Moretto e l’inafferabile fenomeno calcistico atteso come Godot

Ambientato nel 2024, “Finale di Stagione” di Lorenzo Moretto è una piccola distopia calcistica in una forma stilisticamente postmoderna. Protagonisti un baby campione misterioso e un osservatore calcistico. Uno sguardo al dietro le quinte del calcio, mega-allucinazione collettiva, attraverso un libero fluire di pensieri che sembra trasformare il romanzo in saggio

Il campionato di calcio è da poco iniziato per la gioia di alcuni e il fastidio o l’indifferenza di altri. Le squadre in alcuni casi sono ancora imballate dalla preparazione estiva (uno dei tanti stereotipi del mondo pallonaro) che in ogni caso tornerà utile con il passare dei mesi e nella prospettiva di un finale di stagione brillante e foriero di successi. Il romanzo di Lorenzo Moretto Finale di stagione (66thand2nd – 2022 – 219 pagine, 15 euro) è invece comparso nelle librerie lo scorso finale di stagione calcistica, maggio 2022, e il suo titolo può fornire delle suggestioni vagamente beckettiane che vanno oltre il giocare col titolo di una delle opere teatrali più note del drammaturgo e scrittore Premio Nobel, nella fattispecie Finale di Partita, titolo del dramma ad atto unico di Samuel Beckett che trae ispirazione dal modo in cui viene definita l’ultima parte di una partita a scacchi quando sulla scacchiera non sono rimasti che pochissimi pezzi. Uno dei due esergo al volume, questa volta tratto da In nessun modo ancora dell’autore irlandese è un altro indizio della vocazione beckettiana (o aspirante tale) dell’opera di Moretto, nella quale spicca in qualche modo l’attesa di un Godot che in questo caso reca il nome di Marék Slońce, misterico fenomeno calcistico emergente e inafferrabile (nel vero senso della parola), promessa del pallone europeo sulle cui tracce si mette Nick Malacrea (il protagonista del romanzo), osservatore quasi per caso di talenti per l’Unione Triestina nella speranza di salvare la squadra della sua città da una stagione fallimentare che già a metà campionato prospetta una retrocessione certa in serie B. L’immobilità, l’attesa della venuta di qualcosa o qualcuno che non arriverà mai: Marék Slońce come Godot?: «Il giorno dopo l’abbiamo visto giocare. Era davvero bravo. Il calcio moderno è pieno di superstizioni, tutte da rispettare, e a volte assomiglia ad aspettando Godot».

Il calcio metafora dell’esistenza

Il secondo esergo al romanzo di Moretto è di tale Simon Kuper, giornalista sportivo e scrittore del quale ignoravo l’esistenza, originario dell’Uganda ma naturalizzato britannico, il quale ha scritto soprattutto di calcio ed entra nel romanzo con la seguente frase che ha la lapidaria forza di una sentenza: “La regola fondamentale è che più un paese è disperato più il calcio è importante”. Anche Dino Risi a suo modo l’ha detto. Il regista di Il Sorpasso si domandava cosa sarebbe successo se durante il rapimento Moro si fossero svolti i mondiali di calcio oppure come non ricordare i vari commentari di tipo estetico sul calcio di Carmelo Bene che pur facendone un elogio si domandava se allo stato dell’arte attuale, erano gli anni ‘90 ma il concetto è applicabile ai giorni nostri, cosa trovassero tutti quanti in ventidue uomini in mutande che corrono dietro a un pallone. Questo in un paese come il nostro nel quale, si sa, ci sono sessanta milioni di commissari tecnici.

Il romanzo di Moretto ruota quindi intorno al mondo del pallone nella quale è immersa la vita del suo protagonista. Il calcio diventa metafora dell’esistenza stessa con le scorie che si depositano per le sconfitte rimediate, la vanità e illusorietà delle vittorie e della società che ci circonda: iper-competitiva, fluida, schiava del profitto, nevrotica e con molti scheletri nascosti in tutti gli armadi.

Uno sfuggente baby fenomeno

Ambientato nel 2024, Finale di Stagione assume la forma di una piccola distopia calcistica in una forma stilisticamente postmoderna nella quale il protagonista è alle prese ed in attesa del colpo della vita, un destino che può cambiare improvvisamente e che nel caso specifico ha un nome: Marék Slońce, il misterioso fenomeno sparato come un ologramma nei circuiti neuronali digitali dal e nell’immaginario degli addetti ai lavori: procuratori, osservatori, intermediatori, tramite canali specialistici che rilanciano contenuti fatti di pixel, video di dubbia originalità assemblati da testate online che sono scatole cinesi legate a doppio filo agli speculatori calcistici  che creano il caso e i rumours su un determinato nome pronto a diventare l’oggetto dei desideri e sul quale nello specifico Nick Malacrea si fionda come un’aquila in picchiata per il colpo della sua vita e per la salvezza della “sua” disastrata Unione Triestina. Marék Slońce sembra una chimera, pare avere il dono dell’ubiquità: avvistato su tutti i campi dell’est Europa ma mai intercettato, un mostro pluricefalo e inafferrabile la cui ricerca assomiglia a quella del Sacro Graal, al fine di procacciarsene “le prestazioni sportive”. Nick, in compagnia di improbabili collaboratori si mette sulle sue tracce inseguendolo per gran parte dell’area danubiana e dell’Europa orientale. Le sue passate esperienze nel calcio giovanile nei campetti di provincia delle sue terre sono la piccola palestra di quella che sarebbe stata la sua vita adulta da osservatore e procacciatore di talenti per la sua squadra che ora, grazie all’auspicato arrivo dello sfuggente baby fenomeno, spera di riuscire a far permanere nella massima serie.

Mi ero sentito sempre diverso. Con grande impegno, studio e applicazione avevo cercato di alimentare questa diversità, ma poi eccomi qua: Cos’ero diventato? Non uno sportivo, non uno studente, sicuramente un impostore.

Oltre la superficie patinata

Anche nel calcio c’è sempre qualcosa che va oltre la superficie patinata di ciò che vediamo. Queste sono le dinamiche economiche e finanziarie che sono oscurate da ciò che accade nel rettangolo di gioco. È il sottomondo taciuto dai network televisivi che ovviamente devono garantire solo lo spettacolo e gli introiti. Le piccole-grandi nevrosi del mondo del calcio devono esse taciute e microcosmo e macrocosmo del mondo del calcio possono essere scandagliati solo da chi li ha vissuti in presa diretta. Così il nostro piccolo eroe, Nick Malacrea e chi, incrociandolo, per suo conto ci parla di tutti quei vizi e pose della vita fuori dal campo di gioco dei calciatori professionisti, con tutte le precauzioni degli stereotipi del caso lussuosa e a suo modo coatta: partite alla play station, smaneggiamenti sui social network e tatuaggi ovunque. Ma anche del sottobosco del mondo della finanza che governa il calcio e delle scommesse clandestine intorno alle partite, una realtà in molti casi misconosciuta e destinata a rimanere sottotraccia.

Il titolo della seconda parte del romanzo è opportunamente “Le cose dietro il sole”. Quelle cose sono le nevrosi, i retroscena, i vizi e le pose del calciomercato, con “i suoi algoritmi” e i cellulari che impazziscono sulle linee di procuratori, osservatori e faccendieri del calcio che si connettono da ogni parte del mondo attingendo da fonti finanziarie in molti casi ambigue: «Le logiche finanziarie dietro il calcio sono sfuggenti, per usare un eufemismo. È un’industria che riceve grossi innesti di capitali, spesso di provenienza ambigua, per usare un eufemismo ancora più grosso».

L’arrivo all’Unione Triestina di una manager esperta in finanza e management, formatasi nelle migliori università e in giro per il mondo con occupazioni tra banche di affari e investments funds ha la potenza della caduta di un meteorite. I trasferimenti di giocatori da una parte all’altra del globo avvengono a suon di strani giri di lettere di credito, fideiussioni, certificati di garanzia mentre “dietro il sole” traspaiono quei territori del calcio che non appariranno in nessuna rassegna stampa e che lambiscono quelli delle scommesse, per mano di abili analisti e faccendieri ipertecnologici sempre pronti a immettere video, reports  e statistiche sui canali digitali per la loro cerchia di adepti che sembra assumere le sembianze di una confraternita ove il pesce più grande mangerà il più piccolo.

Un romanzo-saggio?

Il lavoro di Moretto si direbbe frutto di un lavoro di squadra, come quello di un’onesta compagine di successo. Le numerose stesure del libro di cui l’autore parla nei ringraziamenti finali con la citazione di tutti coloro che sono stati coinvolti fa pensare quindi a una sorta di romanzo collettivo che nonostante l’accuratezza della scelta e la terminologia tecnica adoperata, non dà mai in ogni caso l’impressione di poter decollare fino in fondo, accorgendosi a fine lettura che ciò che rimane non è molto di più che un’indagine, tecnicamente accurata e coinvolgente per stile e linguaggio sul mondo del calcio ed il suo sottobosco ma senza un minimo di dissonanza, turbamento, inquietudine o trascendenza, e “anche” questo è richiesto alla letteratura. Strada facendo la forma si fa sempre più spezzettata, vi convergono le voci più disparate di chi ha incontrato o solo avvistato Marék Slońce e di chi ha avuto a che fare con Nick Malacrea: i suoi collaboratori, la ex moglie, i calciatori della Triestina sull’orlo del tracollo, in un fluire indistinto di e mail, resoconti, stralci di notizie dai giornali, post dai social, lunghe disquisizioni pescate da forum di tifosi e siti di calciomercato, monologhi interiori, una granaglia di scritture e un linguaggio che sembra implodere su sé stesso creando un vortice allucinatorio nel quale il protagonista stesso è risucchiato, tutto questo spesso con uno sfoggio nozionistico e di riferimenti storici (calcistici e non) a tratti esasperato e che alla lunga può causare stanchezza, ma del resto è il calcio a essere una mega-allucinazione collettiva, un ipnotismo di massa per paesi più o meno disperati. Spesso sembra di assistere a un libero fluire di pensieri intorno al calcio, un diluvio raziocinante che dà al volume di Moretto la forma ibrida del saggio.

Una traversa colpita a porta vuota

Una frase gettata in campo sul finale del romanzo «Senza linguaggio hai perso il passato» sembra essere il più valido epitaffio al destino (amaro destino scopriremo) di Nick Malacrea, in un finale comunque intrigante e che assomiglia a un viaggio allucinato nell’Ade dei fuoriclasse del pallone di tutti i tempi. Rimane tuttavia in Finale di Stagione l’impressione di qualcosa che non è decollato, che ti lascia perplesso come un tiro a porta vuota che finisce sulla traversa, di un qualcosa di inespresso, anche se la vita in fondo è un po’ così e il calcio può esserne considerata una metafora: le vittorie e le sconfitte che tardano sempre ad arrivare oppure quando quel qualcosa arriva accorgersi che non è quello che ci saremmo aspettati, come nel caso di Nick Malacrea.

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