I “sette libri per l’autunno” di… Giorgia Tribuiani

Giorgia Tribuiani (nella foto di Basso Cannarsa) si affida a classici intramontabili per suggerire sette esperienze di lettura tutt’altro che convenzionali. Spazia fra generi e autori, la scrittrice abruzzese – “Padri” il suo più recente romanzo – che firma la più recente puntata della nostra rubrica più amata (qui gli altri contributi)

“Il soccombente” di Thomas Bernhard (Adelphi)

Ho letto questo romanzo a diciannove anni e, ad oggi, non sono riuscita a trovarne un altro in grado di raccontare l’ossessione in un modo così deflagrante. Al centro della storia ci sono tre pianisti, tre allievi del grande Horowitz, ma uno di questi è Glenn Gould, inarrivabile e geniale: prendendo le mosse da qui, Bernhard mette in scena l’antico dramma del talento di fronte al genio, e lo fa con il suo celebre stile e con la sua celebre divisione in paragrafi (ce ne sono tre in tutto il romanzo!) in grado di stritolare il lettore trasformando la scrittura nell’ossessione stessa.

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“Nel labirinto” di Alain Robbe-Grillet (SE)

Se di Bernhard ho amato il legame inscindibile tra tematiche e stile, nel romanzo di Robbe-Grillet è l’architettura, la struttura della narrazione, ad avermi colpito per la sua capacità di potenziare l’esilissima storia: Nel labirinto è, a tutti gli effetti, un labirinto. L’azione che guida le scene, quella di un soldato che deve consegnare un pacco a una persona sconosciuta, si rifrange nei vari luoghi del romanzo (una stanza, un corridoio, una città deserta) avvolgendosi su se stessa come in un gioco di specchi. La trama è appunto esilissima, eppure il magnetismo provocato dall’avvicendarsi delle scene e dalle loro contraddizioni, come un incantesimo, non consente di interrompere la lettura.

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“Il figlio di due madri” di Massimo Bontempelli (Utopia)

Per me la scoperta dell’anno, e ringrazio di cuore la casa editrice Utopia per aver scelto di ripubblicare l’opera di Bontempelli. La storia prende le mosse da una scena perturbante: una madre, nel giorno del compleanno del figlio, raggiunge quest’ultimo al parco; una volta arrivata, tuttavia, si trova faccia a faccia con una verità angosciante: il bambino non la riconosce, e la prega gelidamente di riaccompagnarlo dalla sua vera madre. Un piccolo gioiello del realismo magico italiano.

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“Oblio” di David Foster Wallace (Einaudi)

Una raccolta esemplare riguardo all’amore che Foster Wallace era in grado di offrire ai propri personaggi, alle proprie storie, e riguardo alla limpidissima sincerità che sapeva trasmettere attraverso la finzione (ha a che fare con la possibilità di essere più veri quando ci si allontana dalla realtà). Per esempio il mio racconto preferito, Caro vecchio neon, comincia così: “Per tutta la vita sono stato un impostore. E non esagero. Ho praticamente passato tutto il mio tempo a creare un’immagine di me da offrire agli altri. Più che altro per piacere o per essere ammirato. Forse è un po’ più complicato di così. Ma se andiamo a stringere il succo è quello: piacere, essere amati”.

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“Ubik” di Philip K. Dick (Mondadori)

Un grande classico, eppure non posso fare a meno di consigliarlo. Da appassionata di letteratura fantastica, provo sempre una specie di ebbrezza quando mi trovo di fronte a un romanzo che riesce a essere al contempo avvincente (e Ubik lo è, decisamente) e materia di riflessione; quando “costringe” il lettore a terminare la lettura in poco tempo ma continua a tormentarlo a lungo con le sue domande. Inoltre sono grata a Dick per un motivo: a causa del mio lavoro di docente di scrittura, che mi porta alla vivisezione dei testi durante la lettura, accade sempre più di rado che un colpo di scena mi prenda alla sprovvista. Ecco, con Ubik è accaduto eccome.

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“Il padiglione d’oro” di Yukio Mishima (Feltrinelli)

Consiglio questo libro per il motivo opposto rispetto a quello che mi porta a consigliare Il soccombente: non conosco un altro romanzo in grado di opporre a un tale livello di ossessione – quello di un uomo deforme di fronte alla bellezza inaccettabile di un tempio – una prosa tanto ricercata, equilibrata, perfetta. Il contrasto tra ciò che accade e la lingua che lo esprime è impietoso e sublime. Inoltre in questo romanzo la vergogna, l’amore, l’arte intrecciano i fili rendendo il gomitolo indistricabile, e il finale è come una liberazione.

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“Mentre morivo” di William Faulkner (Adelphi)

 Il miglior romanzo di voci che io abbia mai letto. Ma qui non si può spiegare, si può solo citarne una:

Glielo dissi a Addie, quando la strada passò di qui, che portava male viverci sopra, e lei disse, come fanno le donne: ‘Datti una mossa e spostati, allora’. Ma io le dissi che portava male, perché il Signore le strade ce l’ha messe per viaggiare: ecco perché le ha distese tutte piatte sulla terra. Quando Lui vuole che qualcosa sia sempre in movimento la fa lunga, come una strada o un cavallo o un carro, ma quando vuole che qualcosa stia dov’è la fa in su e in giù, come un albero o un uomo. Per questo non ha mai voluto che la gente vivesse su una strada, perché cosa viene prima, dico io, la strada o la casa? Hai mai visto che Lui facesse passare una strada davanti a una casa? dico io. No che non l’hai visto, dico io, perché son sempre gli uomini che non si danno pace finché non mettono la casa dove il primo carro che passa uno può sputargli nell’entrata, e così la gente non ha mai pace e vuol darsi una mossa e andare da qualche altra parte, quando Lui voleva che stessero dove sono come un albero o un seminato di mais. Perché se avesse voluto che l’uomo fosse sempre in movimento per andare da qualche parte, l’avrebbe messo per lungo sulla pancia, come un serpente, giusto?

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