Guareschi e Brizzi in bici, cavalcata nella storia d’Italia

Tra storia, letteratura, politica e aneddoti si muove il volume di Enrico Brizzi dedicato a Giovannino Guareschi, “Il fantasma in bicicletta”. Un libro titanico, appassionato e obiettivo dello scrittore bolognese su un autore sempre contro il potere vigente, amatissimo all’estero, ma ostracizzato in patria e dimenticato, un outsider che detestava le cricche intellettuali…

Una vita, mille epopee. La fama internazionale e l’ostracismo in patria. E una corrispondenza di amorosi sensi tra il fu Giovannino Guareschi ed Enrico Brizzi, uno degli scrittori italiani più prolifici del presente, che non lesina qualità e quantità di scrittura. Stavolta il “malloppo” supera le settecento pagine – imponenti negli ultimi anni sono stati anche i romanzi La primavera perfetta (ne abbiamo scritto qui), Tu che sei di me la miglior parte, Il matrimonio di mio fratello – ma la consueta scioltezza dello scrivere del papà di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, con ritmo, con vocaboli vintage, con mestiere, fa bere velocemente e con piacere un libro titanico e appassionato, pubblicato da Solferino (uno della ventina di editori che hanno in catalogo l’autore bolognese): Il fantasma in bicicletta. All’inseguimento di Giovannino Guareschi (752 pagine, 22 euro).

Quei viaggi su due ruote

Questo libro di difficile classificazione, ma di esito alto, è il frutto dei lockdown pandemici che hanno costretto Enrico Brizzi a casa, come tutti. È un volume in cui convivono tante cose, a cominciare da una cavalcata socio-politica e culturale del ventesimo secolo in Italia. Viandante di tanti cammini, Brizzi stavolta viaggia anche nel tempo, ripercorrendo le orme di uno degli autori della letteratura italiana più tradotti all’estero, ignorato o detestato, a torto, dalla critica del Belpaese, adorato dal pubblico, anche quello che al cinema e in tv non perderà nemmeno uno dei film su Don Camillo e Peppone. Scomodo, non allineato, lontano da consorterie e circoli letterari, infine dimenticato, Giovannino Guareschi nel 1941 ricavò un reportage dopo una “gita fuori porta” da Milano alla Riviera romagnola e ritorno. Dopo averlo letto, Brizzi non resisterà alla tentazione di provare a calcare le orme di Guareschi e affronta un viaggio simile su due ruote. Ed è così che nasce questo libro, che abbraccia storia, letteratura, politica e… gusto per gli aneddoti.

Un’anima affine?

Neorealismo, esistenzialismo, strutturalismo son tutte categorie da professoroni che Guareschi, nella sua trionfante semplicità, aborrisce e deride.

… dal momento che detesta le cricche intellettuali, pronte a premiarsi a vicenda sotto le bandiere rosse come facevano sotto i gagliardetti del fascio, stabilisce che non gli interessa niente di quello che hanno da dire.

Il ritratto di Guareschi – che era anche umorista, polemista e commentatore politico – firmato da Enrico Brizzi è ammirato ma anche disincantato, non si occultano gli aspetti controversi della personalità, si sottolineano le virtù, per quanto possibile lo racconta un occhio equidistante. Il lungo giro dello scrittore bolognese (con tanto di incontri col figlio di Guareschi, Albertino) è l’opportunità per scandagliare vita e opere dell’autore delle storie di Don Camillo e Peppone, non certo le sole della sua vasta produzione. Cattolico, conservatore e monarchico, accostato da certuni al fascismo e da talaltri al comunismo, propugnatore del piccolo mondo antico, sospettoso di ogni modernità, fu di fatto sempre all’opposizione del potere costituito, con tanto di cadute e disavventure, senza paura di pagarne le conseguenze. Un vero outsider, entrato nel Pantheon di Brizzi (quello dell’artista da giovane comprendeva Tondelli e Pazienza, Arbasino, De Carlo e Del Giudice). E chissà che Enrico Brizzi non lo consideri un’anima affine proprio perché di difficile collocazione, lui che si muove abbastanza solitario nel mare dell’editoria nostrana, un po’ con tutti e un po’ con nessuno.

Come una sigaretta

A proposito del suo Lo Zibaldino, Guareschi non esiterà a scrivere così:

Con questo suo volume, l’autore non pretende di migliorare i costumi, né di peggiorarli. Non vuol fissare nessun momento psicologico particolare. Non pretende di far pensare, di mettere dei tarli morali nell’animo del lettore. Questo è uno di quei libri che uno legge e poi butta via come si fa con la sigaretta quando è arrivata alla fine.

Come si fa a non leggerlo? E a non volergli bene?

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