Di cosa parliamo quando parliamo di Nadia Comaneci

L’equilibrio e la libertà, la perseveranza e la gratitudine. Sono gli insegnamenti di Nadia Comaneci nel libro autobiografico “Lettera a una giovane ginnasta”: dall’infanzia al primo dei 10 perfetti della sua carriera, dalle cadute alla fuga dalla Romania comunista, alla rinascita negli Usa. Sempre nel nome del coraggio, della disciplina, della ricerca e del superamento dei propri limiti

Non al denaro non alla gloria, né ai record. Nadia Comaneci, incarnazione sportiva della perfezione, pensava semplicemente, perennemente, a migliorarsi, un desiderio inesauribile di volteggiare, dissimulando emozioni, facendo i conti con dolori fisici quotidiani. Eroina di un’epopea romanzesca, regina di uno sport senza sponsor e della Romania del razionamento del cibo e del terrore della Securitate, Nadia Comaneci – da piccola un maschiaccio dall’energia incontrollabile che amava giocare a calcio – era una bambina che non conosceva i propri limiti. E che, quattordicenne, li superò. In nome di un’etica dello sport che forse oggi fa sorridere, ma che non vediamo in nessun presunto fenomeno con più contratti pubblicitari che successi.

Che ne sapevo di gloria a dieci anni? Per me, gareggiare era pensare alla gara seguente, ancora e ancora, una volta dopo l’altra. Si trattava di migliorare il corpo, la mente, di superare frustrazioni, rabbia e gelosia cosicché, in un momento di fuoco, il corpo potesse diventare uno strumento guidato da un’eccezionale concentrazione e determinazione.

Partire per la luna

Questo libro è tutt’altro che autocelebrativo. Comaneci non mostra invidia o cattivi pensieri per le avversarie, esalta il lavoro di squadra, le compagne di un tempo, ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alle imprese che portano la sua firma. A cominciare dal suo storico allenatore, il leggendario Bela Karolyi, vincente, ma autoritario e crudele, che elargiva pochissime calorie alle proprie atlete e, se le beccava con la luce ancora accesa a tarda sera in camera, le obbligava a correre in pigiama sotto la neve. «Se una bambina vuole solo giocare, è giusto che segua un programma strutturato per il gioco. Se invece vuole partire per la luna allora deve lavorare con Bela»

Coraggio o disperazione

In ogni passo della carriera e dell’esistenza di Nadia Comaneci («Ero cresciuta in un paese comunista e non avevo conosciuto nient’altro»), oltre all’ardore e all’ardire sportivo, una componente essenziale è stata il coraggio. Nella consapevolezza che non sempre la definizione di coraggio è quella che si può leggere in qualsiasi vocabolario.

Ogni tanto mi domando se il coraggio non sia solo un’altra maniera di chiamare la disperazione.

Nadia Comaneci – probabilmente la migliore tra gli sportivi di ogni tempo e di qualsiasi disciplina – nel 2004 si raccontò in Lettera a una giovane ginnasta (224 pagine, 21 euro), volume che adesso è possibile leggere anche in italiano, grazie alla traduzione di Lucio Ruffo di Calabria e a Il Saggiatore, casa editrice che ha deciso di proporre questo titolo. Certi giovanotti di oggi potrebbero leggerlo e andare a rivedere su YouTube l’esecuzione alle parallele asimmetriche di Montreal 1976, primo 10 olimpico di sempre, esecuzione di inarrivabile perfezione. Raccontata in una manciata di pagine dopo la numero 60.

Viaggio al termine della disciplina

Nadia Comaneci scava a fondo nella propria memoria, in quella della Romania e degli uomini del disonore che a lungo l’hanno governata, sorvolando sugli elementi di gossip o sugli angoli oscuri della propria vita (il presunto fidanzamento con il rampollo dei Ceaucescu, la rocambolesca fuga dal proprio Paese, grazie a Constantin Panait, e le di lui pressioni psicologiche). Il suo è un viaggio al termine della disciplina, una storia (anche d’amore, col marito Bart) dal lieto fine, la realizzazione dell’american dream (ma prima stava lentamente rifacendosi una vita in Canada, nella Montreal del suo successo imperituro…). L’equilibrio e la libertà, la perseveranza e la gratitudine. Sono le cose che riesce a raccontare, a insegnare se vogliamo, con apparente semplicità un mito che cammina ancora sulla terra leggera e consapevole…

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