Turazzi, mettersi in discussione con la Milano del futuro vicino

Giallo, distopia e romanzo politico. Un commissario capo e l’omicidio di un facoltoso imprenditore dell’energia solare. La Milano del 2045. In “Prima della rivolta” Michele Turazzi racconta un futuro di tensioni sociali e senza più spazio per la vita “analogica”, le cui fondamenta sembrano già essere attive oggi. Un invito a farsi domande sul presente…

Come sarà la Milano del 2045? Michele Turazzi ha una proposta, e la racconta nel suo primo romanzo pubblicato per Nottetempo: Prima della rivolta (544 pagine, 19,50 euro). Un po’ giallo, un po’ distopia, un po’ proposta politica: è la storia di un omicidio e dell’indagine che si troverà a portare avanti il commissario capo Alberto De Santa in una Milano stretta nella morsa del cambiamento climatico, gentrificata, dove scendono in campo forze sociali e politiche le cui idee e richieste culmineranno nella rivolta del titolo. Siamo in un futuro non così lontano da permettere voli di fantasia, ma sufficientemente vicino, invece, per patire gli effetti concreti e visibili del cambiamento climatico. 

Indagine da un mondo in esaurimento

Com’è dunque la vita nel futuro prossimo immaginato in Prima della rivolta? Il mare si è mangiato la costa, la vita si concentra in grandi città come Milano e chi se lo può permettere fugge in montagna, dove si conservano lacerti di una vita per noi “normale”. In città non circolano più le auto private, ci si sposta con i monopattini. Si mangiano insetti come snack, il caldo aggredisce, la pioggia si rovescia implacabile e la vita è sempre più tecnologica: tablet, identità digitali, social imperanti, droni che oscurano il cielo.  

Il Commissario capo Alberto De Santa è da poco tornato in città dal Cadore, dove era stato trasferito, e si trova a indagare sull’omicidio di un facoltoso imprenditore dell’energia solare. È un’epoca esacerbata, dove tutto ciò che vediamo oggi svolgersi sotto i nostri occhi è elevato a un potenza superiore: il clima ormai alterato, l’immigrazione massiccia, la tecnologia penetrata in ogni rivolo del privato, le ideologie in fermento, alimentate da disagi e paure. Come il capo del partito di opposizione, De Santa è un quarantenne, la generazione Z degli anni ’20 che ha fatto in tempo a vivere l’epoca di startup e voli low cost prima che il mondo cambiasse, si concentrasse infelice nelle città e smettesse di fare viaggi: “le automobili, insieme alla plastica, erano il simbolo delle generazioni che avevano portato il pianeta al punto in cui era”. Turazzi scrive che “tutto crollava sempre più in fretta, sollevando in aria volute di fumo sopra le macerie delle loro città surriscaldate”: siamo in una Milano allo spasimo, in una vita “all’estremo lembo della storia” dove prendono forza tensioni sociali sempre più forti. 

Non è solo uno scenario, quello in cui si trova a indagare De Santa: è il cuore del romanzo, una realtà in esaurimento, figlia di un cambiamento climatico fattosi presente e visibile. Da questo contesto si avviano i fili della narrazione che coinvolge tutte le forze sociali poco prima della rivolta, la simbolica battaglia che condurrà l’indagine e il lettore al culmine della storia. Un giallo, con tanto di raffinato avvelenamento e movente che non verrà fuori fino all’ultimo, ma soprattutto un esperimento narrativo che si colloca nell’area dell’eco-critica, un romanzo capace di parlarci del nostro oggi con una storia ambientata in un futuro solo apparentemente distopico. 

È tutto rotto, intorno

Dalla Milano di carta, la guida letteraria pubblicata da Turazzi per Il Palindromo nella collana Le città di carta, alla Milano di un futuro molto prossimo: “Prima della rivolta” è un libro dedicato a una città arrivata al culmine della sua curva ascendente che, nell’ipotetico 2045, è una città in caduta libera. L’apice dell’avanguardia coincide con il suo opposto, una desolante distesa di povertà: contraddizioni tenute insieme da un unico sistema che, evidentemente, non funziona. Un innesco pronto a esplodere nella rivolta. 

Quello della città è un fallimento di cui sono già in essere le basi, estremamente realistiche. Ed ecco che allora non di vera distopia futuristica è il caso di parlare a proposito di questo romanzo, quanto di spostamento dell’immaginazione un po’ più in là, esacerbazione di dinamiche già in corso. L’autore conduce con abilità la trama dell’indagine mentre, intorno, tutto si esaspera, si estremizza. Accade, per esempio, per la riqualificazione di quartieri in nuove aree “green”, progettate in linea con la moda ambientalista ma gentrificate, dove cioè non si tiene conto di mutamenti sociali e conseguenti frizioni di cui il tessuto urbano risente, rispondendo non solo attraverso il suo aspetto esteriore e la  sua abitabilità, ma con contraccolpi calati tra le persone, nel vivere quotidiano. 

Turazzi conosce molto bene la città e la sua evoluzione più recente, si sposta in una Milano divisa a cerchie, dal centro occupato ormai solo da classi agiate, e frequentato da pendolari, ai quartieri via via più popolari, fino alle “terre” di confine. La Milano del 2045 è assediata da chi produce pannelli solari, sempre più numerosi per inseguire il fabbisogno della metropoli, e da Pioltello, che nella finzione narrativa è diventata un campo profughi dove si trovano bloccate migliaia di persone impossibilitate a entrare in città e a tornare ai luoghi di provenienza, devastati dal cambiamento climatico. 

È un futuro le cui fondamenta sembrano già essere attive nell’oggi del lettore. C’è molto del presente nella prospettiva scelta da Turazzi: uno sguardo inedito, un lieve spostamento in avanti verso un futuro non troppo distaccato dall’oggi è sufficiente per sottolineare con forza dinamiche già in atto, già visibili. Cosa accadrà se nessuno si interrogherà sui dilanianti scontri sotterranei che la trasformazione della città e i pressanti cambiamenti climatici stanno alimentando? Cosa succederà a Milano se la politica non analizzerà le criticità che già oggi sono visibili, vene pulsanti di un sistema sull’orlo dell’esaurimento? 

In un mondo troppo complesso 

L’esperimento di immaginazione di Turazzi si sposta facilmente dalla città del futuro prossimo alla società, e dunque alla politica. “Prima della rivolta” è infatti anche e forse soprattutto l’invito a una riflessione politica sui nuovi movimenti socialisti e sull’esasperazione che le ideologie, in sinergia con il contesto urbano, potrebbero cavalcare – e in parte già cavalcano – sull’onda di malesseri, disastri ambientali e disagi non ascoltati. C’è un campo profughi in condizioni disperate, una Digos che assume uno strapotere, c’è una chiesa dell’Apocalisse che si è fatta spazio tra le religioni con le sue idee sull’estinzione umana in un pianeta ormai ridotto al collasso. E ancora, c’è un gruppo politico, gli Antagonisti, che critica apertamente il paradigma capitalista proponendo un nuovo socialismo che ridistribuisca equità e c’è il Fronte dell’uomo comune, che si aggrappa al mondo così com’è, osteggiando ogni rivolta. Il caldo è opprimente, le zanzare infestano i Navigli, non esiste più privacy perché non c’è quasi più spazio per la vita “analogica” e l’unico gruppo resistente al di fuori dei tre poli è considerato anarchico e relegato fuori dalla città.

Dove prosperano povertà, rabbia, paura e ansia la tensione si gonfia, la protesta incalza e lo scontro sociale e politico si fanno inevitabili. Turazzi guarda il nostro presente da poco più avanti, a un passo dalla rivolta che va formandosi come un vortice, trascinando dentro la sua spirale inevitabile anche la vicenda dell’omicidio su cui indaga De Santa, e i suoi protagonisti. “Vivevamo in una bolla, lo sapevamo di correre verso il baratro, ma facevamo finta di niente” sono le parole fatte pronunciare al padre di De Santa, ragazzino ai tempi del “nostro” lockdown, con riferimento al presente. E se stessimo davvero perdendo tempo? 

Il grande pregio del lavoro di Turazzi è il costante riportare lo sguardo non sul 2045 e nemmeno sul suo portato distopico, ma sull’attualità che abbiamo (o dovremmo avere) ben presente e dentro la quale viviamo e agiamo. Il futuro suggerito nella storia inventata è un invito a mettere in discussione, a farsi domande. Perché, grazie al romanzo e proprio come succede nella vicenda narrata, la realtà si dispiega in tutta la sua complessità e nei suoi capillari sociali: qualcuno la sa gestire più o meno bene, qualcuno si radicalizza su un’ideologia, qualcuno si affida a credenze che negano il futuro.  È la complessità del presente, in tutte le sue difficoltà e contraddizioni, umanissime e sempre, naturalmente, anche politiche. 

“il mondo è diventato troppo complesso, troppo veloce, troppo fluido, e la gran parte della gente non sa come affrontarlo, un numero eccessivo di informazioni in testa e nessuna capacità di organizzarle a sistema”. Laddove il cambiamento climatico prende la mano e la digitalizzazione imperversa, si allarga la zona grigia del potere che vuole plasmare il vivere sociale. Come si tengono insieme la crescita infinita e le risorse finite del pianeta se intorno tutto è rotto e il mondo è esausto? Ci sono altri sistemi, altri ordini, altre prospettive per guardare avanti e cambiare il mondo? Ai lettori l’ardua sentenza.

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