città di carta, del Palindromo, ma anche un fil rouge che, riprendendo la storia dell’unità italiana, ne ricorda il ruolo di capitale, passato dalla sabauda capofila risorgimentale, Torino, alla Firenze cuore culturale italiano, fino a Roma. Alessandra Mastroleo, autrice di Firenze di carta (264 pagine, 18 euro), la più recente delle guide letterarie della casa editrice palermitana, accompagna il lettore in un viaggio che si insinua tra la carta e la storia, tra la realtà e i mondi inventati dagli autori novecenteschi, svelando volti inediti ed eterne contraddizioni della patria del Rinascimento, e restituendo un itinerario grazie al quale la seconda capitale d’Italia ritrova tridimensionalità, tra Dante e i rifacimenti urbanistici fascisti, tra le torri medievali e i ponti saltati in aria, tra la pietra del Battistero e la frizzantezza dei quartieri popolari. Approfitto del legame che unisce, quasi come in una staffetta, gli autori delle Città di carta, e ne approfitto dunque per fare qualche domanda all’autrice di Firenze di carta, e lasciarci così accompagnare nella sua esplorazione letteraria della città. 

Partiamo dall’impianto generale di questa guida che, come le sue “sorelle”, dedica ampio spazio al Novecento. Firenze di carta si apre a fine Ottocento e arriva ad autori contemporanei: come ti sei destreggiata nella scelta delle voci alle quali dare spazio per allestire la tua guida? 

«Parlando del binomio “Firenze e letteratura” il pensiero di molti volerà subito a Dante e Boccaccio. Ma per inserire questa guida nella collana delle Città di carta, che è incentrata sul Novecento, era necessario focalizzarsi sull’ultimo secolo o poco più; così Dante e Boccaccio (ma anche altri autori del passato) fanno solo qualche comparsata attraverso le voci degli scrittori contemporanei, assurgendo piuttosto al ruolo di numi tutelari che aleggiano nelle pagine.

Per quanto riguarda quindi la scelta degli autori trattati, oltre alle voci imprescindibili in un testo incentrato sulla Firenze letteraria del Novecento, è entrato in gioco il fattore soggettivo, ossia ho selezionato gli scrittori e le opere che più si adattavano alla struttura del mio discorso, col quale intendevo ricostruire, attraverso la letteratura, le fasi storiche e urbanistiche della città focalizzandomi di volta in volta in alcune aree geografiche specifiche. Alla fine è risultata una concentrazione di narrazioni che orbitano prevalentemente attorno al centro storico. Il che può sembrare geograficamente ridondante, ma in realtà ha una sua funzionalità perché attraverso le opere letterarie e il vissuto degli autori si osservano questi stessi luoghi evolversi nel tempo, attraverso punti di vista e sensibilità variegati. 

Infine, essendo questa una guida letteraria, ho scelto di non puntare sull’esaustività del saggio accademico, ma selezionare gli autori in modo da creare dei percorsi per esplorare a piedi la città come una vera e propria guida di viaggio. Perché alla fine l’intento è quello: riscoprire un luogo, anche una città molto turistica e frequentata come Firenze, aggiungendo un nuovo livello di percezione, quello letterario, come fosse una realtà aumentata». 

Alcuni capitoli sono monografici ed esplorano con perizia l’opera di alcuni autori e tratti della loro biografia – accade, per esempio, con Campana o Pratolini – altri invece sono tematici, come succede per l’età fascista che raduna insieme diverse voci tra cui Montale, Malaparte, Banti: su cosa hai basato quest’architettura?

«L’impianto della guida ha iniziato a formarsi già nella fase preliminare del lavoro, mentre leggevo e raccoglievo il materiale. Come accennato prima, mi piaceva l’idea di ricostruire le fasi storiche e l’evoluzione urbanistica di Firenze attraverso la letteratura, associando ciascun periodo a uno o più scrittori rappresentativi, quindi ho cercato di selezionare i passi delle opere che erano più efficaci per dare forma alla mia idea. Così, mentre alcuni capitoli, data la mole di materiale raccolto, si prestavano a essere monografici, altri invece necessitavano di più voci, disposte in una sorta di staffetta, come nel caso del capitolo sull’occupazione nazifascista di Firenze e sulla lotta di Liberazione. Questa impostazione ha permesso inoltre di menzionare autori importanti che sarebbero stati invece tralasciati da un impianto rigidamente monografico».

Fin dall’apertura del libro viene sottolineata la coesistenza di due volti della città, spesso in contraddizione. C’è la Firenze medievale e Rinascimentale, che domina l’immaginario comune, ma c’è anche la Firenze viva, contemporanea; e allo stesso modo c’è la città simbolo di cultura, ma anche quella dei quartieri popolari. Come si conciliano, ammesso che lo facciano, queste anime contraddittorie, e quanto peso ha questa tensione irrisolta sulle narrazioni di Firenze nel corso del Novecento?

«Credo che coesistano e costituiscano parte del fascino di Firenze. Forse non si conciliano ma indubbiamente si amalgamano. Che poi – senza cadere nel banale e nell’ovvio – contraddizioni e conflitti convivono in gran parte delle realtà, ma a Firenze, proprio perché è una città così ricca e complessa, questi aspetti contrastanti sono particolarmente pronunciati. Del resto anche le rappresentazioni letterarie di Firenze sono spesso divergenti: si passa, per esempio, da una città che fa dà scenografia a fughe d’amore e voraci passioni a uno scenario di crimini, fosco e tentacolare come gli interstizi più oscuri della psiche umana».

È indubbio che la città di Firenze abbia avuto un ruolo di spicco in campo letterario e culturale anche nel corso del Novecento: come non pensare alle riviste, ai circoli culturali e ai tanti intellettuali che vi ruotavano intorno. Di questa effervescenza si parla anche in Firenze di carta, ci fai qualche esempio?

«In Firenze di carta si parla del ruolo di spicco che la città ha avuto in particolare nel primo Novecento, dove ad alimentare questo fermento c’era, su tutti, il Gabinetto Vieusseux, attivo ancora oggi, del quale tra l’altro Eugenio Montale fu presidente dal 1929 al 1938. Basta sfogliare il Libro dei soci – dove sfilano nomi da Leopardi e Manzoni fino a Schopenhauer e Dostoevskij – per rendersi conto dell’importanza culturale che il Vieusseux ebbe non solo per Firenze ma anche per l’intero paese, e di quanto abbia incentivato scambi culturali e dibattiti politici. A pochi passi dal Vieusseux, inoltre, c’era un’altra area ad alta effervescenza intellettuale: il triangolo dei caffè letterari in piazza della Repubblica composto da Giubbe Rosse, Paszkowski e Gambrinus. Ai tavoli di questi locali si è fatta la storia culturale dell’Italia primo novecentesca e qui sono nati movimenti e riviste letterarie come “La Voce”, “Lacerba”, “Solaria”, “Campo di Marte”, di cui si parla in particolare nel capitolo dedicato a Dino Campana, che pur essendo stato emarginato dall’establishment culturale dell’epoca, ebbe modo di entrarci in contatto».

Talvolta la Firenze di cui racconti, attraverso le parole degli autori, è una Firenze che non esiste più: quella dei quartieri come San Frediano, per esempio, quella di prima dei bombardamenti della seconda guerra, che cancellarono per sempre una parte consistente del volto medievale della città. Come hai esplorato questa Firenze che non c’è più? Hai fatto scoperte e trovato sorprese?

«Il primo indispensabile strumento sono stati i libri di storia locale che fortunatamente sono numerosi e facilmente reperibili nelle capillari biblioteche fiorentine. Qualche curiosa informazione l’ho reperita anche sulle primissime edizioni delle Guide Rosse del Touring, quelle degli anni Venti e Quaranta, interessanti per capire come era descritta Firenze dal punto di vista turistico prima dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Poi ho sbirciato gli archivi fotografici dei Fratelli Alinari, una delle più antiche aziende operanti nel campo della fotografia, fondata nella metà dell’Ottocento proprio a Firenze. E infine non posso non menzionare la pagina Facebook “Vecchia Firenze Mia”, che ringrazio anche al termine del libro, perché mette a disposizione generosamente un’infinità di foto senza le quali sarebbe stato difficile immaginarsi una Firenze che non c’è più e quella che per motivi anagrafici non ho conosciuto». 

Nei ringraziamenti citi, con ironia, Le sorelle materassi di Palazzeschi. Ci racconti di più su questo romanzo e sul tuo approccio con Palazzeschi e Firenze? 

«Confesso che anni fa avevo iniziato a leggere Sorelle Materassi ma mi ero arenata al primo capitolo. L’avevo abbandonato demandandolo a un secondo momento. Poi, con il pretesto di questo libro, ho deciso di riapprocciarmici in un modo diverso: fortuitamente ho iniziato ad ascoltare l’audiolibro letto da Paolo Poli sulla pagina di “Ad Alta Voce”, nel sito di Radio Rai. È stata una folgorazione: non riuscivo più a staccarmene, l’ho trovato coinvolgente, divertente, amaramente ironico. Penso che l’interpretazione di Paolo Poli sia magistrale e dia risalto a quella fiorentinità elegante che riverbera nello stile di Palazzeschi».

Mario Luzi è, nella tua guida, la voce poetica che racconta la città attraverso le sue suggestioni liriche e la carica di ulteriori significati universali. Come hai lavorato sulla poesia, e da cosa è nata la scelta di inserirla tra i testi selezionati per la guida? 

«In Firenze di carta ci sono due capitoli in particolare interamente dedicati alla poesia, incentrati rispettivamente su Dino Campana e su Mario Luzi. Il primo è stato un ottimo gancio per introdurre la Firenze delle riviste e altri autori coevi, il secondo non si poteva proprio escludere parlando di letteratura contemporanea a Firenze. Al di là del ruolo preminente rivestito da Luzi nella storia letteraria italiana, i suoi versi arcani ed ermetici sono disseminati di elementi poetici che richiamano, o più spesso alludono, a scorci e luoghi fiorentini, su tutti il fiume, quell’Arno che diventa metafora del continuo fluire della vita e dell’incessante scorrere del tempo. Del resto, lo stesso Luzi una volta scrisse: “Gran parte della mia vita è trascorsa a Firenze e spesso la città, il suo fiume, i suoi risvolti, sono entrati nei miei versi”. Oltre a questa foresta di simboli urbani, non dobbiamo dimenticarci che Mario Luzi ha dedicato spesso componimenti agli eventi storici che hanno segnato drammaticamente la città – la guerra, l’alluvione, l’attentato dei Georgofili – andando ad arricchire di nuove prospettive e riflessioni poetiche alcuni temi affrontati in Firenze di carta».

A volte la Firenze di carta è vista dallo sguardo di stranieri – autori o personaggi dei romanzi – che ambiscono a conoscere e vivere la città di cultura per antonomasia. Che cosa restituiscono queste prospettive sul volto della città? 

«Talvolta cadono nello stereotipo, altre volte restituiscono una giusta sensazione di stupore e ammaliamento per le bellezze alle quali noi siamo abituati, avendocele da sempre sotto gli occhi. Non manca tuttavia qualche voce più critica come, per esempio, Mary McCarthy che già negli anni Cinquanta denunciava un’urbanizzazione aggressiva e presagiva la turisticizzazione sfrenata della città. 

Spesso, soprattutto per gli scrittori stranieri tra Otto e Novecento, Firenze si presenta come una scenografia perfetta per passioni voraci e rinascimenti spirituali; è una città che per il forestiero dissipa la noia, ispira sentimenti e dispensa emozioni soprattutto attraverso l’arte figurativa che scalda i cuori e predispone a cambiamenti e rivelazioni. È il caso per esempio delle protagoniste di Il giglio rosso di Anatole France e di Camera con vista di Edward Morgan Forster, che fuggono da esistenze diafane e frustranti per trovare a Firenze, sotto l’egida di tanta arte, rinnovate pulsioni di vita». 

Dedichi un capitolo speciale alla Firenze raccontata dai reportage di viaggio, in particolare parlando di Piovene: da cosa nasce questa scelta?

«Nei diari di viaggio si trovano spesso impressioni pregnanti per capire la città com’è percepita da chi viene in visita. Pur essendo una guida incentrata sulla narrativa, mi sembrava che alcune di queste testimonianze avrebbero impreziosito i temi trattati attraverso le pagine dei romanzi e dunque, dopo averne fatto una cernita, le ho distribuite nei vari capitoli. Nel caso specifico di Piovene ho deciso di dedicargli un capitolo perché col suo Viaggio in Italia mi dava l’opportunità di procedere cronologicamente nella mia narrazione della Firenze letteraria parlando della città postbellica, in particolare della ricostruzione negli anni Cinquanta e della figura del sindaco La Pira. Nella sua breve visita Piovene riesce a cogliere la vitalità della Firenze di quegli anni che, come in altri periodi precedenti della sua storia, è stata una “città sperimentale”, un grande laboratorio per “tutti i possibili esperimenti in campo sociale e politico” dove “tutto vi sembra detto, provato, previsto, quasi da un intelletto che spinga la prova all’estremo per meglio poterla osservare”». 

Come testimonia la bibliografia del libro, hai fatto molte ricerche e letto decine di libri: c’è, in questa folla di autori, qualcuno che ti ha particolarmente colpita e che, senza questo lavoro, non avresti mai conosciuto?

«Come già accennato, il libro è stato il pretesto per riprendere Sorelle Materassi e finalmente apprezzarlo e, sempre per rimanere in tema Palazzeschi, per scoprire le Stampe dell’800, quadretti di costumi, vezzi e bizzarrie della Firenze fin de siècle, in particolare del mondo piccolo borghese e popolare. Ci sono altri libri che sicuramente non avrei intercettato se non fosse stato per questo lavoro, come per esempio tutti i romanzi di Magdalen Nabb, purtroppo fuori edizione da anni». 

Come accade a molti autori delle Città di carta, sottoscritta compresa, anche tu non sei di Firenze, ma conosci molto bene la città: pensi che lo sguardo esterno ti abbia aiutata a individuare dettagli significativi e contraddizioni altrimenti non visibili? 

«Piccola premessa. Lavorando a questa guida ho avuto la sensazione che Firenze sia a volte sfuggente e risulti difficile conoscerla bene: è come una signora che sfoggia i suoi gioielli affinché siano ammirati da frotte di persone provenienti da tutte le parti del mondo, ma quando poi provi a entrare in confidenza, lei si rinserra, barricata tra le sue spesse mura medievali e portoni borchiati, raccolta in un dignitoso riserbo non privo d’alterigia. Un carattere che si riflette nelle sue architetture, come descritte da Magdalen Nabb in uno dei suoi romanzi: “Questi palazzi fiorentini sono come fortezze, costruiti per tenere la gente a distanza, non per invitarla ad entrarvi”.
Quindi non saprei dire se il punto di vista esterno mi abbia svantaggiato oppure, al contrario, mi abbia aiutato a cogliere dettagli altrimenti invisibili a un autoctono. Penso che il mio essere toscana ma non fiorentina, e l’aver vissuto, studiato e lavorato in città tanti anni, oltre all’aver frequentato alcuni luoghi di cultura intrisi di storia letteraria, come il Vieusseux e la Biblioteca nazionale centrale, mi abbia aiutato a sviluppare uno sguardo sulla città “basculante”, tra immersione e distacco, un po’ come tanti stranieri a cui Firenze ha dato ospizio. Forse la distanza mi ha aiutato a non dare per scontate cose che invece per un fiorentino sono abbastanza note e risapute, a indagare ciò che un autoctono ha assimilato come familiare e quotidiano. Alcune divagazioni, per esempio, possono essere superflue per uno che a Firenze c’è nato, ma la guida ovviamente è rivolta a un pubblico più ampio, quindi le ho ritenute necessarie». 

Com’è andata, invece, con l’esplorazione attiva della città, quella che ti ha permesso di ricercare strade, vie, piazze incontrate tra le pagine e verificare l’esistenza reale e la possibilità di inserire quindi punti di interesse nella mappa che correda il libro? Ho notato che hai fatto molta attenzione alle targhe che, di pietra in pietra, costellano la città tra citazioni dantesche e ricordi della tragica alluvione: ci racconti qualche curiosità in cui sei incappata?

«Le mie esplorazioni letterarie a Firenze sono iniziate in tempi non sospetti, molto tempo prima di scrivere Firenze di carta e della nascita del mio sito dedicato ai luoghi letterari (turismoletterario.com). Quindi molti appunti e foto li avevo già raccolti per interesse personale nel corso degli anni. In occasione della stesura di questo libro, ho ripercorso strade che in gran parte mi erano già note, ma con uno sguardo più attento. Ci sono state nuove scoperte: oltre alle citazioni dantesche e alle targhe dell’alluvione, piuttosto evidenti anche per chi si aggira nel centro di Firenze alzando lo sguardo pochi centimetri sopra le vetrine dei negozi, le più curiose che ho notato sono state le lapidi degli antichi “bandi”, ossia le norme da rispettare che la magistratura degli Otto di Guardia e Balìa affiggeva su strade e piazze. I divieti sono vari, tutti volti a preservare l’ordine pubblico: si va dal divieto di fare schiamazzi e giocare a palla a quello di meretricio, dal divieto di suonare o cantare canzoni in alcuni luoghi a quello – limitatamente a piazza Strozzi – di “vendere cocomeri, frutta e ferrivecchi”».

Il libro si conclude con un’intervista a Marco Vichi, tra gli autori contemporanei protagonisti di un capitolo con le sue storie fiorentine del commissario Bordelli. Volgendo a te una delle domande che fai a lui, infine, come la pensi sui luoghi letterari e sul loro potenziale culturale e turistico?

«Questa è una bella domanda e me lo chiedo spesso soprattutto quando mi imbatto in chi depreca con un certo snobismo operazioni anche turistiche per la valorizzazione dei cosiddetti “luoghi letterari”, quasi fosse svilente per la letteratura, ammantata di chissà quale aura sacrale. 

Concordo pienamente con le parole di Vichi nell’intervista che chiude il libro quando dice: “Cercare di conoscere più a fondo il mondo di uno scrittore che amiamo, emozionarsi vedendo le stanze dove scriveva o dormiva, o i luoghi dove ha ambientato certi suoi romanzi, cosa può avere di sbagliato?”.

Io vedo nei luoghi letterari un grande potenziale in molteplici direzioni. In primis spinge un lettore a scoprire luoghi nuovi o a vedere luoghi noti con occhi nuovi, invogliato dal fatto che uno scrittore amato vi ha vissuto o ambientato opere letterarie; di converso, visitando luoghi che promuovono il proprio patrimonio letterario, è possibile scoprire autori che non si conoscono ed essere incentivati a leggerli; infine, il turismo letterario può essere in alcuni casi una declinazione del turismo lento, promuovendo piccoli borghi meno noti ma che possono trovare un importante volano per la loro valorizzazione nel legame con gli scrittori che li hanno frequentati. Tra i primi esempi che mi vengono in mente ci sono la Marradi di Dino Campana in Toscana, la Pescina di Ignazio Silone in Abruzzo e la Tricarico del poeta Rocco Scotellaro in Basilicata, ma la lista potrebbe essere – per nostra fortuna – davvero lunga». 

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